piccolo cuore, che, come impazzito, suona un "a solo" alla

Clapton.

"Tienimi questo."

Si sfila il Daytona con il cinturino d'acciaio e lo lascia nel-

le sue mani. Maddalena lo guarda allontanarsi, poi stringe l'o-

rologio portandoselo vicino all'orecchio. Sente quel leggero

ronzio, lo stesso che ha ascoltato qualche giorno prima sotto

il suo cuscino, mentre lui dormiva e lei ha vissuto, passando

minuti in silenzio, a fissarlo. Allora però, il tempo era sembrato

fermarsi.

Step si arrampica agilmente sulla tettoia sopra Lazzareschi

passando sul cancello del cinema Odeon.

"Allora, chi viene? Che, vi ci vogliono gli inviti scritti?"

Il Siciliano, Lucone e Pollo non si fanno pregare. Uno do-

po l'altro, come scimmie con al posto del pelo giubbotti Avi-

rex, scalano con facilità il cancello. Arrivano tutti sulla tettoia,

per ultimo Schello, già piegato in due per riprendere fiato.

"Oh, io sono già distrutto, faccio l'arbitro" e da un sorso al-

la Heineken che è miracolosamente riuscito a non rovesciare

nella faticosa salita, per gli altri un gioco da ragazzi, per lui

un'impresa alla Messner.

Le sagome si stagliano nella penembra della notte.

"Pronti?" Schello urla alzando la mano veloce. Uno schiz-

zo di birra raggiunge lì sotto Valentina, una bella brunetta con

la coda alta, che si è messa da poco con Gianlu, un tipo basso

figlio di un ricco cravattaio.

"Cazzo!" le esce, creando un buffo controsenso con il suo

viso elegante. "Stai attento,no?"

Le altre ridono, asciugandosi gli spruzzi che le hanno rag-

giunte.

Quasi tutti insieme, una decina di corpi muscolosi e alle-

nati si preparano sulla tettoia. Le mani avanti e parallele, le

facce tese, i petti gonfi.

"Via! Uno!" urla Schello, e tutte le braccia si piegano, sen-

za fatica. Silenziosi e ancora freschi, raggiungono il freddo

marmo, non fanno in tempo a tornare su. "Due!" Giù di nuo-

vo, più veloci e decisi. "Tre!"

Ancora, come prima, più forte di prima. "Quattro!" Le lo-

ro facce, smorfie quasi surreali, i loro nasi, con delle piccole

grinze, vanno giù contemporaneamente. Scendono veloci, con

facilità, raggiungono quasi terra e poi di nuovo su. "Cinque!"

urla Schello dando un ultimo sorso alla lattina e lanciandola

in aria. "Sei!" Con una sforbiciata precisa la colpisce. "Sette!"

La lattina vola in alto. Poi, come lenta palomba, prende in pie-

no la Vespa di Valentina.

"Cazzo, ma allora sei proprio stronzo, io me ne vado." Le

amiche scoppiano a ridere.

Gianluca, il suo ragazzo, smette di fare le flessioni e salta

giù dalla tettoia.

"No, dai Vale, non fare così."

La prende fra le braccia e cerca di fermarla, riuscendoci

con un bacio morbido che interrompe le sue parole.

"Va bene, però digli qualcosa a quello."

"Otto!" Schello balla sulla tettoia muovendo allegro le mani.

"Ragazzi, già uno, con la scusa che la donna s'è incazzata,

ha mollato. Ma la gara continua."

"Nove!" Tutti ridono e, leggermente più accaldati, scendo-

no. Gianluca guarda Valentina.

"Che vuoi dirgli a uno così?" Le prende la faccia fra le ma-

ni. "Tesoruccio, perdonalo, non sa quello che fa." Mostrando

una discreta conoscenza religiosa ma una pessima pratica, vi-

sto che appoggiato alla Vespa di Valentina comincia a pacca-

re con lei, davanti alle altre ragazze.

La voce grossa del Siciliano con quell'accento particolare

del suo paese che gli ha dato, oltre alla pelle olivastra, anche il

soprannome, echeggia nella piazza.

"A Sche', aumenta un po', mi sto addormentando."

"Dieci!"

Step scende facilmente. La corta maglietta azzurra gli sco-

pre le braccia. I muscoli sono gonfi. Nelle vene il cuore pulsa

potente, ma ancora lento e tranquillo. Non come allora. Quel

giorno il suo giovane cuore aveva cominciato a battere veloce,

come impazzito.

4.

Due anni prima. Zona Fleming.

Un pomeriggio qualsiasi, se non per la sua Vespa nuova di

zecca, in rodaggio, non ancora truccata. Step la sta provando,

passa davanti al Caffè Fleming quando si sente chiamare:

"Stefano, ciao!".

Annalisa, una bella biondina che ha conosciuto al Piper, gli

viene incontro. Stefano si ferma.

"Che fai da queste parti?"

"Niente, sono andato a studiare da un mio amico e ora sto

tornando a casa."

È un attimo. Qualcuno alle sue spalle gli sfila il cappello.

"Ti do dieci secondi per andartene di qui."

Un certo Poppy, un tipo grosso più grande di lui, gli sta da-

vanti. Ha il suo cappello fra le mani. È di moda quel cappello.

A Villa Flaminia ce l'hanno tutti. Colorato, fatto a mano, dai

ferri di qualche ragazza. Quello lì gliel'ha regalato sua madre,

prendendo il posto di quella ragazza che ancora non ha.

"Hai sentito? Vattene."

Annalisa si guarda intorno e, capendo, si allontana. Stefa-

no scende dalla Vespa. Il gruppo di amici gli si avvicina. Si pas-

sano il cappello ridendo, fino a quando finisce in mano a Poppy.

"Ridammelo!"

"Avete sentito? È un duro. Ridammelo!" lo imita facendo

ridere tutti. "Sennò che fai eh? Mi dai una stecca? Dai, dam-

mela eh? Su dai."

Poppy si avvicina con le mani basse, portando la testa al-

l'indietro. Con la mano senza cappello gli indica il suo mento.

"Dai, colpiscimi qui."

Stefano lo guarda. Per la rabbia non vede più niente. Fa

per colpirlo, ma appena muove il braccio viene bloccato da die-

tro. Poppy passa al volo il cappello a uno lì vicino e gli sferra

un pugno sull'occhio destro aprendogli il sopracciglio. Poi quel

bastardo che lo ha bloccato da dietro lo spinge avanti, verso la

saracinesca del Caffè Fleming che, visto l'andazzo, ha chiuso

prima del previsto. Stefano sbatte con il petto contro la ser-

randa, facendo un gran botto. Gli arriva subito una scarica di

pugni sulla schiena, poi qualcuno lo gira. Si ritrova intontito

contro la serranda. Prova a coprirsi, ma non ci riesce. Poppy

gli mette le mani dietro al collo e reggendosi ai tubi di ferro

della saracinesca lo tiene fermo. Comincia a dargli delle ca-

pocciate. Stefano cerca di ripararsi come può, ma quelle ma-

ni lo bloccano, non riesce a levarselo di dosso. Sente il sangue

scendere dal naso e una voce femminile che grida:

"Basta, basta, smettetela, così l'ammazzate!".

Dev'essere Annalisa, pensa. Stefano prova a scalciare, ma

le gambe non riescono a muoversi. Sente solo il rumore dei

colpi. Non fanno quasi più male. Poi arrivano degli adulti, al-

cuni passanti, la proprietaria del bar. "Via, andate via." Allon-

tanano quei ragazzi strattonandoli, tirandoli per le magliette,

per i giubbotti, levandoglieli di dosso. Stefano si accascia len-

tamente, poggia la schiena contro la serranda, finisce seduto

sul gradino. La sua Vespa è lì davanti, a terra come lui. Forse

il cofanetto laterale si è ammaccato. Peccato! Ci stava sempre

attento, quando usciva dal portone.

"Stai male, ragazzo?" Una bella signora si avvicina al suo

viso. Stefano fa segno di no con la testa. Il cappello di sua ma-

dre è lì per terra. Annalisa è andata via con gli altri. Mamma,

però il tuo cappelletto ce l'ho ancora.

"Tieni, bevi." Qualcuno arriva con un bicchiere d'acqua,

"Mandalo giù lentamente. Che disgraziati, gentaccia di strada,

ma io lo so chi è stato, sono sempre gli stessi. Quei perditem-

po che stanno ogni giorno qui al bar."

Stefano beve l'ultimo sorso, ringrazia sorridendo un signore

lì vicino che si riprende il bicchiere vuoto. Sconosciuti. Prova

ad alzarsi, ma le gambe per un attimo sembrano cedergli. Qual-

cuno se ne accorge e si butta subito in avanti per sorreggerlo.

"Ragazzo, sei sicuro di sentirti bene?"

"Sto bene, grazie. Veramente."

Stefano si batte sui calzoni. Della polvere vola via dalle gam-

be. Si asciuga il naso con il maglione ormai sbrindellato e fa

un lungo respiro. Si rimette il cappello e accende la Vespa.

Un fumo bianco e denso esce con grande rumore dalla mar-

mitta. È ingolfata. Lo sportelletto laterale destro vibra più del

solito. È ammaccato. Poi mette la prima e mentre gli ultimi si-

gnori si allontanano lascia lentamente la frizione. Senza vol-

tarsi va giù per la discesa.

Ricordi.

Poco più tardi, a casa. Stefano apre piano la porta e prova

a raggiungere la sua camera senza farsi sentire, passando per

il salotto. Ma il parquet è traditore: scricchiola.

"Sei tu, Stefano?"

La sagoma di sua madre compare sulla porta dello studio.

"Sì mamma, vado a letto."

La madre avanza un poco. "Sei sicuro di sentirti bene?"

"Ma sì mamma, sto benissimo."

Stefano cerca di raggiungere il corridoio, ma la madre è

più veloce di lui. L'interruttore del salotto scatta, illuminan-