Fisico e mente. Proprio come lei. Passione e razionalità.

Si erano conosciuti a una festa e avevano cominciato a frequentarsi. Per la prima volta si era lasciata andare ed era arrivato quel momento. Si era innamorata. Avrebbe potuto suonare il suo inno all’amore. Nei giorni precedenti lo aveva provato più volte perché fosse perfetto, come lei lo voleva, come lei lo sentiva, come lei avrebbe voluto suonarlo per lui, solo per lui, per il suo Andrea.

E quella sera era pronta, se solo non fosse accaduto…

Era appena rientrata a casa quando si accorse che il telefono stava squillando. Sofia chiuse la porta, posò la borsa e corse a rispondere.

«Pronto?»

«Finalmente! Ma dov’eri?»

«A lezione. Sono rientrata adesso.»

«Ok amore. Allora ti ho preso la pizza con pomodori pachino e mozzarella…»

«Ma ti avevo detto solo pomodori pachino, pomodori e basta!»

«Amore, ma perché sei così aggressiva?»

«Perché non mi ascolti mai.»


«Ma la mozzarella quando arriverò a casa sarà fredda e la tirerai via facilmente. Così rimarranno i pomodori pachino e basta, proprio come vuoi tu.»

«Il problema non è la pizza, è che non mi ascolti! Lo vuoi capire o no?»

«Ho capito… sto tornando.»

«Non ti apro!»

«Neanche se torno indietro e ti porto la pizza pachino e mozzarella?»

«Ti ho detto solo pachino!»

«Ma sì… Stavo scherzando!»

«Sì, sì, intanto non mi ascolti e mi tratti sempre come una deficiente!»

«Senti, certo che quando vuoi litigare e ti ci metti, non c’è proprio verso, eh…»

«Mi tratti come mia madre! Me ne sono andata da casa apposta per questo appena ho fatto diciott’anni…

E ora mi ritrovo con uno che non mi ascolta e mi prende in giro.»

E gli chiuse il telefono in faccia. Andrea si rimise il cellulare nella giacca, scosse la testa, riaccese la moto, e accelerò pieno di rabbia, infastidito da questa voglia comunque di discutere a ogni costo. Prima, seconda. “Ma possibile che con lei si debba sempre litigare? E che cazzo! Va be’, non mi sono ricordato che non voleva la mozzarella e allora? C’è bisogno di farla tanto lunga?”

Terza, quarta, sempre più veloce, sempre più rabbioso, giù per la discesa, diretto di nuovo verso quella pizzeria. Ottanta. Cento. Centoventi. Centoquaranta. Per la grande velocità la visuale della strada si strinse, e la col-lera quasi lo accecò, insieme a quelle lacrime causate dal vento, tanto da non vedere in fondo alla discesa quella macchina ferma in un angolo.

Una mano azionò la freccia, lampeggiò una volta, due, poi, senza più aspettare, l’auto sbucò dal buio e saltò in avanti. Si immise nella strada proprio mentre stava arrivando Andrea a tutta velocità. Fu un attimo.

A bordo di quella macchina c’era una signora anziana.

Appena vide quelle luci che arrivavano si spaventò. Si bloccò così, stupita, al centro della strada, senza più andare avanti né indietro, incapace di qualsiasi iniziativa.

“Ma…” Andrea non fece in tempo a scalare, a frenare, restò a bocca aperta, con gli occhi sbarrati. Era come se quell’auto, ferma in mezzo alla strada, si avvicinasse a velocità inaudita.

Non riuscì neanche a gridare, nulla, strinse forte il manubrio e chiuse gli occhi. Non c’era più tempo per fare niente, nemmeno per pregare, solo quell’ultimo pensiero: “Una pizza pomodori pachino, senza mozzarella”. Non avrebbe potuto dimenticarlo. Non più.

Buio.


«Mi preoccupa presentartelo.»

«Perché?»

«Perché potrebbe piacerti più di me…»

«Impossibile.» Benedetta rise portandosi la mano davanti alla bocca. Poi bevve un po’ del Bitter che aveva ordinato e alzò le spalle.

Gianfilippo la guardò incuriosito. «Perché impossibile? È più giovane di me… E più bello di me e, soprattutto, è molto ma molto più ricco di me…»

Benedetta diventò improvvisamente seria. «Allora mi piacerà un casino.»

Gianfilippo sollevò un sopracciglio. «Ah.»

«Sì… soprattutto perché tu sei stronzo.» Ora era de-cisamente irritata. «Ma credi davvero che mi possa interessare perché è più ricco di te?»

«Ho detto molto ma molto più ricco.»

«Allora tu sei proprio molto ma molto più stronzo!»

Gianfilippo bevve un sorso del suo Campari. Poi sorrise e cercò di recuperare. «Ma amore, con te non si può mai scherzare…»

«Non stai scherzando.» Benedetta alzò le spalle decisa e si girò di tre quarti. Guardò lontano nel salone. I quadri, le statue e infine gli ospiti del Circolo della Caccia, uno dei più esclusivi.

Tutti camminavano tranquilli, sicuri. Alcuni si saluta-vano sorridendo, si conoscevano da sempre, una cerchia ristretta, i più potenti e i più facoltosi di tutta Roma.


Gianfilippo provò a prenderle la mano. «E dai, non lare così.»

Benedetta la ritrasse veloce. «È stato uno scherzo di cattivo gusto, non capisco perché ti diverta scherzare sul fatto che sia più ricco di te…»

Gianfilippo allargò le braccia. «Ma io non sto scherzando! Lo è… e moltissimo.»

Benedetta si girò e scosse la testa. Non c’era niente da fare. Non avrebbe capito mai. Ma in fondo era inutile discutere. E poi sicuramente era una sua esagerazione.

Come faceva a essere molto ma molto più ricco di lui?

Gianfilippo era la persona più facoltosa che avesse mai conosciuto. E nello stesso momento in cui si rese conto di aver avuto questo pensiero, si ritrovò a sorridergli un po’ imbarazzata, così cercò subito di distrarlo.

«Dai, non litighiamo. Raccontami qualcosa di più di tuo fratello prima che arrivi, sono curiosa.»

Gianfilippo fece un sospiro.

«È sempre stato uno spericolato. Ha da sempre col-lezionato incidenti con la moto, ha fatto surf e girato mezzo mondo a seconda di dove si svolgevano le gare, Hawaii, Canarie… Poi è stata la volta della canoa, del paracadute, del parapendio. Insomma non si è fatto mancare nulla. Credo che abbia provato apposta tutti gli sport più estremi per rischiare la vita…»

E in quel momento sentì la sua voce. «Quindi tutto sommato non devo essere in gamba!» Benedetta si girò di scatto. Un uomo era di fronte a lei.

«Stando ai suoi racconti sono uno che ha cercato di ammazzarsi e non c’è mai riuscito.»

Era alto, slanciato, snello, aveva una camicia bianca perfettamente stirata, le maniche arrotolate tanto da scoprire l’avambraccio muscoloso, la carnagione leggermente scura, gli occhi di un blu intenso, segnati, vis-suti. “Lo fanno sembrare più grande” pensò Benedetta, “ecco no, forse più sicuro, più uomo, più… Più tutto.”


Gli sorrise. “Non so se come dice Gianfilippo è molto ma molto più ricco di lui, una cosa è sicura, è molto ma molto più bello.”

Si sedette davanti a lei con grande eleganza, quindi le diede la mano presentandosi.

«Tancredi.»

«Benedetta.»

Poi accavallò le gambe e poggiò le braccia sulla poltrona. «Allora, cosa fa una donna tanto bella con uno così… così… non mi viene.»

«Forse fico?» gli sorrise Gianfilippo.

Tancredi storse la bocca. «Veramente non era la parola che cercavo.»

«Se per non essere noioso bisogna fare la vita che fai tu, allora sono felice di esserlo.»

«Perché?» Tancredi lo guardò fintamente stupito.

«C’è qualcosa che non va in quello che faccio?»

In realtà il fratello ignorava la maggior parte di quello che faceva e quel poco di cui era a conoscenza non lo condivideva. Gianfilippo cercò di trovare un po’ di sicurezza. «Be’, già il fatto che tu sia ancora vivo mi sembra un discreto successo, anzi parlerei di miracolo…»

In quel momento Benedetta prese un’oliva, la infilzò con uno stuzzicadenti e la fece girare dentro il bicchiere, nel Bitter rimasto. Poi la mangiò così, un po’ dolce e un po’ salata.

I due fratelli si guardarono, Gianfilippo alla fine sorrise, Tancredi abbassò lo sguardo. Benedetta rimase con l’oliva in bocca stupita di quello strano silenzio.

Gianfilippo la guardò e scosse leggermente la testa, co-me per dire: “Non è niente, poi ti spiego”. Proprio nello stesso istante lei si sentì chiamare.

«Benedetta, che ci fai qui!»

Una ragazza distinta si fermò all’entrata del salotto, poco distante da dov’erano seduti loro. Aveva un tailleur blu con una piccola pochette di Gucci e i capelli raccolti, biondi. Benedetta si alzò sorridendo. «Gabriella! Scusate…» Lasciò i due fratelli e corse a raggiunger-la. Si abbracciarono e iniziarono a chiacchierare.

Gianfilippo guardò Tancredi, gli sorrise. Tancredi alzò il braccio cercando di segnalare la sua presenza al cameriere.

«Scusi?»

Gianfilippo insistette. «Hai visto che strano?»

Tancredi sospirò. «Già.»

Finalmente arrivò un cameriere.

«Per favore, mi può portare una birra?»

«Certo, signore.»

Il cameriere pensò che fosse finita lì e fece per allontanarsi ma Tancredi insistette. «Che birra avete?»

«Tutte, signore.»

«Allora vorrei una Du Demon.»

Il cameriere fece ancora per allontanarsi ma arrivò quell’ultima raccomandazione. «Che sia gelata.»

Tancredi avrebbe voluto far finta di niente ma sapeva che non poteva più evitarlo. Infatti incontrò lo sguardo del fratello. «Incredibile, vero?»

«Sì. È stato strano.»

«Strano? E stata la cosa più assurda che potesse ca-pitare! Ha fatto esattamente come lei…»

E fu come se tornassero insieme a quel ricordo.

Claudine stava facendo girare un’oliva all’interno di un bicchiere, la teneva attaccata a uno stecchino, poi sorrise, la tirò fuori e, proprio quando stava per cadere quella goccia rossa, ci mise sotto la lingua. Poi fece scivolare in bocca l’oliva e ci giocò, come fosse una piccola acrobata, fino a farla sparire. E la mandò giù. «Mmm, buona.» Girò l’indice sulla guancia prendendo in giro il fratellino più piccolo, Tancredi.