«Quando una donna supera quel confine non si vergogna più di nulla, si lascia andare, ha voglia di libertà.»

Davide non rispose subito, ci pensò su. «Meno male che non hai mai desiderato la mia donna…»

E lo disse con tono duro, leggermente fermo, indeciso se scherzare o no.

«O meglio forse l’hai desiderata… ma per fortuna non sei il tipo di Sara.»

Tancredi si alzò. «Già.»

E si allontanò con un’unica certezza. Quanto ci si può sbagliare a volte su una persona.

«Vieni, pranziamo insieme.»

Si incamminarono nel grande parco del Circolo Antico Tiro a Volo. Di fronte a loro la veduta di Roma Nord, a destra la collina dei Parioli, lì sotto correva il lungo viadotto di corso Francia fino a perdersi lontano, verso la Flaminia, tra le montagne che facevano da sfondo.

Un prato all’inglese, una grande piscina, diversi tavoli coperti da ombrelloni dove un vento leggero muoveva il bordo dei teli e rinfrescava i soci che stavano già pranzando.

Tancredi e Davide presero posto. Poco più in là arrivò la famiglia perfetta. Si sedettero al tavolo. Giorgia e Mattia continuavano a farsi dei dispetti.

«E dai! Non mi rubare dal piatto!»

«Mica è solo tuo! E del buffet e quindi di tutti.»

Mattia prese dal piatto di Giorgia un’oliva e se la mi-se veloce in bocca.

«Non vale!» Giorgia gli diede una botta sulla spalla.

La mamma li rimproverò. «Avete finito di litigare?»

Ma il bambino rubò una piccola mozzarella, la masticò facendo scendere dalla bocca del latte fresco.

«Mattia, non mangiare così!» Gli passò un tovagliolo sulle labbra con forza, fermando quel rivolo di latte prima che gli finisse sulla maglietta. Poi il suo sguardo da mamma si trasformò. Si perse lontano, tra i tavoli, fino a incrociare quello di Tancredi. Lui le sorrise divertito.

Roberta arrossì ricordando chissà quale momento. Poi tornò mamma.

«Se non la smettete di litigare non vi ci porto più qui al circolo.»

Un cameriere si avvicinò al tavolo di Tancredi e Davide. «Buongiorno signori, volete ordinare?»

«Cosa prendi tu?»

«Mah, forse un primo…»

Tancredi glielo suggerì sicuro. «Qui fanno molto buoni i paccheri pomodoro e mozzarella.»

«Ok, vada per quello allora.»

«Per me invece un’insalata fredda di seppie. Ci può portare anche un bianco bello freddo? Uno Chablis, Grand Cru Les Clos del, per favore.»

Il cameriere si allontanò.

«Magari dopo prendiamo un calamaro arrosto o una bella spigola all’acqua pazza. Qui il pesce è freschis-simo.»

E rimasero così, nell’attesa. Tancredi si girò verso il fondo del parco. Gregorio Savini era lì, sulla porta d’entrata del circolo, sembrava non guardare dalla sua parte. Aveva i capelli corti, un completo leggero, e i suoi occhi neri impenetrabili seguivano la gente in maniera quasi distratta, cogliendo tutto e niente, concentrati su ogni eventuale movimento.

«Non ti molla mai, eh?»

Tancredi versò un po’ d’acqua a Davide.

«Mai.»

«Sa tutto della tua famiglia. E da molto con voi.»

«Sì. Ero piccolo quando è arrivato ma è come se ci fosse da sempre.»

Si avvicinò il cameriere, versò del vino e si allontanò.

«È bello avere una persona così. Non c’è nulla che lui non sappia. E difficile non avere segreti per una persona, no?»

Tancredi bevve un sorso d’acqua. Poi posò il bicchiere e guardò lontano.

«Già. È impossibile.»

Davide sorrideva divertito. «Sa anche di questa donna? Di Roberta?»

«E lui che mi ha dato il suo numero e mi ha fornito ogni informazione su di lei.»

«Sul serio?»

«Certo. E lui che m’informa sempre di ogni cosa. I gioielli che una donna indossa, i fiori che preferisce, il circolo che frequenta… Non sarei riuscito altrimenti a fare tutto quello che ho fatto in così poco tempo.»

«E per entrare in questo circolo cos’hai dovuto fare?»

«Capirai, è stata la cosa più facile di questo mondo.

Ho scoperto che avevano alcune spese da affrontare e le ho sostenute tutte comprando più quote.»

Proprio in quel momento un cameriere apparve sulla porta. Si guardò in giro, poi riconobbe la persona che stava cercando.

Attraversò il prato camminando spedito e passò in mezzo ad alcuni tavoli. Tancredi lo vide. «Ecco. Non perderti questa scena.»


L’amico lo guardò curioso. Non capiva a cosa si riferisse. Il cameriere si fermò davanti al tavolo della famiglia De Luca.

«Mi scusi…»

Fabrizio alzò il viso dal piatto. Non aspettava nessuno.

Anche Roberta smise di mangiare.

«Questo è per la signora» e le offrì un bellissimo fio-re, un’orchidea selvaggia, screziata, chiusa in una scatola coperta di cellophane con un bigliettino attaccato.

«E questa invece è per lei, dottor De Luca.»

Fabrizio prese tra le mani una busta. La rigirò curioso, non c’era alcuna intestazione. Proprio in quel momento Roberta aprì il biglietto. “Sul serio mi ami?”

Allora veloce alzò lo sguardo e incrociò il suo. Tancredi finì di versare il vino bianco, la fissò, sollevando il calice come per brindare da lontano. Poi lo assaggiò. Temperatura perfetta.

«Sì, è un ottimo Chablis.»

Poco distante, all’altro tavolo, improvvisamente Fabrizio De Luca sbiancò. Aveva aperto la busta. Non riusciva a credere ai suoi occhi. Alcune fotografie che non lasciavano dubbi. Sua moglie Roberta presa da un altro uomo nelle pose più spinte e violente. E a testimoniare che appartenevano all’oggi, negli scatti si vedeva quel ciondolo che lui le aveva regalato per i loro dieci anni di matrimonio. Allora tutto era accaduto in quelle settimane, visto che il regalo gliel’aveva dato solo un mese prima.

Fabrizio De Luca mostrò le foto alla moglie e, prima che lei potesse riprendersi dal suo stupore, la colpì con un violento schiaffo in pieno viso. Roberta cadde dalla sedia. Giorgia e Mattia rimasero immobili, in silenzio.

Poi Giorgia cominciò a piangere. Mattia, più forte, era interdetto.

«Mamma… mamma…»

Non sapeva che fare. Insieme i due bambini la aiutarono a rialzarsi. Fabrizio De Luca prese alcune foto, sicuramente sarebbero state utili agli avvocati nella causa di separazione e poi se ne andò sotto gli sguardi attòniti dei soci del circolo.

Roberta cercò di consolare Giorgia.

«Su amore, non è niente…»

«Ma perché papà ha fatto così? Perché ti ha pic-chiata?»

In quel momento una foto cadde dal tavolo. Giorgia la raccolse. «Mamma… ma questa sei tu!»

Roberta gliela sfilò di mano e, con le lacrime che le rigavano il volto, se la mise nella tasca posteriore dei jeans. Poi prese in braccio Giorgia, per mano Mattia e cominciò a camminare traballante sotto gli occhi di tutti. La sua guancia segnata di rosso portava le cinque dita stampate sulla pelle. Arrivata davanti al tavolo di Tancredi si fermò.

Davide era imbarazzato. Roberta era in piedi di fronte a loro, in silenzio. Le lacrime continuavano a scenderle senza che riuscisse a trattenerle.

Mattia non riusciva a capire, la tirò per un braccio.

«Mamma, ma perché piangi? Perché hai litigato con papà? Si può sapere che succede?»

«Non lo so, amore.»

Poi guardò Tancredi. «Dimmelo tu.»

Tancredi rimase in silenzio. Prese il vino e ne bevve un sorso. Poi si asciugò le labbra con il tovagliolo e lentamente lo poggiò di nuovo sulle gambe.

«Forse ti stavi stancando della felicità. Quando la ri-troverai, saprai apprezzarla.»


«Amore, ci sei?» Nello stesso istante in cui disse quelle parole, a Sofìa si strinse il cuore. Come sarebbe potuto essere altrimenti? Dove sarebbe potuto andare? E

soprattutto come? E in quel preciso momento le sembrò di sentire l’eco di una frenata e poi uno schianto, i vetri infranti, la lamiera che si accartocciava, quella sequenza quasi al ralenti nella sua mente.

Poggiò la busta della spesa sul tavolo. Si toccò la fronte, era sudata. Poi portò le mani sui fianchi e si guardò intorno. Quella misera cucina, quei bicchieri un po’ segnati dall’uso, quel vetro consumato. Si ritrovò in uno specchio e quasi non si riconobbe. Il suo volto stanco, i capelli scomposti, ma soprattutto il suo sguardo privo di luce. Ecco cosa le mancava: la luce. La sua bellezza, quella che da sempre le avevano tanto decantato come se fosse il suo unico pregio, a volte quasi dandole fastidio, in realtà era sempre lì. Era solo stanca. Sofia si sistemò i capelli. Poi si tolse la giacca e la poggiò su una sedia. Cominciò a mettere a posto la spesa. Mise il latte nel frigo. Fin da ragazza aveva lottato con quella bellezza, avrebbe sempre voluto essere considerata solo per la sua grande passione, il suo incredibile talento, quel dono ricevuto fin da piccola, il suo amore per la musica.

Il pianoforte era la sua unica ragione di vita. Le note riempivano i suoi pensieri. All’età di sei anni, durante le prime lezioni, aveva scelto alcuni pezzi classici. Aveva chiesto di portare a casa gli spartiti e li aveva arrangia-ti e interpretati in maniera diversa, facendoli diventare la colonna sonora della sua vita. Andava sull’altalena, correva, si tuffava in mare, guardava il sole al tramonto, tutto con quelle note in testa. Ogni momento della sua vita era accompagnato da un brano musicale capace di commentarlo al meglio.

Sofia era fatta così. Aveva scelto Après une lecture de Dante di Franz Liszt, lo avrebbe usato come suo inno all’amore.

Aveva deciso che lo avrebbe suonato solo per il suo uomo, quello che l’avrebbe fatta sentire felice e innamorata. Ma non era mai successo. Fino a quando non aveva conosciuto Andrea. Architetto e giocatore di rugby.