ogni giorno. Così. Così com'è lei. Esce sempre da quello
stesso portone e sempre in maniera diversa. Ma ho visto qualcosa
che è sempre uguale. I suoi occhi. Il suo viso. Portano i segni
lontani
di un dispiacere vissuto. Come un sogno bellissimo interrotto
da una serranda tirata su da troppa rabbia. Come il suono
insistente
di un telefonino dimenticato acceso e fatto squillare da uno che
ha
sbagliato numero o, ancora peggio, da qualcuno che non ha nulla
da dire. Come un allarme fatto scattare da un goffo ladro
imbranato
che è già scappato nella notte. Una vita distratta ha urtato col
gomito la sua felicità. E sono stato io. E non posso nascondermi,
non posso giustificarmi. Posso solo sperare di farmi in qualche
modo
perdonare. Ecco. La vedo uscire. La vedo passare. È nella sua
macchina. E per la prima volta dopo tanti giorni nascosto
nell'ombra
faccio un passo in avanti, incrocio il suo sguardo. Fermo
i suoi occhi. Li faccio miei per un attimo. E con loro teneramente
imbarazzato sorrido. Parlo e spiego e racconto e cerco di non
farli andar via. Tutto con uno sguardo. E i suoi occhi sembrano
ascoltare in silenzio, annuire, capire, accettare sul serio quello
che
spero stiano dicendo i miei. Poi, quel silenzio fatto di mille
parole,
intenso come non mai, viene interrotto. Gin abbassa il suo
sguardo.
In cerca di qualcosa. Di un po' di forza. Di un sorriso. Di
qualche
parola detta a voce. Ma non trova niente. Niente. Allora torna
a guardarmi. Scuote leggera la testa. La sua guancia fa una
piccola
smorfia, un accenno di un mezzo sorriso, forse un'ombra di
possibilità. Come a dire "no, non ancora, è troppo presto". Almeno
questo è ciò che voglio leggere. E si allontana così, diretta
verso dove non mi è dato di sapere, verso la vita che l'aspetta,
forse
verso un nuovo sogno, sicuramente migliore di quello che io le
ho rubato. E ha ragione. E se lo merita. Così rimango lì in
silenzio.
Mi accendo una sigaretta. Do solo due tiri e la butto via. Non
ho voglia di niente. Poi capisco che non è vero. Allora la prendo
dal bauletto.
Lontano, più lontano, in quella stessa città. Macchine in
movimento,
clacson, vigili indaffarati, ausiliari inesperti preparati solo
in cattiveria. Rina, la cameriera dei Gervasi, esce dal
comprensorio
degli Stellari. Saluta il portiere col suo solito sorriso dalla
peluria
eccessiva. E continua decisa verso il cassonetto della spazzatura,
accompagnata da un profumo da pochi soldi che nasconde malamente
il lavoro di tutta una giornata. Apre il cassonetto spingendo
forte col piede deciso sulla barra di ferro. Butta con un arco
perfetto,
meglio di una pallavolista alla battuta, il sacchetto della
spazzatura.
Il cassonetto si richiude, come una mannaia lasciata andare
da un boia distratto. Ma non può finire la sua corsa. Da un angolo
spunta fuori un poster arrotolato. C'è la foto ingrandita di quel
ragazzo e quella ragazza a cavalcioni di una moto che "pinna". Il
grido ribelle di quel momento di felicità... di quell'amore ormai
dissolto
nel tempo. Tutto è passato. E ora, come spesso accade, è finito
tra la spazzatura.
Pallina esce di corsa dal suo portone. Allegra e decisa, elegante
come non è più stata. Sale sulla sua macchina e lo bacia ridendo.
Vuole riprendere in mano le redini della sua vita.
"Allora, dove andiamo?"
"Dove vuoi."
Pallina lo guarda e sorride. Ha deciso di buttarsi di nuovo. E
lui è la persona adatta.
"Allora decidi tu, andiamo senza meta per una sera."
E Dema non se lo fa ripetere due volte. Sono anni che aspettava
questo momento. Ingrana la marcia dolcemente e si perde nel
traffico leggero. Poi alza un po' il volume dello stereo e
sorride.
Eva, la hostess, è appena arrivata a Roma. Posa la valigia nella
camera d'albergo e subito prova a chiamarlo. Niente. Il suo
telefonino
è spento, peccato, avrebbe tanto voluto vederlo. Fa niente.
Ci pensa un po'. Poi sorride e compone un altro numero. Chi
viaggia in continuazione ha sempre un altro numero.
Daniela è seduta in camera sua. Ha appena saputo che è maschio.
Sfoglia il libro dei nomi, indecisa. Alessandro, Francesco,
Giovanni... cerca le origini e i significati di ognuno. Dev'essere
un
nome importante, di un condottiero, oppure di uno di quelli
strani,
particolari, che non si dimenticano. E sorride felice tra sé.
Almeno
questo lo posso decidere da sola. Poi si preoccupa. E se il
nome che scelgo è uguale a quello di suo padre? Così rimane
perplessa
e abbandona quel "Fabio" che le sembrava tanto giusto. Vuole
andare sul sicuro... e non sa quant'è inutile questo suo dubbio.
Di sicuro quel bambino non saprà mai il nome di suo padre.
Babi è in camera sua. Controlla felice la lista degli invitati.
Manca
poco. Uffa mamma, hai voluto anche i Pentesti che io non sopporto
e dei cugini che non abbiamo mai visto. Mamma e le sue regole.
Poi per un attimo pensa che quell'idea le piacerebbe da morire.
Sì, sarebbe un'idea bellissima. Invitare Step al suo matrimonio.
Sarebbe fighissimo. E non si rende conto di quanto è tutta sua
madre. Anzi no. Molto peggio.
Due signore si guardano in giro. Vogliono essere sicure che non
ci sia nessuno vicino. Poi tranquille, serve cospiratrici del
pettegolezzo
inutile, possono finalmente sfogarsi.
"Ti assicuro, l'ho visto con una ragazza giovane e molto
abbronzata..."
"Non ci credo... ma l'hai visto tu?"
"No, ma una persona molto fidata."
"Forse ho capito chi te l'ha detto, me l'aveva raccontato anche
a me, ma mi aveva detto anche di non farne parola con nessuno.
Comunque non è abbronzata, è di colore! E una brasiliana! "
"Sul serio? Che strano, da lui questo non me lo sarei mai
aspettato."
"Perché no? Lei è insopportabile! "
Le due donne ridono insieme. Poi rimangono un po' dispiaciute
per quella risata. Forse se lo stanno chiedendo: ma perché,
noi con i nostri mariti come siamo? Finiscono allora per sentirsi
in
colpa, per non sapersi dare bene una risposta. Forse non sono poi
così tanto diverse da lei. Raffaella è in fondo alla sala. Tutte e
due
la guardano. Lei incrocia il loro sguardo e sorride da lontano.
Anche
loro sorridono, complici e un po' goffe. Poi si guardano di nuovo.
Che ci abbia scoperte? Che abbia capito che parlavamo di lei?
E ognuna resta col suo dubbio, mentre Raffaella non le calcola già
più. Dedica ora tutta la sua attenzione all'avversaria.
"Et voilà... chiuso anche il secondo mazzetto. E guarda qui...
Ho fatto anche un burraco ! "
Inizia a contare veloce i punti, felice, senza perdersi dietro a
tutte quelle chiacchiere inutili.
"Ma arbitro, non c'era! " Claudio si alza in piedi, col suo
cappelletto
con la visiera che quasi gli vola via tanta è la foga del suo
entusiasmo, della sua felicità. Si rimette a posto il cappellino e
si
siede di nuovo vicino a Francesca.
"Hai visto anche tu Fra'... non c'era, no?"
E lei fa segno di sì. Non capendo poi tanto di pallone.
"Non c'è niente da fare, è sempre così! Vogliono far vincere
l'Aniene, finisce sempre così qui al Canottieri Lazio ! È perché
quelli
hanno più soci." Claudio, soddisfatto di questa geniale
intuizione,
abbraccia Francesca dandole persino un bacio sulle labbra,
fregandosene
di tutto e tutti, di chi lo conosce, di chi potrebbe vederlo,
di chi potrebbe giudicare... di chi potrebbe dire "Ma come,
ha vent'anni meno di te! ". Poi Claudio, rimettendosi a guardare
la
partita, si accorge che poco più in là ci sono proprio Filippo
Accado
e la moglie. Lo hanno sentito urlare e ora lo stanno fissando.
Lui li saluta con un grande sorriso, sbracciandosi quasi.
"Ciao Filippo. Ciao Marina" e abbraccia di nuovo Francesca,
volendo suggellare in tutto e per tutto e definitivamente quella
sua
ottima scelta. Anche perché, a essere precisi, ha ventiquattro
anni
meno di lui. I due Accado accennano un sorriso, preoccupati di
essere
diventati incolpevoli testimoni di quella che, almeno per loro,
fino a quel momento era stata semplicemente solo una diceria.
Claudio
lo sa. Ed è felice d'averla del tutto confermata. Poi guarda
Francesca.
Bella, morbida, naturalmente abbronzata, giovane e soprattutto...
non rompicoglioni! E le sorride.
"Certo, se mi fossi chiamato Paolo... saremmo stati noi i Paolo
e Francesca del terzo millennio ! "
E lei, che già non capiva nulla di calcio, fa segno di sì anche
questa volta. Claudio capisce d'essersi spinto troppo in là. È
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