"Oh, per me molta cipolla... Tu Carolina?" "No, io prendo un gelato... confezionato, grazie." Il marocchino apre uno sportello di un frigo lì vicino. "Scegli tu, prendi quello che vuoi." Alla fine decido per un ghiacciolo alla menta. Nico si fa fare una "pita" stracolma di kebab, cipolle, maionese, panna acida, pomodoro e lattuga. Mangiamo così seduti a un tavolino d'acciaio con delle sedie in ferro, tutte un po'"scrostate. Davanti a noi c'è una scatola di plastica rossa scolorita con dentro troppi fazzolettini incastrati.
Nico mangia con avidità. "Uhhh buono..." Bofonchia sorridendo, con la bocca piena di cibo ma per fortuna non spalancata. "Sa il fatto suo il tipo..."
E io sto zitta. Perfino la carta del gelato mi sembrava sporca.
Poco dopo siamo sulla ruota del Luneur. E" alta, altissima. La nostra navetta aperta sale ondeggiando pericolosamente. Siamo seduti vicini. Io con in mano la bustina d'acqua con dentro il mio pesce stordito, Nico che sa di cipolla. Improvvisamente la ruota si ferma. Stutump. Un rumore freddo, sordo, di tutto il meccanismo centrale. La navetta oscilla avanti e indietro. Poi lentamente, piano piano comincia a fermarsi. Nico si affaccia.
"Oh ci siamo solo noi..." Poi guarda sorridente. "Ci hanno voluto fare un piacere a fermare la ruota..."
Sì... Sai che piacere. Ma sto zitta.
"Guarda. Guarda che bello laggiù, si vede il sole che tramonta."
Dietro alle case lontano, in fondo, verso il mare di Ostia, si vede un ultimo spicchio di rosso. Sì, deve essere il sole. Alcuni palazzi lì intorno vivono i riflessi di quell'arancione.
Nico indica a sinistra. "E lì ci deve essere l'Altare della Patria..."
E" tutto coperto da un alto pino.
"Lì invece," girandosi verso di me, "il Colosseo... E lì in fondo invece c'è l'Olimpico... Dove domenica gioca la Magica contro la Juve... Speriamo bene..."
Bè, vi giuro, silenzio. Ma sapete proprio silenzio silenzio? Cioè non riesco a trovare una parola, un commento, una frase qualsiasi. Ho solo un pensiero. Speriamo che il tipo lì sotto faccia ripartire presto la ruota. Nico mi guarda, si sistema il giubbotto.
"Sai, sono proprio contento che sei voluta uscire con me... Mi dispiace se ho pensato che eri un po'... un po'"così, sì insomma contraria, per la storia del figlio del benzinaio..."
"Figurati." Gli sorrido. "Non ci pensare..."
Volevo vedere se avesse fatto lo stesso discorso ad Alis, lei cosa gl'avrebbe detto. Poi piano piano Nico si avvicina.
"Sei molto bella..." Più vicino, sempre più vicino. Oddio... sento la cipolla. Aiuto. E ora che faccio?
"Scusa, Nico..." Mi sposto girandomi dall'altra parte. "Non ci rimanere male. E che ci conosciamo così poco..."
"Sì, hai ragione..."
Carolina! Ma così è come se gli stessi dicendo vediamoci di nuovo e poi caro Nico, chissà, vedremo... Infatti.
Nico sorride speranzoso. "Bè, spero che però una sera di queste usciamo a cena..." Mi guarda tutto sicuro di sé. E no. Basta. La storia che non è importante essere figlio o no di un benzinaio gliel'hai già dimostrata. Ora basta.
"Mi dispiace..." Lampo di genio. "Ma io sto con un ragazzo..."
"Ma come?" Ah già, è vero, potrebbe dirmi di tutto. Perché non gliel'ho detto prima?
"Cioè, in realtà ci siamo lasciati, Nico... è che però penso ancora a lui... Insomma ho voluto provare a uscire con te... Pensavo che fosse possibile.."
Mi viene in mente una di quelle cretinate che ho sempre sentito dire. "Sai... chiodo scaccia chiodo..."
Silenzio. E Nico invece sorride, spera ancora un po'. E improvvisamente mi vedo grassa, grossa, con un seno enorme, dentro una tuta da benzinaio che lavo i vetri delle macchine insieme alla mamma di Nico! E poi all'improvviso, come in un "morfìng" al contrario dimagrisco di botto, rivesto le mie vesti, torno me stessa ora, di nuovo così, come sono, libera... "E invece niente, ho capito che sono ancora in fìssa con lui..."
Ancora silenzio.
"Hai capito, Nico? E così... Mi dispiace."
Poco dopo siamo a terra. Scendiamo.
Mi riporta al motorino senza parlare.
"Grazie, mi sono divertita." A volte è proprio il caso di mentire. "Magari ci sentiamo."
"Sì, ciao..." Saluta a mezza bocca, con le spalle abbassate, dispiaciuto. Si allontana piano con la moto, mi lascia così, con quel pesciolino in mano.
Poi alla fine della strada fa una pinna, alza la moto e corre su una ruota sola, dando e togliendo gas. Forse per sfogarsi. Forse perché è deficiente. Comunque per fortuna non casca. Se no mi toccava pure accompagnarlo all'ospedale.
Amy Winehouse. Me & Mr Jones. Allegra, bella, frizzante. Sono in motorino e il pesce sembra quasi che balli a tempo tanto ballonzola dentro la sua bustina trasparente, piena d'acqua, attaccata al perno del parabrezza. Mamma mia che pomeriggio. Mai più. Sul serio, non vorrei mai più rifare un'uscita del genere, in realtà però non sei sicura che quando per caso ricapiterà sarai sempre così lucida e determinata. Ecco. "Cipolla." Lo chiamerò il giorno della cipolla. Voglio proprio vedere se avrò il coraggio di dimenticarmelo quando mi si ripropone "un giorno della cipolla".
E così prima di tornare a casa passo per Valle Giulia. Sono tutte curve e devo stare bene attenta a non finire con la ruota del motorino dentro le guide del tram... Se no sai che volo! Arrivo di fronte alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, giro a destra e salgo su per Villa Borghese.
Scendo dal motorino e mi levo il casco. E" quasi buio ma la piccola fontana è illuminata.
"Ecco, qui dentro ci sono un sacco di tuoi amici pesci... Vedrai che starai benissimo... Sam!" Lo chiamo così anche se non ci capisco nulla e non so se è maschio o femmina. So solo che il giorno della cipolla, almeno per adesso, ha salvato qualcuno.
E così rovescio la sacchetta dell'acqua con dentro Sam nella fontana. Pluff. Fa un bel tuffo, va sul fondo e si ferma per un po', come se fosse rimbambito, ma poi si scrolla di dosso la strettezza di quella busta di plastica, muove la testa e piano piano nuota muovendosi tutto allegro.
"Bravo Sam. Divertiti... Verrò a trovarti presto." E non so se lo farò sul serio nei prossimi giorni, o nel mese successivo o almeno nel corso dell'anno, ma so che mi piace l'idea di avere un amico pesce di nuovo libero in quella bella fontana. Lo riconoscerò perché è rosso con una piccola macchiolina nera sul dorso, proprio sotto la pinna e vorrei arrivare lì e dire: "Ehi Sam Cipolla, come va?". E vederlo arrivare da dovunque si trovi in quella fontana e avvicinarsi a me scodinzolando con la pinna, anche se non è un "pescecane". Sì, lo so che non accadrà mai, ma mi piace pensarlo... d'altronde, se non sei tu il primo a credere in un tuo sogno, come puoi pensare che un'altra persona lo faccia per te?
E così me ne vado verso casa tutta soddisfatta e anche con una certa fame. Ma quando arrivo non trovo nessuno. Solo un biglietto.
"Vieni presto dai nonni. Siamo tutti lì. Tua mamma." E quella firma, quelle poche notizie, quel vieni presto, quella fretta improvvisa anche nella scrittura. Quel rafforzativo, "tua" mamma. Come se una ragazza a quattordici anni non fosse ancora pronta, non avesse sviluppato le emozioni, il sentire, ci fosse solo preoccupazione intorno a lei, paura della reazione che potrebbe avere. E mentre vado in motorino sono lì che penso, ragiono, cerco di capire. Ma non mi viene in mente nulla.
E non sapevo che di lì a un attimo avrei provato il silenzioso rumore dell'infrangersi di un sogno.
Strano. La porta è aperta: "Eccomi... Sono qui... Mamma...?".
La vedo in fondo al corridoio. Sta guardando dentro una camera. Poi mi vede, si gira e mi fa un sorriso. Debole. Leggero. Dispiaciuto. Imbarazzato. Pieno di dolore. Pronto alle lacrime. Un sorriso che racconta una storia. Che non capisco. Che non voglio capire. Viene verso di me, prima piano. Poi, più veloce. Poi sempre più veloce, quasi corre e mi abbraccia e si scontra con me e chiude gli occhi in un abbraccio, in un respiro lungo, lunghissimo. Vuole essere grande, madre e forte. E invece è solo una figlia, con le lacrime agli occhi.
"Nonno è morto."
"Ma come... " E quasi mi viene da urlare e scoppio subito a piangere e mi vergogno.
"Shhh... shh... buona bambina mia..."
E mamma mi accarezza i capelli, mi stringe, poi mi porta con sé, tenendomi abbracciata, lungo quel corridoio, fino all'ultima stanza, lì dove si trovava prima. Nonno è disteso sul letto, con un volto silenzioso, sereno, ma che non può dire più nulla. E io un po'"ho paura. Non so che fare. Alzo lo sguardo. Ho gli occhi pieni di lacrime. Appannati. Come lenti che cambiano il mio modo di vedere.
Alcune persone. Parenti. Parenti che non vedevo da tempo. Alessandra. Rusty James è in un angolo. Papà dall'altra parte parla con sua sorella. Mi stacco da mamma. Mi libero da lei e mi avvicino a nonno. Rimango così, sull'angolo del letto. Poi prendo fiducia, mi avvicino un po', un po'"di più. Sento gli occhi delle persone che mi guardano. Non alzo lo sguardo. Guardo solo il nonno.
Mi dispiace. Mi mancherai. Mi facevi sempre ridere e come disegnavi bene. Avrei voluto diventare brava come te, prendere lezioni da te, eri sempre paziente, calmo, tranquillo, non alzavi mai la voce e mi raccontavi cose che mi facevano vedere tutto quello che avevi già visto e che io non conoscevo. E poi il tuo amore grande, come quel disegno che hai fatto pochi giorni fa. Il tuo amore per nonna. Allora alzo lo sguardo. E lei è lì seduta di fronte a me. Su una piccola sedia. Ha le spalle abbassate, il viso senza un filo di trucco, pallida, in silenzio. Mi guarda ma non dice nulla. Poi guarda di nuovo nonno. E io continuo a fissarla. Prima lei, poi lui, poi loro due. Cosa starà pensando nonna? Quale ricordo che solo loro hanno vissuto? Dove è ora? In quale tempo, in quale luogo? In quale momento dei tanti nei quali è stata amata? E vorrei dirle: "Nonna, è stato bellissimo! Eravate così belli, sempre mano nella mano, sul vostro amore non si vedeva un filo di vecchiaia! I vostri baci a volte mi facevano girare di là! Ma sentivo il profumo dell'amore. E ora nonna come farai?". E mi sento stringere il cuore. E allora allungo la mano, prendo coraggio e la poggio sopra la sua, sopra quella di nonno. E" fredda. E mi sento improvvisamente sola. E in un attimo vedo svanire un sogno. Io che lo porto dietro il mio motorino. Nonno che mi abbraccia e ride, con le sue gambe lunghe e le ginocchia alte che quasi ci poggio i gomiti mentre guido. Ce l'eravamo promesso. Era una promessa, una promessa, nonno. Che fregatura. E scoppio a piangere, a dirotto.
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