Federico Moccia


AMORE 14

In copertina: illustrazione di Valeria Maggiani.

cover design: ufficio grafico Feltrinelli

(c) Giangiacomo Feltrinelli Editore

Prima edizione ne "I Canguri" ottobre 2008


ISBN 978-88-07-70194-8

www. feltrinelli. it


L'AUTORE




Federico Moccia è nato a Roma nel 1963. È autore per la televisione e sceneggiatore per il cinema. Tre metri sopra il cielo (2004), il suo primo romanzo, ha superato la soglia di un milione di copie vendute diventando il caso letterario del 2004, vincitore del premio Torre di Castruccio, sezione Narrativa, e del premio Insula Romana, sezione Giovani adulti. Con Feltrinelli ha pubblicato anche Ho voglia di te (2006, premio Città di Padova) e 3MSC. Emozioni e sogno (2007); con Rizzoli, Scusa ma ti chiamo amore (2007), Cercasi Niki disperatamente (2007), La passeggiata (2007) e Diario di un sogno (2008). I suoi libri sono stati pubblicati in quindici paesi europei e inoltre in Argentina, Brasile e Giappone.

Dai suoi libri sono tratti i film omonimi Tre metri sopra il cielo (2004), Ho voglia di te (2007) e Scusa ma ti chiamo amore (2008, di cui Moccia è anche regista).























Indice

Introduzione


Settembre


Giovanni, il fratello di Carolina


Ottobre



Silvia, la mamma di Carolina


Novembre


Dario, il papà di Carolina


Dicembre


Gennaio


Luci, la nonna di Carolina


Febbraio


Tom, il nonno di Carolina


Marzo


Aprile


Maggio


Giugno


Luglio


Ringraziamenti








Federico Moccia AMORE 14


A Giulia, mio bellissimo sole








È buffo. Non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti.

J. D. SALINGER


Introduzione

È una di quelle giornate che inizia veramente con il sorriso. Sai quando ti guardi in giro e tutto ti sembra più bello, gli alberi che ti circondano, il cielo, qualche sciocca nuvola che sembra voler dire la sua. Bè, ecco, insomma, sei proprio in sintonia con il mondo. Sì, hai proprio un buon feeling... Con il mondo poi. Non che io sia andata così lontano da dove abito. Bè, ora che ci penso, l'altro inverno per la prima volta in vita mia ho oltrepassato i confini dell'Italia. Sono stata a Badgastein.

"Gran bella, ridente cittadina" ha detto mio padre. E io ho sorriso facendolo sentire così fiero di quelle parole. Secondo me le aveva lette da qualche parte, su uno di quei dépliant che aveva portato a casa quando aveva deciso per questo viaggio. Ma non ho voluto insistere più di tanto, ne fargliela pesare e per un attimo ho voluto perfino credere che fossero sue. D'altronde è la prima vacanza che mio padre si è preso d'inverno da quando io sono al mondo. E quindi da quasi quattordici anni. E così ho sorriso e ho fatto finta di niente, anche se ancora non lo avevo perdonato. Perdonato di cosa direte voi... Ma questo è un altro capitolo e non so se mi va tanto di affrontarlo. Di sicuro non adesso, perlomeno. Oggi è la mia giornata e non voglio che possa accadere qualcosa che me la possa rovinare. Deve essere perfetta. E infatti ecco le tre cose che mi sono voluta concedere:

1 ) prendere i cornetti di Selvaggi, i più buoni in assoluto almeno secondo me. Quattro. Due prima e due dopo. Dopo cosa direte voi... questo invece ho molta voglia di spiegarvelo ma lo farò tra poco;

2) farmi dare una bottiglia di vetro e riempirla di cappuccino. Ma quel cappuccino leggero, di caffè non bruciato, di latte magro che quando lo bevi chiudi gli occhi e quasi ti appare una mucca che ti sorride come a dire "ti piace, eh?". E tu fai sì con la testa e intorno alla bocca hai dei baffi leggeri, velati di schiuma color panna e caffè e sorridi felice della tua mattinata.

"Mi scusi, mi può dare un po'"di panna montata?"

"Va bene così, signorina?"

"Sì, grazie."

Dio come li odio quando ti chiamano signorina. Ti fanno sentire più piccola di quello che sei, come se uno non avesse dei pensieri all'altezza dei loro. E solo l'esperienza in meno che potrei o non potrei avere. Ma non certo l'intelligenza. Comunque faccio finta di niente e dopo che mi ha dato lo scontrino, vado a pagare alla cassa. Non faccio in tempo a mettermi in fila che una signora, e non certo signorina, mi passa avanti.

"Scusi?"

Mi guarda con aria da finta svampita e fa come se niente fosse. Lei, bionda mesciata con un profumo pesante e il trucco ancora peggio, con dell'azzurro che neanche Magritte avrebbe avuto mai il coraggio di usare in uno dei suoi quadri più esplosivi. Lo so perché l'abbiamo studiato a scuola quest'anno.

"Scusi?" le ripeto. E vero che oggi non mi va proprio di rovinarmelo, ma così ingoierei un sopruso e credo proprio che qualche volta durante la giornata potrebbe tornar su. E non vorrei che questo stupido ricordo arrivasse proprio in un momento di felicità. Perché sono sicura che oggi io sarò felice.

E così le sorrido lasciandole un'ultima possibilità. "Forse non se n'è accorta ma c'ero prima io. E poi, se le interessa, dopo di me c'è il signore."

E così dicendo indico il signore che sta accanto a me, un tipo elegante sui cinquant'anni o forse sessanta, insomma di sicuro più grande di mio padre. Il tipo sorride e fa "Bè, in effetti c'era prima lei".

Meno male che non ha detto "la ragazzina" e così, fiera del mio punto, passo avanti e pago. Cavoli, sono stata punita. 7,50 euro per un po'"di panna e tre cappuccini! Mah, in questo mondo non ci si capisce più nulla.

Infilo dentro il mio portamonete i 2,50 di resto e me ne vado.

Prima di uscire vedo che il signore elegante con un gesto fa passare la "colorata". E lei passa, come se niente fosse, anche alzando il sopracciglio e fa addirittura una strana smorfia, come a dire "e meno male". La guardo meglio: ha dei pantaloni troppo stretti in fondo, una cintura enorme con un" H centrale, una grossa collana d'oro o di qualcosa del genere con due grosse C e quando si gira per andarsene, sul sedere, che non è da poco, le spuntano una D e una G. Ma è tutta un alfabeto questa qua! E il tipo elegante l'ha fatta pure passare avanti!

Non c'è niente da fare. I maschi quando vogliono sanno proprio come farsi fregare.

Uno che non si farà mai fregare però è Rusty James. Io lo chiamo così perché secondo me ha qualcosa di americano. In realtà si chiama Giovanni, è tutto italiano e soprattutto è mio fratello. Rusty James. Erre Jay. R. J. ha vent'anni, capelli lunghi, è sempre abbronzato anche se non fa una lampada neanche a pagarlo, un fisico che tutte le mie amiche dicono da urlo, e io sottoscrivo, anche se non posso dire di più visto che sono sua sorella e sennò cadrei in peccati ancora più grandi di quello che commetterò oggi. Ma di quello parleremo dopo, l'ho già detto. E comunque R. J. è troppo forte. Mi sta sempre vicino e capisce tutto. A lui basta uno sguardo, poi mi sorride, scuote la testa, si mette a posto i capelli, mi riguarda e mi fa arrossire perché vuoi dire che ha già capito tutto. Cavoli quanto è forte R. J. ! Che poi non ci siamo mai detti nulla di che, ma abbiamo sempre avuto un gran bei rapporto d'amore, fatto di poche parole e grandi silenzi, di quelli che parlano però, che ti fanno capire che ti hanno capito insomma. Che ne so, quando sono stata sgridata a ottobre, o era febbraio? In effetti non è facile ricordarsele tutte, e sono stata messa in punizione come non mi capitava da tempo, è bastato un suo breve sguardo e subito mi sono ripresa. Mi ha ricordato il film che ho visto con Steve McQueen, Papillon.

Ecco, io ero reclusa nella mia stanza e lui è venuto lì, ha bussato e io ho aperto. Mi ero anche chiusa a chiave e lui mi ha sorriso e io pure ed è bastato quello. E non ci siamo detti niente. Ma io ho pensato che dovevo avere la stessa faccia di Papillon perché avevo pianto un sacco e quando mi sono guardata allo specchio mi sono spaventata talmente ero "consumata". Cioè, non che mi fossi stropicciata troppo gli occhi, ma li avevo comunque rossi e non si sa com'è, anche se non avevo un filo di trucco perché ancora non ho imparato molto sulla tecnica del "maqui", ma questo pure sarà un capitolo a parte, delle lacrime mi erano scese lungo le guance e mi avevano rigata tutta. Ma di questo me ne sono accorta solo dopo. E comunque R. J. mi ha fatto una carezza sotto il mento e poi mi ha sorriso e mi ha abbracciato forte, come solo lui sa fare e io da quel momento lì avrei potuto resistere ancora di più in quella mia prigionia. Anche se per fortuna non è durata tanto. Invece chi non si è proprio fatta vedere quel giorno, neanche un ciao o come va o un messaggino sul cel tanto per far sentire la sua solidarietà, è stata Ale. Mia sorella Alessandra. Che poi non sono mica sicura che sia mia sorella. Cioè, è l'opposto di me. Capelli scuri, lunghi, alta 1,65, formosa, anche troppo, con un seno che secondo me rasenta la quarta, trucco a gogò esattamente come il cambio uomini che fa, uno ogni mezza stagione. E per questo non poche volte è stata messa in punizione, eppure io ero sempre lì, puntuale e solidale con lei, con il suo dolore, più o meno reale forse. Ma chi siamo noi per mettere in discussione ciò che provano gli altri? E qui faccio un po'"la filosofa... E comunque io c'ero tutte le volte, mentre lei non si è fatta proprio vedere.