Io.
Salgo le scale di corsa. Suono la porta, mi apre Ale.
"Ciao..." Poi attraverso il corridoio. "Mamma. Sono tornata."
Ma dove sono? Non c'è nessuno in cucina. Le porte di vetro del salotto sono chiuse. Ale mi passa accanto. "Sono di là. Secondo me ne avranno per un bei po'... Io mangio." E se ne va in cucina. Magari la raggiungo. Prima però voglio sapere cosa sta succedendo. Sono troppo curiosa. E così mi avvicino. Sento la voce di mia mamma.
"Ma magari ci ripensa."
Mio padre che come al solito urla. "E certo, è per questo... E" colpa tua che ogni volta lo difendi! "
E attraverso uno spiraglio vedo la scena. Ci sono loro due e poi mio fratello. Rusty James serio in mezzo a loro. "Ma perché litigate? Perché alzi la voce, papà? Perché te la prendi sempre con mamma? Lei non ha colpa. E" una mia decisione. Ho quasi vent'anni... potrò prendere le mie decisioni, giuste o sbagliate che siano, o no?"
"No! Va bene? No, perché sono sbagliate! " mio padre urla di nuovo. "Non possono che essere sbagliate... E" chiaro? Lasci l'università! E cosa ci può essere di giusto in questo?"
"Che a me non piace fare Medicina."
"Eh certo, vuoi la passione. Vuoi diventare uno scenografo."
"Uno sceneggiatore. "
Mio fratello scuote la testa e si siede sul bracciolo della poltrona. Mio padre ricomincia. "Ah certo... e tutti i soldi che io ho speso
per farti studiare, per farti laureare in Medicina, per darti un domani un posto? Che ne fanno? Persi, tutti soldi buttati. Tanto a te che ti frega, no? "
Mio fratello sospira.
"Te li ridarò, va bene? Ti restituirò tutto quello che hai speso per me. Così non avremo più debiti. "
Vedo papà che si muove dal tavolo e arriva da lui e lo prende per il giubbotto e lo tira per la manica e lo fa quasi cadere dal bracciolo, strattonandolo con rabbia. "Senti non fare lo strafottente con me..." Rusty James quasi scivola. Si rialza e finisce davanti a lui, in piedi. Papà è più basso. Ma finiscono lo stesso per mettersi uno di fronte all'altro e mio padre lo prende per il bavero. "Hai capito? Eh? Hai capito?" Urla sempre più forte, con la bocca spalancata tenendolo per il collo del giubbotto con la sua faccia a un millimetro da quella di Rusty. Urla sempre più forte. "Hai capito o no?" Speriamo che non succeda niente. Sembrano quelle scene da film dove poi qualcuno ha un coltello o una pistola, oppure entra un tipo che dice mani in alto e comunque spara e insomma alla fine uno finisce sempre per terra, morto. Ma quello è un film, però. Mentre qui... Papà e Rusty si avvicinano sempre di più. Papà lo tiene per il collo del giubbotto. Rusty è irremovibile, duro, poi inizia a spingere con il petto per mandarlo indietro. Anche papà spinge, i suoi piedi scivolano sul parquet del salotto, sul tappeto rovinato. Papà indietreggia, Rusty lo spinge, papà resiste ma non ce la fa. Rusty sorride. Papà leva una mano dal bavero, gliela mette in faccia e Rusty James gira il viso dall'altra parte come un cavallo che scalpita, che sfugge al suo padrone, ribelle, rabbioso, imbizzarrito, è quasi lo scontro.
"Fermi, fermi!" Mamma si mette in mezzo a loro. Prima che sia troppo tardi, prima di finire sul giornale, prima che quello stupido gioco diventi qualcos'altro. "Fermi!" Meno male... se no sarei entrata io nella stanza. Bè, insomma, sì, forse lo avrei fatto. "Basta... Non litigate, non fate così..."
Rusty James si allontana. Respira profondo. Ha una faccia che non gli avevo mai visto. Anche papà respira, ma lo fa in maniera più veloce. Come se gli mancasse il fiato, se avesse fatto troppo sforzo in quello strano gioco, comunque violento, di spingersi. Poi ritrova la parola, si pettina quei pochi capelli scomposti e quasi annaspa quando comincia a parlare.
"Io non gli pago da mangiare e da dormire perché non combini un cavolo nella vita. Io mi sveglio ogni mattina all'alba e vado in ospedale a lavorare, ad aprire la strada per lui in modo che un giorno, dopo l'università, diventi medico e lui che fa? Lo strafottente, sputa sui soldi che gli ho dato, sul mangiare, sulla nostra casa."
"Io non ci ho mai sputato..."
"Lo stai facendo adesso! Dovresti avere rispetto! Dovresti avere almeno il coraggio di ammetterlo. Non ti sta bene? Allora non accetti neanche di stare qui e di mangiare per poi fare quello che vuoi... Dovresti avere il coraggio di andartene..." Papà lo guarda sorridendo, sfidandolo quasi... Poi si lascia cadere su una delle vecchie sedie del salotto. E continua a guardarlo quasi ridendo, con un'espressione beffarda, strafottente, con cattiveria, come lo può essere solo papà.
"Ma già, che sciocco... tu non hai coraggio..."
E Rusty James fa una cosa che non mi sarei mai aspettata. Mette la mano destra improvvisamente dietro, nella tasca dei jeans. Oddio tirerà fuori il coltello o peggio, la pistola come dicevo prima. Invece no. Tira fuori una busta. È una lettera. Guardo meglio. C'è scritto per mamma. Infatti gliela da "Tieni... è per te". E mentre gliela consegna guarda per l'ultima volta papà. "Vedi... Sapevo già quello che avresti detto. Sei scontato." E questa volta ride lui andandosene. Ma la sua è una risata triste, amareggiata, delusa, priva di vero divertimento. Faccio appena in tempo a nascondermi. Vado nell'altra stanza mentre lui esce veloce. Attraversa il corridoio e va verso la porta di casa. La sento sbattere. Allora torno subito al mio posto, nel mio nascondiglio da dove ho seguito fino a quel momento tutta la scena. Mamma ha aperto la busta, ha tirato fuori la lettera, la sta aprendo. E così mi avvicino un po'"di più alla porta. Ecco. Mamma comincia a leggere con gli occhi pieni di timore, su e giù velocemente destra e sinistra, divorando le parole come se cercasse qualcosa, qualcosa che già sa. E papà la guarda, forse infastidito, socchiude gli occhi, un po'"sconfitto dal fatto che Rusty James aveva già immaginato tutto. Poi sbatte la mano sul tavolo.
"Non lo so! Se mi vuoi leggere qualcosa anche a me! Così eh, chissà che ci sto a fare io in questa casa."
E mamma fa un lungo respiro, poi comincia: "Mamma, non prendertela, ma se ti ho consegnato questa lettera vuoi dire che ormai è andata così. Credo che tu sia una persona stupenda... Che fatichi ogni giorno, che ti svegli presto la mattina..."
"E" già! Perché invece io dormo, non faccio niente io, non lavoro io, no, vero?" Mamma si ferma un attimo. Lo guarda. Papà alza la mano verso di lei. "Sì, sì, vai avanti, vai avanti! "
Mamma ricomincia a leggere. "Questa lettera ormai la porto in tasca da sei mesi. E questa sera l'ho riscritta perché dicendo che avrei lasciato l'università a papà sapevo già quello che sarebbe accaduto, e che quindi non ci sarebbe stato più tempo per lasciartela. Sono stato bene in tutti questi anni..." Mamma si ferma un attimo, ha una specie di singhiozzo. Poi fa un respiro lungo, un altro e poi un altro ancora più lungo, e ricomincia a leggere. "Ma credo che a vent'anni io debba ancora cercare di essere felice. Quando papà mi ha iscritto a Medicina, ho cercato in tutti i modi di fargli capire che quello non era ciò che avrei voluto fare nella mia vita. Ma lui niente, testardo com'è, con il fatto che pensa di conoscere tutti i baroni medici...".
"E certo, perché invece li conosce lui i veri sapientoni. Ma voglio proprio vedere che farà se non studia, che fa? Come mangia? Dove va a stare? Tanto qui deve tornare!"
Mamma lo guarda e stringe gli occhi, improvvisamente si indurisce, papà non sa che se uno le tocca Rusty James lei può diventare una tigre.
Poi mamma fa un respiro lungo, ancora più lungo dei precedenti e riprende a leggere.
"So tutta la tua fatica, la tua pazienza e il tuo amore, e non ho dubbi che tu capirai la mia scelta di lasciare Medicina e di fare quello che veramente mi piace: scrivere. Ti ricordi quando ti leggevo i temi di italiano? Tu una volta mi hai detto che ti divertivano, che facevano ridere e poi ti commuovevano. Ecco mamma. Io vorrei che tu capissi che in qualche modo mi hai dato tu il coraggio di non ignorare la mia passione. Non voglio vivere una vita triste fatta di giorni uno dopo l'altro a sperare solo che il tempo passi, senza un sorriso, un'emozione, la speranza di un successo desiderato, sì, magari cadere ma poi però rialzarsi e rimettersi ancora con più impegno a cercare di riuscire, di farcela. Ho la possibilità di vivere quell'entusiasmo che anche tu in qualche modo hai dovuto soffocare. Voglio diventare uno scrittore, scrivere per il cinema, per il teatro o scrivere un romanzo, mi piace leggere e studiare e conoscere i testi di altri, quello che non è mai interessato a papà. Mille volte ho cercato di comunicargli il mio desiderio e ogni volta aveva qualcosa di meglio da fare: guardare la partita, leggere il "Corriere dello Sport", andare a giocare a carte con i suoi amici. Non credo neanche che gliene importi veramente molto della mia decisione. Lui è così, non può ammettere che gli altri abbiano almeno loro una passione. Grazie mamma per tutto quello che mi hai dato, e soprattutto perché sei stata tu a darmi questo coraggio. Ne sono sicuro, non poteva che arrivare da te e puntare in alto, fare una vita diversa da quella che qualcun altro, senza amore nei miei confronti, avva già deciso per me."
Papà non ci vede più. Si alza di botto, sfila di mano a mamma a lettera. "Brava. Brava, hai visto? È colpa tua se mi tocca sentire a quest'ora, dopo una giornata di lavoro, tutte queste stronzate!" E la strappa in almeno tre pezzi.
"Nooo! Fermo! " Mamma gli si avventa addosso. E lottano. E riesce a fermarlo prima che la faccia in mille pezzi. Poi cadono a terra alcuni frammenti di quella lettera. Mamma si piega, comincia a raccoglierli mentre papà scuote la testa ed esce dal salotto. Faccio una corsa e mi infilo di nuovo nel mio nascondiglio e vedo passare anche lui che se ne va in camera da letto. E sbatte la porta. E" il segnale. Esco di nuovo. E piano piano entro nel salotto. Mamma è in ginocchio, sta raccogliendo ancora dei pezzi della lettera, poi mi vede, mi guarda con il viso un po'"dispiaciuto, ha gli occhi teneri e tristi, anche un po'"lucidi, come se volesse piangere ma frenasse le sue lacrime. Allora mi chino vicino a lei, e piano piano l'aiuto a raccogliere tutti quei pezzetti di carta. E poi, quando per terra non c'è più niente, ci alziamo e li disponiamo sul tavolo, e inizia a metterli insieme. E cerchiamo di allisciarli perché alcuni pezi sono troppo rovinati. E io non so perché ma me ne esco così: "E come fare un puzzle...". E non vorrei averlo mai detto, ma per fortuna lei sorride. Poi quando finalmente abbiamo indovinato tutti gli incastri e ogni frase anche se spezzata ha il senso giusto, il suo significato, mamma si allontana, va all'armadio, quello con le vetrine, con i vecchi piatti importanti he usiamo solo per le feste. Apre un cassetto e tira fuori lo scotch, lo porta al tavolo e inizia a farlo scorrere, ne fa una striscia lunga i poi lo strappa con la bocca perché i dentini della macchinetta on funzionano più. Prende quel primo pezzo e lo attacca sul folio, così da fermare quelle parole strappate e io con tutte e due le mani tengo ferma la pagina. E in silenzio fa combaciare bene il primo pezzo di carta. Poi prende un altro pezzo di nastro adesivo, lo tira, lo taglia con i denti e lo mette su un altro strappo, questa volta dall'alto verso il basso. E mi guarda, e mi sorride, piena di dolore. Poggiando la sua mano sulle mie, allisciando il foglio, spingendo sullo scotch appena messo perché tenga meglio. E continuiamo così, in silenzio, per un bel po'.
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