"Dai passala! Passala!" Ma Fabio, che gioca contro, è più veloce e gliela ruba e parte verso l'altra porta insieme a Stone. E Bretta si arrabbia, si gira e corre pure lui verso la sua porta.
""Ti avevo detto di passarla, te lo avevo detto!" Troppo tardi. Stone e Fabio fanno goal con una pallonata forte sulla saracinesca del garage arrugginito che rimbomba fino su per le scale. Ricky rimane in mezzo al cortile con le braccia sui fianchi. Fa un respiro lungo per riprendere fiato. Poi con la mano si porta indietro i capelli. Sono sudati, lunghi come sempre. Bretta passa lì vicino arrabbiato e da un calcio a una molletta rotta caduta da chissà quale stendino.
"Siamo tre a zero per loro..."
"E capirai! Ora li rimontiamo."
"Seee, va bè..."
Poi Ricky guarda in su, in direzione delle scale. E mi vede. I nostri sguardi si incrociano. Mi sorride. E io un po'"arrossisco e scappo via. Corro veloce su per le scale e in un attimo sono di nuovo lì. Allora. Tre anni prima. Io avevo undici anni, lui tredici. Ero innamoratissima di Riccardo. Di quell'amore che non sai bene cosa significa, che non sai dove inizia ne dove finisce. Ti piace vederlo, incontrarlo, parlarci, ti sta simpatico e dopo un po'"che non lo vedi ti manca. Insomma quell'amore lì che è di un bello... perché è assurdo. E" amore allo stato puro. Senza l'ombra di un pensiero, solo felicità e sorrisi. E voglia di fare regali, come quelli che desideri ricevere tu dai tuoi genitori e che a volte però loro non ti fanno perché in quel caso non è compito loro.
14 febbraio. San Valentino. È stata la mia prima volta. Il mio primo regalo a un uomo. Un uomo... un ragazzo! Un ragazzo... un bambino. Mi fermo qui và, perché dopo quello che ho scoperto su di lui, non so più quale parola dovrei usare.
Drin.
"Carolina vai tu ad aprire che io ho le mani sporche, sto cucinando..."
"Sì mamma.
"Prima di aprire chiedi chi è! "
Alzo gli occhi al cielo. Ma ti pare che mi dice sempre le stesse cose!
"Hai capito?"
"Sì mamma." Mi avvicino alla porta. "Chi è?"
"Riccardo." Apro e me lo trovo di fronte con i suoi capelli lunghi, così lunghi... ma pettinato. Con una camicia di jeans leggera, in tinta con i suoi occhi blu, un sorriso felice, per niente imbarazzato che poi finisce per sottolineare quello che ha tra le mani.
"Tieni, ti ho portato questo."
"Grazie." Rimango lì sulla porta. Poi prendo quel pacchetto e lo giro, lo guardo meglio. E una piccola panchina di ferro con due cuori seduti sopra. Sono di stoffa rossa, un cuore ha le trecce, l'altro i capelli neri.
"Siamo noi due..." Sorride Ricky. "E lì sotto ci sono dei cioccolatini."
"Tieni," glielo ridò, "aspetta, aprilo tu. Io vado un attimo dentro."
E torno poco dopo, proprio quando è riuscito a togliere il nastro e tirar via la carta trasparente e finalmente prende un cioccolatino dalla scatola e lo guarda per vedere di che sapore è. Ma io sono più veloce. Non se lo aspetta.
"Tieni." Gli do anch'io un pacchetto, Ricky lo guarda confuso, se lo rigira tra le mani.
"È per me?" E certo, vorrei dirgli. E per chi se no? Ma sorrido e faccio solo sì con la testa. E lui è felice e scarta veloce il suo pacchetto. E se lo ritrova così tra le mani. Un cappellino. "Che bello. Blu come piace a me. L'hai fatto tu?"
"Ma che! " rido. "Le iniziali, sì! " E gliele faccio notare sul bordo: R e G. Ricky Giacomelli. Ma in realtà mento. E chi le sa fare! Cucire? Se solo prendo un ago mi buco. Peggio delle rose del giardino. Però ho dovuto mettere a posto la cucina non so quante volte per avere poi il coraggio di chiedere a mia madre di fare quelle iniziali sul cappellino. E non era tanto per la cucina da mettere a posto, quanto per le domande che già sapevo che ci sarebbero state su quelle iniziali. E per chi sono? Come mai glielo regali? E cosa avete fatto? E cosa abbiamo fatto, mamma! Ma saranno pure affari nostri. Anche perché non c'è niente di peggio che non avere il coraggio di ammettere neanche con se stessi che non sai proprio cosa fare... Non ti immagini assolutamente nulla.
Ricky se lo mette.
"Come ci sto?"
"Benissimo" sorrido e rimaniamo così sulla porta a guardarci. Poi Ricky prende un cioccolatino.
"Ti piace fondente?"
"Sì, molto." E me lo passa. Lui lo prende al gianduia. Li scartiamo insieme, guardandoci, sorridendo, appallottolando le carte stagnole dorate. Poi lui mi prende la mia dalle mani e la mette intorno alla sua, facendo così una palla dorata più grande, la lascia cadere nel vuoto e la colpisce al volo con un calcio, gli fa fare un arco e la fa volare fuori da una finestra aperta sulle scale.
"Ehh... goal." Fa lo spiritoso e alza tutte e due le mani al cielo. E io batto le mani divertita. "Bravo! Forte!" Ma poi tutto rientra nel silenzio delle scale. In quel pomeriggio invernale, a un passo da quella pioggia sottile che cade un po'"più in là, dov'è finito quel piccolo pallone da calcio improvvisato. E così rimaniamo in silenzio a guardarci. Ricky si leva il cappellino. Ci gioca tra le mani, ora leggermente imbarazzato. Guarda giù, guarda le sue mani, poi di nuovo i miei occhi. Così faccio io. Poi improvvisamente Ricky si avvicina, la sua testa ondeggia verso di me... Come se... Come se... Sì, mi vuole baciare. E io verso di lui. Proprio oggi, il primo bacio, San Valentino, la festa...
"Che carini! I due innamorati che si stanno per baciare! "
Mia sorella, che idiota!
"Ci stavamo solo salutando!"
"Sì, sì... salutatevi presto allora perché di là ha detto mamma che è pronto."
Poi per fortuna se ne va.
Ci guardiamo solo un attimo, imbarazzati. Poi Ricky cerca di risolvere la situazione. "Vieni stasera?"
"Dove?"
"A casa di Bretta, fa la festa."
"Ah sì, è vero! Me ne ero completamente dimenticata! " E rimaniamo così sulla porta. Guardandoci in silenzio. "A tavola!" Ripassa mia sorella. E ride. Giuro che la odio. "Bè, ciao. Ci vediamo stasera" e chiudo la porta. Ricky corre su di corsa felice, si infila il cappellin. E sorride. Stasera la rivedo. Ma non parlava di me! Parlava di Rossana. E sapete chi è? La mamma di Bretta. Già perché questo l'ho scoperto solo la sera della festa. E mi ha fatto crollare il mondo. Una delusione incredibile. Poi ho capito che il mondo dei maschi non può crollare. E" fatto così.
Ora vi racconterò cosa è successo, cosa andava avanti da settimane a mia insaputa. Ho raccolto indizi, dettagli e qualche cosa me l'ha raccontata perfino Bretta. Ma mai e poi mai avrei creduto che Riccardo, quel ragazzo romantico e carino che mi aveva regalato la panchina con i due cuori innamorati, potesse arrivare a tanto.
Riccardo abita in un attico, all'ultimo piano del nostro palazzo e proprio di fronte a lui c'è il palazzo di Bretta. Che poi il suo vero nome è Gianfranco. Da cosa e come è uscito fuori Bretta non l'ho mai capito. Ma questa è un'altra storia. E sinceramente troppo diffìcile per me. Comunque un giorno Riccardo stava studiando in camera sua. Uno di quei noiosi pomeriggi dove non si riesce a far entrare in testa niente. Era lì e ormai stava tramontando, e studiava sul tavolo di fronte alla finestra ancora ben illuminato e non aveva ancora acceso la luce del tavolo, quando improvvisamente nel palazzo di fronte al suo, nell'appartamento di Gianfranco, ehm Bretta se no uno si confonde, si accende una luce. E" un attimo. Come se stesse per accadere qualcosa. Quella stanza vuota, quella luce accesa, nessuno che entra, quell'attesa che crea una lenta suspense. Ed ecco che nella stanza entra Rossana. E" nuda, completamente nuda, senza niente addosso. Ha appena fatto la doccia. Si asciuga i capelli frizionandoseli con un asciugamano. Riccardo non crede ai suoi occhi. Si alza dal tavolo e chiude la porta della sua stanza, anche se non c'è nessuno in casa, così, solo per stare più sicuro. E continua a guardarla.
Lei, Rossana, la madre del suo amico, non particolarmente bella, ma che seno grosso che ha. E poi non so, il fatto di... sì, insomma, di spiarla in qualche modo. Bè, questa cosa lo eccita ancora di più. Rossana butta l'asciugamano sul letto e sparisce di là, uscendo dalla stanza.
Riccardo rimane un pochino al tavolo aspettando. Ma i secondi passano, i minuti anche, mentre la sua voglia resta. E così dopo un po'"non facendocela più, gli viene un'idea. Va in camera di sua madre, ancora non aveva il telefonino ma sapeva che a casa di Bretta non avevano il "chi è" sul telefono fisso e compone il numero di casa di Bretta. Poi corre di nuovo al tavolo in camera sua e si siede trafelato e ancora più eccitato. Dopo poco vede entrare di nuovo in camera da letto Rossana. E" ancora nuda. Ma i capelli un po'"più asciutti e va veloce verso il telefono, alza la cornetta ma naturalmente dall'altra parte non c'è nessuno.
"Pronto? Pronto?"
Riccardo sorride, poi chiude il telefono guardandola mentre nuda scuote la testa. Si friziona i capelli, apre l'armadio indecisa su cosa mettersi. Rimane lì con il suo corpo che spunta ogni tanto nudo e rosato da quell'anta mezza aperta. Si vede la sua schiena che sa da lontano di bagnoschiuma e crema. E quell'asciugamano ormai umido buttato sul letto e quella sensualità che esce dalla finestra semiaperta. Rossana va di là. Riccardo compone di nuovo il numero. E lei torna nuda come prima. E si avvicina al telefono. E Riccardo è già di nuovo lì di fronte, al suo tavolo. E la vede rispondere, nuda come prima.
"Pronto? Pronto?" Rossana aspetta un secondo guardando la cornetta muta. "Ma chi parla?"
Poi si gira proprio verso di lui, con il suo seno nudo, grande, ancora più grande nella luce di quella stanza. Riccardo sorride nella penombra, nel silenzio della sua stanza si sente solo il rumore di una zip che scende, quella dei suoi pantaloni. Poi un sospiro eccitato che si perde tra i suoi movimenti e quelli della donna lì di fronte. Lei si piega, si infila lentamente un paio di mutandine prese da un cassetto dell'armadio troppo in basso per non essere ancora più eccitante. E questa storia, quando Riccardo è a casa da solo, continua per settimane.
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