Quarantasei


"Allora? Non siete puntuali… Non la prendo la gente così. Mi aveva assicurato Mouse… Come al solito non mi devo fidare di certa gente."

Alex e Niki sono fermi davanti all'albergo. Niki sbuffa. Claudio Teodori è un ex giornalista italiano che ormai da molti anni fa la guida. Mouse ne aveva parlato spesso ad Alex, ma non gli aveva detto che era così burbero.

"Allora? Volete salire o no?" Claudio li guarda seduto a bordo della sua Mustang rossa, antica almeno come lui. "Che vi ci vuole, l'invito scritto?"

Alex e Niki non se lo fanno ripetere due volte e salgono a bordo dell'auto. Claudio quasi non aspetta che Alex abbia chiuso il suo sportello che è già partito.

"Forza, andiamo a fare colazione."

Alex sorride cercando di fare amicizia. "Di solito siamo puntualissimi…"

Claudio lo guarda e gli fa uno strano sorrisetto. "Ecco, usano tutti questa parola: puntualissimi. Ma non esiste! Si può essere puntuali o non esserlo. Non c'è il superlativo. Non si può arrivare ancora più puntuali… se si arriva puntuali."

Alex guarda Niki e inghiottisce. Ahia, questo non l'avevo proprio immaginato. Non sarà facile. E invece, contro ogni pronostico il burbero Claudio si rivela una sorpresa. Fa scoprire loro una New York diversa, inaspettata, lontana dalle solite immagini che rimandano rotocalchi e servizi in tv. Non la città dei giri turistici, ma la New York che non ti immagini, che non conoscerai mai se non la giri in questo modo.

"Non è cattivo… è che lo disegnano così" sorride Niki.

Vagabondano lungo l'East e il West Side di Manhattan mentre Claudio racconta il tempo dei nativi, dei pirati, della costruzione del ponte di Brooklyn e degli interventi urbanistici di Robert Moses.

"Quante cose sai, Claudio… è tanto che vivi qui?" chiede Niki curiosa.

"Quanto basta per capire che i newyorchesi si dividono fra quelli nati a New York e tutti gli altri e io sarò per sempre un "tutti gli altri", non conta da quanto sto qui. Ho imparato tante cose del loro modo di vivere, che ora è anche il mio."

"Racconta…"

"Ad esempio il brunch, il pasto che si fa generalmente la domenica, a metà tra la colazione e il pranzo. Si va nei locali di domenica mattina, si chiacchiera e si legge il "New York Times". A New York ci sono decine di locali dove fare il brunch, tipo il Tavern on the Green, il Mickey Mantle's, vicini a Central Park. E poi gli happy hour che ora vanno anche da voi ma non allo stesso modo. Qui gli impiegati lavorano generalmente dalle nove della mattina fino alle cinque del pomeriggio. E la gente non è che poi va subito a casa, ma si ferma nei bar a bere qualcosa e in vari locali si offrono due drink al costo di uno…"

Claudio li guida nei quartieri nascosti, tra i mormoni, dal vecchio rigattiere a SoHo, fino a entrare nel covo di una banda cingalese nel Bronx, con tanto di bandiere della gang, foto e mutandine appese come trofei di più o meno vere e antiche conquiste.

"Per un attimo mi sono ricordato quel film, The Warriors… I guerrieri della notte…" Claudio si gira e dice serio ad Alex: "Dovrei lasciare in quel covo quelli che ritardano più di cinque minuti…". Poi sorride. "Scherzavo… Non lo farei mai. Quelli non hanno il senso dell'umorismo. Guardate là…" e indica una specie di megalavanderia dentro un grande capannone tra graffiti stinti e case popolari. "Qui nel Bronx vanno di moda i negozi- matrioska, specie ora che c'è crisi…"

"E che vuol dire?"

"Un negozio dentro l'altro per risparmiare spazio e affitti. Lì ad esempio c'è Hawa Sidibe, una parrucchiera malese che usa un angolo della lavanderia subaffittato dal titolare per il suo lavoro. Mentre gli abiti girano nei grandi oblò dell'asciugatrice, lei taglia i capelli ai clienti. Ma non solo. All'occorrenza vende anche bigiotteria, biancheria e altro. Non potrebbe permettersi un negozio fuori da qui… Così, mentre una signora porta i suoi vestiti a lavare, inganna l'attesa facendosi pettinare. Non male, eh? Succede anche a Jackson Heights nel Queens. Condividono gli affitti e ottimizzano i servizi… Alcuni negozi sono in regola, altri no…"

Alla fine Claudio li riporta nel centro di Manhattan. "Ora forza, scendete. Fine della gita e inizio del vostro shopping!"

"Arrivederci…"

"E grazie!"

Alex e Niki guardano la macchina allontanarsi. "Fiuuu… C'è andata bene…"

"Sì, abbiamo rischiato grosso."

"Secondo me un po'"ci faceva."

"E un po'"c'era! Comunque ora New York la conosciamo veramente bene. Forza, andiamo." Ed entrano da Gap e poi da Brooks Brothers e poi da Levi's.

"Non ci credo… Costano pochissimo e hanno quelli introvabili che piacciono tanto a me…"

"Prendili, amore!"

E poi da Century 21. "Ma qui hanno di tutto…"

"E di più!" E trovano le cose più diverse e incredibili, dal cappotto di velluto a costine al famoso giubbotto in pelle che qui vendono a poco, dai pantaloni di marca a quelli sconosciuti, e ogni volta che si fermano da qualche parte e controllano la loro mappa sulla Lonely Planet, c'è sempre una donna, un uomo, un ragazzo o un poliziotto americano che si ferma accanto a loro e dice "May I help you?".

Alex e Niki si guardano e poi rispondono in coro: "Yes, thanks". Ormai anche questo è diventato un gioco.


Quarantasette


Più tardi in albergo per una doccia, questa volta veramente veloce, e poi ancora in macchina con Fred per arrivare in tempo allo spettacolo Vuerzabruta.

Gli spettatori, al centro di un piccolo teatro, sono tutti in piedi, si spostano seguendo lo spettacolo. Alex e Niki abbracciati tra gli altri, stranieri tra cento stranieri, guardano in su. Un telo trasparente con l'acqua sopra, giochi di luce e donne nude e uomini che con loro si lanciano su questo strano scivolo e poi ancora uomini e donne che corrono in circolo sui lati alti del teatro, attaccati a un cavo. Ballerini e ballerine perfettamente a tempo cercano di prendersi, si rincorrono, si spingono e di nuovo si avvicinano, giochi di luce in una strana guerriglia fisica e sensuale su teli dorati e, all'ultimo, un'esplosione improvvisa con mille piccoli foglietti d'argento che cadono dall'alto, lenti, ballando su se stessi e segnando così la fine dello spettacolo.

"Allora, com'era? Aveva ragione mio figlio?" "Sì. Bellissimo… Unico. Veramente bravo questo coreografo, lo avevo letto. Non è il primo spettacolo di successo, ne hanno parlato anche in Italia…"

"Già." E continuano così fino ad arrivare a uno spiazzo. "Ecco, ci siamo. Perfettamente in orario." Niki non capisce. "Ma che succede?" Alex la prende per mano. "Dobbiamo scendere." Niki segue Alex. "Ma che c'è qui? Non vedo niente…" "Già…" Alex guarda in alto. "Perché sta arrivando." E proprio in quel momento, da dietro un grattacielo, insieme a tutto il suo rumore compare lui, un grosso elicottero nero con le grandi pale sopra e i riflessi d'argento sotto, e piano piano scende atterrando nella piazzola di fronte a loro. Il pilota apre il portello laterale facendo segno di salire. Niki si stringe forte ad Alex. "Io ho paura!"

"Amore, non ti preoccupare. È una cosa bellissima, sono americani, i migliori, lo fanno ogni giorno… Sul serio, tesoro… Non devi aver paura, non di cose così. La paura non ti permette di vivere, a volte."

Quest'ultima frase la convince e Niki si lascia portare, si siede all'interno, vicino a lui, gli stringe forte il braccio. Alex chiude il portellone ed è il segnale, l'elicottero fugge via di lato, si alza così, tra i grattacieli, e con un'abile virata è già alto nel cielo. E man mano che sale il rumore è come se si attutisse, lontano dalle mura dei grattacieli rimbomba di meno.

Niki guarda i due piloti seduti davanti a lei e piano piano si rassicura, molla la presa del braccio di Alex. "Meno male… Me lo stavi stritolando…"

Niki non risponde. Guarda giù e fa un respiro lungo. "Mamma mia… È pazzesco… Siamo altissimi… Però hai ragione. La paura a volte non ti fa vivere cose così belle…"

Alex sorride. Già pensa tra sé. Per poco la paura non mi rovinava tutto quello che ho preparato. E proprio in quel momento, come convenuto, gli arriva un messaggio sul telefonino. Lo apre, lo legge.

"Vi vedo, state arrivando, è tutto pronto. Mouse."

Allora Alex risponde velocemente. "Ok." Poi fa un bel sospiro. Non c'è più tempo. Ora o mai più. Solo ora.

"Niki…"

Si gira verso di lui felice di tutto. "Sì?"

Alex deglutisce. "Sono diverse notti che non dormo per cercare le parole adatte, per riuscire a farti capire quanto ti amo, quanto ogni tuo sorriso, ogni tuo respiro, ogni tuo minimo movimento siano la ragione della mia vita, vorrei resistere, vorrei dire che non è così, vorrei far finta di niente… Ma non è possibile…"

Alex guarda di nuovo fuori. Ormai ci sono, i tempi sono perfetti. L'Empire State Building è proprio davanti a loro. Si volta ancora verso di lei.

"Mi dispiace, ma è proprio così… non posso farci niente!"

Niki lo guarda e non capisce. "Ma di che cosa?"

Alex allarga le braccia.

"Niki, scusa…"

"Scusa?"

E in quel momento l'ultimo piano del grattacielo di fronte a loro si accende nella notte. E Niki vede comparire una grande scritta, immensa, perfettamente illuminata, come se fosse giorno. Allora Alex le sorride leggendola. "Sì, scusa ma ti voglio sposare!"

Niki rimane a bocca aperta e quando si gira lo vede lì, davanti a lei, con in mano un astuccio aperto. Un anello con un piccolo diamante sopra brilla nella notte. Alex sorride emozionato. Brilla anche lui, quasi.

"Niki?"

Niki è a bocca aperta.

Alex le sorride. "Di solito a questo punto la donna, in questo caso tu, dovrebbe dire di sì oppure no…" Niki si lancia su di lui. "Sì, sì, sì! Mille volte sì…" E rischia di far cadere tutti e due dal seggiolino.