"Bè, ora scappo, sennò faccio veramente tardi." Gli dà un bacio veloce sulle labbra. "Ci sentiamo dopo! Ti chiamo" ed esce lasciandolo così, con mezzo biscotto in mano e mezzo sorriso sulla faccia.

"Sì… Ciao, amore…" E per un attimo ripensa a quella frase che cantava Mina. "Adesso, ti prego o mai. Ora o mai più, sono sicura che m'ami anche tu."

Sorride e si mangia anche l'ultimo mezzo biscotto. Saltare ora o mai più. Ma non è vero. C'è ancora tempo. Finisce il cappuccino. Almeno un po', spero.



Tre


La hall dell'edificio è immensa. Tutto è dipinto di bianco e c'è molta luce diffusa. I pavimenti sono in resina e trasmettono una sensazione quasi lunare. Una grande scalinata a spirale abbraccia una delle pareti e sale su. Appese ovunque, gigantografie di campagne pubblicitarie di varie collezioni degli anni passati a testimoniare l'importanza e la solidità di quella casa di moda. Subito dopo le porte a vetri, due signorine belle e ben vestite accolgono chi entra. Sono sedute a due piccole scrivanie, ognuna con il portatile aperto davanti e il cordless vicino. Accanto alla reception un bancone bar offre un po'"di tutto per intrattenere gli ospiti che aspettano il loro appuntamento. Dall'altro lato ci sono un lungo tavolino basso in madreperla con sopra delle riviste di moda e alcuni quotidiani, e davanti un comodissimo, immenso divano bianco. Due donne sui quarantanni sono sedute in apparente attesa. Indossano tailleur attillati e stivali beige con tacco a spillo. Sono ben truccate e pettinate e una di loro ha una cartella da lavoro in pelle. Parlano in modo sofisticato e sembrano ignorare di proposito quello che succede intorno a loro. Poi una guarda l'orologio e scuote la testa. Evidentemente qualcuno le sta facendo aspettare troppo.

Di colpo la grande porta a vetri scorre e lascia entrare una bellissima ragazza di colore, vestita semplicemente con jeans, maglione e sneakers, seguita da altre donne con alcuni portabiti scaricati da un Suv parcheggiato davanti all'ingresso. La ragazza si siede sul divano accanto alle due signore, che subito la osservano, cercando di mostrare indifferenza. La salutano con freddezza e poi riprendono a parlare tra loro. Lei ricambia il saluto con un sorriso e controlla annoiata il suo cellulare. Intanto le altre donne che sono con lei continuano a scaricare vestiti imbustati. Probabilmente è una modella che deve sfilare per qualche cliente.

Olly sta camminando su e giù, nervosa. Cerca però di controllarsi. Ha scelto con cura ogni dettaglio dell'abbigliamento. Indossa

un bellissimo paio di pantaloni bianchi, una maglia e un giubbino attillato color lilla, con una grande cintura in vita. Ha con sé una cartellina dove tiene alcuni disegni e varie fotografie stampate su supporto rigido. E ovviamente il curriculum che aveva già spedito in precedenza, insieme alla richiesta di stage. Le batte forte il cuore. Non sa come andrà il colloquio. Chissà quante domande ricevono. Anche se lo stage purtroppo è pagato una miseria, farlo qui sarebbe una grande occasione. Poterci stare alcuni mesi, lavorare a qualche campagna, entrare nelle simpatie di qualcuno, potrebbe aprirle tante porte. Anche per un lavoro vero. Almeno così spera.

La ragazza di colore si alza dal divano. Una delle due signorine della reception le ha fatto cenno di avvicinarsi. Olly riesce a sentire cosa si dicono, la stanno aspettando al piano di sopra. Lei si volta, dice alle signore che sono con lei di seguirla. E inizia a salire la scala con movenze eleganti e inequivocabili.

Cavoli, pensa Olly, è davvero bellissima. Ma io? Quando tocca a me? E guarda l'orologio. Sono già le sei. Mi avevano detto alle cinque e mezza. Uffa. Iniziano a farmi male anche le scarpe. È da stamattina presto che le porto. Non sono abituata. Mi sono messa i tacchi troppo alti. Poi lancia un ultimo sguardo alla modella prima che sparisca in cima alla scala. Beata lei che ha le scarpe da ginnastica. Ma lei è già a posto. Già lavora.

Dopo qualche istante, una delle due signorine si affaccia. "Mi scusi, signora Crocetti…"

Olly si volta. "Sì?"

"Mi hanno appena avvertita che può salire. Egidio Lamberti la sta aspettando. Vada su e bussi alla prima porta a destra. Comunque c'è il nome sulla targhetta…" e le stampa un sorriso cortese ma trattenuto.

Olly ringrazia e inizia a salire. Egidio. Che razza di nome. Ma chi è, uno del Mille avanti Cristo? È un nome troppo antico. E mentre sale a metà scala inciampa nella cartellina che ha sbattuto su un gradino. Olly si volta per vedere se nella hall qualcuno ci ha fatto caso. Le due signore, ancora sedute sul divano, ovviamente sì. La stanno fissando. Olly si gira di nuovo in avanti. Si ricompone. No, non voglio sapere che faccia faranno o se rideranno di me. Non voglio che mi portino sfiga, quelle due tristone impettite. E a testa alta continua a salire. Arriva al piano superiore. Guarda a destra. Vede la porta e il cartellino. Egidio Lamberti. Bussa delicatamente. Nessuno risponde. Bussa di nuovo ma con un po'"più

di energia. Ancora nessuna risposta. Ci prova per la terza volta ma lo fa troppo forte. Si mette la mano sulla bocca come a dire ops, che esagerata. Finalmente una voce dall'interno.

"E meno male… Entri entri…"

Olly alza il sopracciglio. E meno male cosa? Mica è colpa mia se mi ha fatto aspettare più di mezz'ora. Io ero puntuale. Anzi, in anticipo. Che voce, poi, tutta nasale. Brutta sensazione. Poi abbassa piano la maniglia. "Si può?" Tiene la porta accostata per qualche secondo infilandoci solo la testa e sbircia dentro. Attende un cenno, qualcosa. Tipo un "prego". Ma nulla. Allora si fa coraggio, apre del tutto la porta ed entra, richiudendosela alle spalle.

Dietro un tavolo di cristallo molto grande, un uomo sulla quarantina, stempiato, con gli occhiali dalla montatura vistosissima, vestito con un maglioncino leggero rosa, una camicia rossa sotto e con un borsalino a quadri in testa, sta seduto e guarda il monitor di un Mac. Solo quarantanni. Il nome gli sta pure peggio, pensa Olly.

L'uomo non alza gli occhi. Le fa solo cenno di avvicinarsi.

Olly titubante fa qualche passo. "Salve, buongiorno, mi chiamo Olimpia…"

Non le dà nemmeno il tempo di dire il cognome. Sempre senza guardarla dice: "Sì sì, Crocetti… lo so. Gliel'ho dato io l'appuntamento. Lo saprò chi è, no? Si sieda, su. Olimpia, che nome…".

il cuore di Olly batte sempre più forte. Ma che vuole? Olimpia che nome? Il suo invece? Bruttissima sensazione. No, no, no. Non così. Recupera. Coraggio. Respira, dai, non è nulla. È solo uno un po'"arrabbiato, magari ha dormito poco, ha mangiato male, non ha fatto l'amore stanotte, o da chissà quanto non lo fa… ma è pur sempre un uomo… Ora me lo lavoro un po'. Olly cambia espressione e veste la sua faccia col miglior sorriso possibile. Accattivante. Aperto. Sereno. Intrigante. Il sorriso di Olly all'attacco.

"Bene. Sono qui per la richiesta di stage… Sarebbe un onore per me…"

"E ti credo che sarebbe un onore per lei… siamo una delle case di moda più importanti al mondo…" e continua a digitare sulla tastiera del portatile, sempre senza guardarla.

Olly deglutisce. Stramegabruttissima sensazione. No. Qui non si tratta di una giornata storta. Questo è proprio acido di suo. Sì. Uno di quei caratteri difficili e stressati, uno di quelli che lavora troppo e sta sempre sul pezzo e non si rilassa mai. Ma ce la posso fare. Ce la devo fare.

"Verissimo. Proprio per questo ho scelto voi…"

"No, lei non ha scelto noi. Noi non veniamo scelti. Noi scegliamo" e stavolta alza gli occhi dal monitor e la fissa. Così, diretto, senza appello. Olly sente le guance che arrossiscono. E anche la punta delle orecchie. Meno male che non si è legata i capelli, altrimenti ora si vedrebbe. Fa un altro respiro più lungo. Lo odio. Lo odio. Lo odio. Ma chi è? Ma chi si crede di essere?

"Giusto. Ovviamente. Dicevo solo che…"

"Lei non deve dire. Deve farmi vedere i suoi lavori e basta. Sono loro che parleranno per lei… Dai…" e fa un gesto sbrigativo con la mano. "È qui per questo, no? Vediamo cosa sa fare… e soprattutto quanto tempo ci farà perdere."

Olly inizia a innervosirsi per davvero. Ma tiene duro. A volte bisogna saper incassare per ottenere quel che si vuole. Inutile mettersi ora a ingaggiare un testa a testa. Certo però che è proprio stronzo… Fa un altro respiro. Prende la cartellina e la apre sul tavolo. Tira fuori i suoi lavori. Vari disegni realizzati con diverse tecniche, alcuni anche di abiti. E poi fotografie. A Niki. Diletta. Erica. A estranei per strada. Ritratti. Scorci. Paesaggi. Li sfila uno a uno e li mostra a Egidio. Lui li prende, li gira, li rigira, alcuni li scarta di lato con aria annoiata. Borbotta qualcosa tra sé. Olly fa fatica a sentirlo, si sforza e si allunga un po'"sul tavolo.

"Mmm… Banale… Scontato… Orrendo… Semipassabile…" Egidio spara una serie di aggettivi in fila e sottovoce, man mano che esamina i lavori. Olly si sente morire. I suoi lavori. Il frutto di tanta fatica e fantasia, di notti insonni, di intuizioni da cogliere al volo sperando di avere a portata di mano foglio e matita o la macchina fotografica, trattato così, con sufficienza, anzi con schifo, da un tizio che si chiama Egidio e si veste di rosso e di rosa. Come un geranio. Poi arriva all'ultimo. Una rielaborazione con Photoshop di una delle ultime campagne pubblicitarie di una casa di moda. Anzi, per essere precisi, della loro casa di moda. Egidio la guarda. La osserva. La scruta. E comincia di nuovo a borbottare qualcosa sottovoce.

Eh no. Stavolta no. Olly prova a intervenire. "Questa l'ho fatta così, per sentirmi già un po'"parte di voi…"

Egidio la guarda da sopra gli occhiali. La fissa intensamente. Olly si sente in imbarazzo e distoglie lo sguardo verso la parete a destra. E lo vede. Lì, in bella mostra, sopra un mobile di legno pregiato in stile moderno. Un grande e prezioso trofeo con sotto una targa. "A Egidio Lamberti, l'Eddy della moda e del gusto. British