"Ma c'è anche una corrente di pensiero che lo vuole simbolo dell'amore puro e infinito. L'emblema di Margherita d'Orléans era una calendula che girava attorno al sole con il motto: "Io non voglio seguire che il sole"."

"Resta comunque un bellissimo fiore e…"

"E…?"

"E…" Niki sorride sicura. "E bastava questo, senza bisogno di tutte quelle parole, per mettere a posto le cose."

"Ma non è vero! Ho sbagliato, me ne sono andato, mi ha innervosito ricordare la storia del professore e Lucilla, e poi il fatto che tu addirittura lo vedevi come uno sensibile e innocente mi infastidiva ancora di più… E per questo ho sbagliato, non sono rimasto padrone di me stesso, ho poggiato la tua borsa sul muretto, t'ho mollato lì, non ti ho accompagnato su a segnarti all'esame. Che sarebbe stata la cosa che avrei voluto fare di più al mondo in quel momento, e invece tutta la situazione si è incasinata, ho finito per rovinare tutto…"

Niki non sa bene che fare, è leggermente imbarazzata. "Credo che tu ci abbia dato troppa importanza… Pensa che mi sentivo io in colpa…"

Guido sorride. "Sì, ma non mi hai regalato un fiore per rimediare…"

"Non così in colpa."

"Ok. Ho la moto qui vicino. Posso accompagnarti a casa?"

Niki rimane un attimo in silenzio. Un attimo troppo lungo. Guido capisce che non è il caso di esagerare. "Facciamo almeno

un pezzo di strada fino a piazza Ungheria insieme, tanto andiamo nella stessa direzione, no?"

"Ok." Niki apre il bauletto, prende il casco e se lo infila. Mette la chiave, la gira, il quadro si illumina. Il motorino si accende. Cavoli. Mi vuole accompagnare a casa. Mi vuole scortare per un pezzo. E sa dove abito. Si è informato, ha chiesto di me. E per un attimo il cuore le batte più veloce, ma è una strana emozione. Cerca di capirla, di interpretarla. Paura? Vanità? Insicurezza? E in quel momento Guido riappare vicino a lei con una Harley Davidson 883.

"Che bella, è tua?"

"No, l'ho fregata stamani!" e sorride. "Ma certo che è mia… La sto ancora pagando!"

"Anch'io amo tanto le moto. Non so, mi danno un senso di libertà, non stai mai fermo, svicoli nel traffico, nessuno ti può fermare… Sei sempre libero."

"È proprio questa la filosofia dei motociclisti. Perdersi nel vento."

Niki sorride, poi scende dal cavalletto, fa un lungo respiro. "Andiamo." Un vento leggero è come se riordinasse i suoi pensieri. Niki ora è più serena, sicura. E proprio vero, si è informato su tutto e sa anche che sono fidanzata. Guida tranquilla, lui è poco più indietro e ogni tanto incrocia il suo viso nello specchietto del motorino. Guarda i suoi capelli nascosti sotto il casco, il naso dritto, il sorriso che improvvisamente appare. Si è accorto che lo sta guardando. Anche Niki sorride, poi guarda la strada. Certo che è un bel ragazzo. Una cosa è sicura, fossi stata Lucilla non lo avrei mai lasciato per quel professore. Ma lo ha detto anche lui prima, non si sa mai nulla veramente fino in fondo, a volte ci facciamo suggestionare dalle apparenze. Appunto. E se dietro quel sorriso ci fosse una persona cattiva, un egoista, uno di cui una volta che ti innamori sei perduta, non ti farà che soffrire… Niki! Quasi si urla da sola in mezzo a quei pensieri… Che fai? Ma che ti frega di com'è davvero. Ed è come se tutti quegli uccelli piano piano riprendessero posto tra i rami. Che dici? Che cosa ti inquieta… Tu non rischi nulla. Tu sei di Alex. Hai avuto coraggio, ti sei buttata, hai rischiato e sei felice di quello che hai trovato. Si ferma al semaforo rosso di viale Regina Margherita. Guido la raggiunge. Niki gli indica in fondo alla strada. "Io alla prossima giro a destra…"

"Sì, lo so. Io invece vado dritto. Abito a via Barnaba Oriani."

"Ah sì? Non siamo lontanissimi."

"No. Infatti." Guido sorride. "Magari una volta di queste passo da te e andiamo insieme all'università."

"Oh…" Niki prende un attimo di tempo, poi trova la risposta sicura. "Ancora non ho capito quali corsi mi interessano…" Vede che Guido sta per dire qualcos'altro e trova una scusa che non dà appello. "Poi io dopo le lezioni o vado dal mio ragazzo o in palestra… O comunque ho sempre qualcosa da fare con le mie amiche… Quindi devo essere indipendente." Poi vede che scatta il semaforo verde. "Ciao… Ci vediamo presto." E parte a tutto gas.

Guido le è subito dietro, fanno un ultimo pezzo di strada insieme. E lui insiste. "Ma così…" le dice lui, "è tutto un po'"monotono, no? Ci vorrebbe un imprevisto…"

"La vita è un continuo, bellissimo imprevisto." Poi Niki svolta a destra. Un ultimo sguardo, un sorriso e via, per due strade diverse. Ecco, uno così ci vorrebbe a Erica, sarebbe perfetto. Sono sicura che in questo modo comincerebbe sul serio una nuova storia e lascerebbe vivere Giò. È assurdo che continuino a farsi male. Si lasciano e si riprendono e intanto, quando sta da sola, lei ne prova qualcun altro e non gli dice mai nulla. Giò non so che combina. Ma perché la gente ama tanto farsi del male? Perché non riesce a trovare il proprio equilibrio? Se una persona non l'ami più glielo devi far capire chiaramente, non la puoi tenere appesa a un filo solo per le tue insicurezze. Che cosa potrà mai succedere? E mollala… Tutto il resto è vita. Si va avanti… Avanti.

E Niki continua serena e sicura verso casa, lasciandosi accarezzare da quel piacevole vento, senza pensare più a nulla, con quelle felicità e tranquillità che a volte ti travolgono e ti fanno sentire bene, al centro di tutto, senza invidie o gelosie, senza preoccupazioni. E non sai nemmeno da che parte arrivi, una specie di equilibrio talmente perfetto che hai paura perfino a pronunciarlo. Ti sorprende per quanto sia raro e difficile, quello strano delicatissimo magico accordo dove il tuo mondo sembra improvvisamente suonare nel verso giusto. Sono attimi. Attimi che andrebbero vissuti con la massima coscienza e consapevolezza perché sono rari. E perché a volte, senza un vero e proprio motivo, possono finire all'improvviso.


Trentacinque


Primo pomeriggio. Susanna ha appena finito di sistemare la cucina dopo il pranzo. Sul tappeto blu sono sparsi vari giochi. Lorenzo prende un pacchetto di carte dei Gormiti e le sfila una a una. Controlla bene cosa gli manca. Poi si alza, va a prendere il suo telefonino disperso in un angolo del grande tappeto persiano, lo apre e digita un sms. Dopo qualche secondo gli arriva la risposta. Lorenzo la legge soddisfatto.

"Evvai, Tommaso ha il doppione di quella che mi manca! Domani a scuola me la faccio portare… ma io che gli do in cambio?" e continua a spulciare le carte, cercando anche lui qualche doppione di cui liberarsi e che possa essere di qualche interesse per l'amichetto.

Carolina invece sta facendo un incontro di boxe con la Nintendo Wii. È in piedi in mezzo al salotto davanti al grande schermo al plasma appeso alla parete. Sta in posizione. Ha scelto l'avatar che secondo lei le somiglia di più, una faccia rotonda e sorridente con le lentiggini e i capelli scuri raccolti in una coda. Le sopracciglia le ha disegnate girate in alto, un po'"da cattiva. Preme il tasto dietro il telecomando ergonomico e inizia il match. Sta combattendo contro la consolle, che ha le sembianze di un omaccione grosso e peloso ma con la faccia buona. Lo ha scelto lei. Inizia. Si piega sulle ginocchia e comincia a boxare, tenendo i pugni in alto, stretti vicino alla faccia. E ogni tanto spara dritto fendendo l'aria. Sul monitor il suo avatar riproduce le azioni, muovendosi come vuole lei anche se un po'"rallentato. Carolina colpisce ancora e ancora.

"Sì! Evvai, l'ho buttato giù! KO!"

Lorenzo alza la testa e vede sulla tv l'omaccione sdraiato per terra e l'avatar rimasto in piedi sul ring col fiatone. Attorno il pubblico fa il tifo. "Sì, va bè, ma quello mica è il più forte! Dammi qua…" e si alza. Prende il controller Wii dalle mani di Carolina e si mette in posizione.

"Oh, uffa, io mica ho finito di giocare… Mamma!"

"E dai, c'hai giocato fino a ora!"

"Va bè, ma allora facciamo uno contro l'altro, vai a prendere l'altro controller!"

"No, mammaaaa… uffa! Io voglio giocare contro il computer!"

Susanna sbuca dalla cucina. "Oh, ma allora! La fate finita? Tanto sono le tre. Forza, in camera a fare i compiti!"

"Ma, mamma… ho poca roba, li posso anche fare dopo…" dice Carolina sbuffando.

"No. Hai già giocato. Li fai ora e basta. Lo sai. Non si discute su questo. Anche tu, Lorenzo, forza, rimetti a posto le carte e i giochi nel cestone e vai di là!"

I due bambini scocciati obbediscono a Susanna. Carolina spegne la consolle e Lorenzo butta tutto nel cestone, tranne le carte che raccoglie con cura e rimette nel loro astuccio di plastica. Poi vanno di là insieme, dandosi qualche spintarella.

Susanna li vede sparire nel corridoio. Si siede sul divano. Si mette comoda, sistemando meglio un cuscino dietro la schiena. Poi si guarda intorno. La casa. La sua casa. La loro casa. I quadri alle pareti. Quello di Schifano. Paesaggio anemico. Proprio come si sente lei ora. Poi quelle cornici con dentro le foto. Momenti di famiglia insieme. I bimbi piccoli. Un suo ritratto fatto dal fotografo, con lei che indossa un grande cappello bianco con le tese. Pietro vestito da calciotto e un'altra con un bel vestito durante il matrimonio di un amico. Ricordi. Lui. Pietro. Quanto ti ho amato. Quanto mi piacevi alle superiori, quando facevi ridere tutti. Quando facevi il furbo e te la cavavi sempre. E poi ci siamo fidanzati. E grazie a te mi sentivo bellissima, una regina, la migliore di tutte. Quanti regali. Quante attenzioni. Le cene. I gioielli. Le vacanze. Poi l'università, la laurea, il lavoro, lo studio. Sì, te la sei sempre cavata. Quanto mi hai presa in giro. Quanto ti ho creduto. Per me eri un mito. Una persona ammirata e da ammirare. Una persona che mi faceva sentire al centro dell'attenzione. Ma perché mi hai fatto questo? Mi hai tradita. Chissà quante volte. Hai toccato, amato, apprezzato altre donne al posto mio. Le hai guardate, ti sei eccitato e mi hai messa da parte. Che rabbia. Che umiliazione. Pensarti con loro, a letto con loro, in macchina con loro o a farle ridere, scherzare, farle sentire importanti. Cosa dicevi loro che non hai detto a me? Non lo so. Non lo saprò mai. Mi fa troppo male. Non lo accetto. E gli occhi di Susanna si velano di lacrime. Rabbia. Delusione. Debolezza. Mi sento sola. Sono sola. Mi