— «Sì, mamma, l’ha fatto. Sono venuto appena ho potuto.»

Dopo aver pronunciato quelle parole Tancredi sentì tutto il peso di quella bugia. Quella donna anziana, ormai stanca, quella donna illusa, forse ancora innamorata di quell’uomo, non poteva sapere. Non doveva sapere.

Allora la madre l’abbracciò di nuovo e lo strinse a sé.

«Tuo padre è forte… Ma questa volta ho paura.»

Tancredi teneva le braccia lungo il corpo e senza volerlo si toccò la tasca della giacca. La lettera, quelle foto terribili, erano tutte lì, a un passo da sua madre. Sarebbe bastato un niente per farle vedere chi aveva avuto vicino, quale mostro aveva dormito nel suo letto, aveva approfittato di sua figlia. Dall’età di quattro anni fino a quell’ultima notte, quando Claudine, esausta, non sapendo più come affrontare il peso di quella storia, non aveva trovato altra soluzione. Si era tolta la vita.

Claudine. Claudine che non aveva conosciuto l’amore, che non era uscita con un ragazzo, che non aveva dato un bacio, che non aveva detto “ti amo”, che non aveva pianto per una storia finita o festeggiato per una appena iniziata. Claudine che aveva vissuto il sesso co-me una tortura, una punizione ricevuta da chi, più di tutti, avrebbe dovuto invece amarla.

Allora Tancredi abbracciò sua madre e cominciò a piangere. E lei quasi ne fu sorpresa. Si staccò da lui, gli asciugò le lacrime, gli accarezzò i capelli e gli sorrise cercando di consolarlo.

«Su, su, non fare così.»

Tancredi piano piano tornò a controllarsi. «Ti voglio bene, mamma. Ti chiamerò presto.»

E se ne andò, portando via con sé quell’unico dolore, il peso della verità.


«Sofia, guarda…»

Il girello procedeva lentamente. Andrea riusciva a muovere le gambe, avanzava piano, un passo dopo l’altro, tenendosi forte sulle braccia, trascinando a tratti le gambe ma riuscendo anche a piegarle.

«Hai visto? E come se fossi tornato bambino!» Sorrideva felice, il suo entusiasmo riempiva la casa, era come se ci fosse una luce nuova, si riusciva quasi a toccare l’energia di quella nuova vita.

Sofia lo guardava sorridendo. Andrea si staccò dal girello e si lasciò cadere sul divano.

«Basta, non ce la faccio più.»

«E passato appena un mese. Ce ne vorranno almeno sei per essere indipendente e riuscire a fare qualcosa di più senza appoggiarsi. Te l’hanno detto.»

— Andrea era tutto sudato. «Per me comunque è stato un miracolo. E poi quando mi è arrivata quella newsletter e ho saputo di questo professore, dei suoi studi sulle staminali applicate all’interno del midollo osseo, era la mia storia, non volevo crederci… Questa è la grandezza di una rete di comunicazione, di internet! La criticano tanto ma ci permette di essere informati in continuazione.»

Sofia gli fece una carezza su un braccio.

«Già.» Aveva le vene ingrossate per lo sforzo.

«Vuoi qualcosa da mangiare?»

«Sì, magari.»


Si alzò e andò in cucina. Poco dopo tornò con una bottiglietta di Gatorade.

«Intanto prendi questo. Ormai è come se ogni volta tu facessi una vera e propria partita di calcetto.»

Andrea sorrise. «E magari fra un anno, questo potrà accadere veramente.» Poi diede un lungo sorso.

Proprio in quel momento suonarono al citofono. Sofia si alzò e rispose.

«Sì, ti apro.»

Poi tornò in salotto. «Sta salendo Stefano.»

Andrea cercò di tirarsi su, poggiandosi sui braccioli del divano. Piano piano ci riuscì.

Sofia gli avvicinò la sedia a rotelle, la tenne ferma, così che Andrea riuscì a scivolarci sopra.

«Ecco fatto.»

Poi Sofia prese al volo un asciugamano e glielo passò sulla fronte. «Tanto suderai un bel po’ anche lì.»

Suonarono alla porta, lei andò ad aprire. «Ciao.»

Stefano era di buonumore.

«È pronto il nostro campione?»

«Certo!» Andrea scivolò sulla sedia a rotelle infilando la porta di casa, tanto che Stefano si spostò veloce.

«Mi hai quasi preso!»

«Vedrai che prima o poi ci riesco.»

Poi Stefano si rivolse a Sofia.

«Mi ha detto Lavinia se vi va di venire a cena da noi sabato…»

«Perché no, dopo magari la chiamo.» Poi chiuse la porta. Rimase nel silenzio improvviso di quella casa. Si sedette al tavolo e cominciò a pensare. La vita e i suoi mille rivoli.

Stefano si era offerto di accompagnare ogni pomeriggio Andrea a fisioterapia. Stefano il buono o Stefano che in qualche modo si sentiva in debito? Era forse merito della storia finita tra Lavinia e Fabio? Lavinia e Stefano di quel tradimento non avevano mai parlato, era come se non fosse mai esistito, avevano fatto finta di niente. La coppia %

era tornata unita come prima, più di prima, felici come sempre. Sofia si guardò intorno nel salotto, vide alcune foto delle loro vacanze, quella del suo matrimonio, poi il girello. “È così che voglio la mia vita? Questa seconda occasione per Andrea vuol dire qualcosa di diverso anche per me?”

Ripensò a sua madre, a quando era andata nel parco con quella valigia, illusa d’amore, pronta a partire.

E perché non l’aveva fatto? Perché lui era sposato e amava sua moglie. Ma è necessario essere sempre così sicuri, bisogna avere per forza delle certezze per abbandonare ciò che non ci piace della nostra vita, per averne una semplicemente bella? Ecco, una vita bella. Ma è lei che improvvisamente sceglie di farsi bella per te o te la puoi costruire? E senza volerlo si ricordò le ultime parole di Andrea, uscite così per caso. Le tornarono in mente, come un’eco, rimbombarono nella sua testa, improvvisamente stonate rispetto a tutta quella storia. “E

poi quando mi è arrivata quella newsletter e ho saputo di questo professore…” Ma come? Aveva sempre detto di aver trovato tutto lui, di esserne venuto a conoscenza navigando su internet. Allora Sofia prese il computer.

Cos’era quella novità della newsletter? C’era solo una persona che avrebbe potuto aiutarla.

«Cioè? Non facciamo lezione ma ti devo risolvere questo?»

Jacopo Betti, il dodicenne fissato con la tecnologia guardò sorpreso Sofia.

«Sì, entro stasera però. Lo devo riportare a casa.»

«Ok… Ci sto. Tra due ore massimo sarò qui.»

Sofia continuò la lezione con la giovane Alessandra, una piccola promessa a modo suo, se non altro nel saper fare della musica classica una vera e propria moda.

«Vorrei essere un po’ come Giovanni Allevi.»


«Cioè?»

«Lui è un genio, fa finta di non capire nulla, così può dare le risposte più sconclusionate e nello stesso tempo guadagna un sacco di soldi facendo ciò che più gli piace! Come dice mio fratello, il vantaggio di essere intelligenti è che si può sempre fare gli stupidi!»

Sofia rise.

«Ma non credi che la sua possa essere semplicemente una grande passione?»

Alessandra alzò le spalle.

«Mah, non so. Ormai è proprio poca la gente che fa qualcosa in maniera sincera.»

Sofia la guardò meglio. Undici anni ed era già così disincantata. Com’era lei a undici anni? Amava la musica e basta, ascoltava i dischi di classica, li suonava al pianoforte, cercava disperatamente di ripetere a orecchio concerti impossibili. Si divertiva, a undici anni. A undici anni era sincera.

Poi anche quella lezione finì.

Sofia rimase da sola nella stanza, quando sentì bussare. Aprì la porta curiosa.

«Ciao, ti volevo salutare.» Era Olja.

«Vai a casa?»

«Sì, ma a casa mia. Torno in Russia.»

A Sofia si strinse il cuore. Per lei era stata molto più di un’insegnante. Si accorse che stava per piangere, accadeva troppo spesso in quell’ultimo periodo.

Olja le prese la mano e la strinse.

«Non fare così. La Russia è vicina. Hanno inaugu-rato da poco un nuovo treno, per adesso si chiama il ” “. È come il vecchio Orient Express. Io parto con quello e tu potrai raggiungermi quando vuoi. Se poi insisti e vuoi per forza ricominciare a suonare, be’, non sarò certo io a impedirtelo, anzi, sarò molto felice di farti…»

«Da maestra.»


«Sì, da maestra.»

E si sorrisero così, come due amiche e quella differenza d’età non si notò, si vedeva solo un grande amore.

Sofia, rimasta da sola, fece alcuni accordi al pianoforte, tanto per ingannare il tempo, poi si accorse che era tardi e uscì per strada. Iniziò a scendere le scale quando lo vide arrivare di corsa.

«Ehi, prof, scusa ma non è stato facile.»

Jacopo Betti era tutto sudato con il suo computer sottobraccio. «Ecco qua! È tutto qui.»

Le passò un foglio. Jacopo la guardava soddisfatto.

«Martin Jay è il miglior hacker di tutta Europa, secondo me anche del mondo! Se è stato difficile per lui, vuol dire che era impossibile per chiunque altro. Ha trovato chi ha mandato quella newsletter, c’è segnato il nome su quel foglio. Se hai bisogno di altro, io ci sono sempre.»

Le sorrise e se ne andò così, con i pantaloni un po’

calati, uno strano mix di ragazzo, tra il rapper e l’hacker, obbligato dai genitori a cimentarsi con Chopin.

Sofia aprì il foglio e quando vide il nome vacillò: “Nautilus”. La società all’interno del palazzo dell’avvocato Guarneri.

Allora erano stati loro a suggerire l’operazione, loro avevano spedito la mail all’indirizzo di Andrea, e forse erano stati proprio loro a fare quel prezzo. Cinque milioni di euro sarebbe stato impossibile per tutti ma quello sarebbe stato anche il suo punto debole, solo così lei avrebbe ceduto e sarebbe stato possibile comprarla.

Ma perché Andrea aveva detto di aver trovato la notizia di quell’operazione navigando su internet? Perché non le aveva detto che aveva ricevuto una newsletter? Una distrazione o una bugia? Quindi anche Andrea sapeva?