Il professore Mishuna Torkama era al centro della stanza,’ aveva le braccia alzate e la sua assistente stava finendo di calzargli i guanti.
«Ecco il nostro amico…»
Subito dopo il suo ingresso, alcuni infermieri si avvi-cinarono al letto e intorno ad Andrea si chiuse un cerchio di camici blu. Gli furono attaccate alcune flebo, l’anestesista lo avvertì che mancavano pochi istanti. Poi sotto quell’ultima mascherina riconobbe i tratti del professore asiatico.
«Tra poco dormirà, scelga il posto dove vorrebbe andare. Al mare, in montagna, partecipare a una maratona. Sogni quello che vuole…»
Andrea si stava addormentando.
«Perché se tutto va bene, se noi…» il professore guardò i suoi colleghi, «se saremo bravi, il suo sogno si avvererà.»
I colleghi risero. Qualcuno disse qualcosa ancora ma Andrea non ci fece caso. Finalmente si sentì sereno.
Cercava di restare sveglio ma gli occhi gli si chiudevano.
“Una maratona. Non sarà facile. Sono un po’ fuori allenamento. Meglio una vacanza.” Li riaprì e lentamente li richiuse. “Ecco, al mare, una passeggiata su una spiaggia proprio come quelle di cui mi ha parlato Sofia.” E
con la massima fiducia in una nuova vita si addormentò del tutto.
Maria Tondelli camminava tranquilla per la sua strada. Aveva fatto la spesa a quel nuovo supermercato GS.
Era apparso da un giorno all’altro proprio lì a un chi-lometro da dove lei ormai abitava da quattro anni. Per essere un quartiere nuovo di Torino, stava acquistando importanza e valore. Gli ultimi palazzi costruiti erano stati edificati con grande stile e cura. Era arrivata anche una nuova linea di filobus, che con i suoi sedili colorati era un’ottima soluzione per andare in centro in maniera comoda e senza trovare traffico.
C’era solo un piccolo problema. Maria Tondelli non avrebbe potuto abitare in un posto come quello. Il villino dove viveva era oltre le sue possibilità o almeno di quelle che sarebbero dovute essere. Veniva dalle Marche, era l’ottava figlia di una famiglia molto umile.
Il padre era pastore e la madre faceva la sarta in un piccolo negozio. Per l’esattezza tutta la famiglia viveva in un piccolo paese vicino a Chiaravalle dove a rappresentare la vita notturna c’era solo un piccolo pub. Tutti i suoi fratelli erano rimasti in quel paese a vivacchiare, a intrecciare relazioni più o meno riuscite con qualche ragazza del posto.
Maria Tondelli invece era stata un’avventuriera rispetto a loro. Aveva lasciato il paese e aveva trovato lavoro.
Tancredi guardò i fogli che Savini gli aveva procura-to. C’era voluto pochissimo tempo per avere notizie su quella donna e c’era tutto: soldi, guadagni, conti, lavori precedenti.
Per un periodo aveva frequentato degli uomini anziani, si era fatta pagare per delle vere e proprie pre-stazioni fino a quando, questo passaggio non era molto chiaro, era diventata una cameriera presso la villa Ferri Mariani. Aveva lavorato per tre anni da loro e poi, appena due settimane dopo la morte di Claudine, aveva lasciato il lavoro. La polizia, una volta classificata quella morte come suicidio, aveva cercato, come spesso accade quando c’è di mezzo una famiglia importante, di chiudere il caso il prima possibile. Un’attenzione pro-lungata da parte dei media non sarebbe stata altro che una mancanza di rispetto nei confronti di quel dolore.
E così infatti accadde. Tutto rientrò in tempi molto brevi e in quei salotti che erano soliti frequentare non se ne parlò più. Dopo i funerali di Claudine fu come se tutti si fossero messi d’accordo, l’argomento non venne mai sfiorato. Fu naturale quindi che allora nessuno ci avesse fatto caso. Ma dopo circa dieci giorni dalla morte di Claudine, Maria Tondelli, una ragazza di bassa estrazione sociale, che veniva dalle Marche e prendeva un ottimo stipendio, aveva lasciato, senza un’apparente ragione, la casa dei Ferri Mariani. Perché? C’era stato un problema nella sua famiglia? Le mancava troppo il suo ragazzo? Aveva deciso di sposarsi? Aveva trovato un lavoro migliore? Era diventata particolarmente amica di Claudine e avrebbe sofferto continuando a vivere in quella casa? Savini aveva controllato ogni documento possibile, aveva scavato in ogni direzione. Nulla, la scelta di andarsene non era stata presa per nessuna di queste ragioni né per nessun’altra che in qualche modo potesse sembrare valida.
Quando Maria Tondelli se ne andò, Tancredi non se ne accorse. Era stravolto dal dolore tanto è vero che, appena gli fu possibile, anche lui abbandonò quella casa. Ma se Tancredi sapeva perfettamente per quale ragione lui se ne fosse andato, perché Maria Tondelli avesse abbandonato villa Ferri Mariani era un mistero.
Tancredi riguardò i fogli. Maria Tondelli era la proprietaria di quel villino dove abitava. Eppure non aveva vinto al Lotto né all’Enalotto né al Gratta e vinci né ad un altro gioco o scommessa. Savini aveva controllato anche questo. Quel villino le era stato regalato. Era stato intestato a suo nome da una società fantasma e in questo caso, malgrado le grandi capacità di Savini, non era stato possibile rintracciare a chi facesse capo perché era passato troppo tempo. Ma la cosa più strana e inspiegabile era che Maria Tondelli veniva ancora sti-pendiata della famiglia Ferri Mariani.
La Mercedes seguì per qualche metro la ragazza, poi la lasciò sfilare. Maria tirò fuori le chiavi ed entrò in casa.
Savini spense il motore. «Dovrebbe essere sola.»
Aspettarono qualche minuto poi si presentarono alla porta e suonarono.
Maria urlò da lontano: «Arrivo…».
Aveva già iniziato a preparare qualcosa in cucina, co-sì si asciugò le mani sul grembiule, se lo sfilò e si diresse verso la porta. Quando aprendo vide Savini e Tancredi li riconobbe subito, per un attimo rimase sorpresa, poi provò a chiudere la porta. Ma Savini fu più veloce e infilò il piede bloccandola. Attraverso quel pezzo di porta aperta Tancredi guardò Maria Tondelli. Quando i loro sguardi si incrociarono, le sorrise.
«Ti ricordi di me?» Lo disse con una certa durezza.
«Non vi avevo riconosciuto» mentì Maria, poi cercò di giustificarsi. «Ma è passato così tanto tempo…»
«Già, non ci vediamo da quando è morta mia sorella.» Tancredi non aveva mezzi termini. «Possiamo entrare?»
Li tenne sulla porta. «Non capisco.»
Savini sorrise. «Vuoi perdere questa casa? Vuoi perdere i soldi che ti arrivano ogni mese proprio dalla famiglia Ferri Mariani? Vuoi che i tuoi genitori Damiano e Manuela e tutti quelli del tuo paese sappiano tutto di te? Dei tuoi amanti anziani? Vuoi che aggiunga altro?»
Maria rimase ammutolita, poi capì che non le conveniva e si mise da parte facendoli entrare. Chiuse la porta e li accompagnò in salotto.
«Volete qualcosa da bere?»
«No, vogliamo sapere cosa è successo e perché.»
Tancredi era andato subito al dunque. Poi su quella credenza vide qualcosa e rimase sorpreso. Questa non se l’aspettava. Una foto. C’era Maria Tondelli che sorrideva, era stata fatta lì proprio in quel salotto e accanto a lei c’era la persona che non avrebbe mai immaginato di trovarci.
Tancredi la prese in mano, cercò di capire quando era stata fatta. Aprì la cornice, tirò fuori la foto, la girò, non c’era nessuna data. Intervenne Maria. «Non ci vediamo più da tantissimo tempo.»
Allora era quello il segreto? Erano stati amanti? Perché avrebbe dovuto trattare quella donna in maniera diversa, allontanarla, regalarle una casa, mantenerla per tutto questo tempo?
«Se non parli perderai tutto. Che cosa ti ha portato sin qui?»
«Nulla.»
Savini le parlò in maniera dura. «Forse non ti è chiaro. Ti rovinerò la vita in ogni modo possibile. Perché ti ha dato questa casa? Perché sei ancora mantenuta da lui?»
Maria Tondelli rimaneva in silenzio. Savini intervenne di nuovo.
«Rovinerò la tua famiglia, i tuoi fratelli, contatterò tutti i tuoi ex amanti. Alla fine mi pregherai in ginocchio di smettere…»
Maria si lasciò cadere sul divano, mise la testa tra le mani e cominciò a piangere. Era disperata. Tancredi e Savini le lasciarono un po’ di tempo.
«Allora?»
Poi Maria Tondelli cominciò a parlare.
«La sera che Claudine si tolse la vita…» guardò Tancredi, «lei passò alla villa a cambiarsi e poi uscì di nuovo.»
Tancredi ricordò quel momento con dolore.
«Sì, e tu come molti altri della servitù, eravate nella dépendance. Ma non c’era nessun altro.»
Allora Maria abbassò la testa e fece un lungo sospiro.
Aveva sempre immaginato che prima o poi sarebbe successo. Allora alzò la testa e fissò Tancredi dritto negli occhi confessando quella verità che aveva nascosto per tutti quegli anni.
«No, non andò così. Quella sera dopo che lei se ne fu andato, arrivò lui.»
Erano passate diverse ore. Nel silenzio di quella camera d’ospedale, Sofia si era ritrovata quasi costretta a fare un bilancio della sua vita. Cos’era andato, cosa non era andato, cosa sarebbe ancora potuto accadere e com’era cambiata. Quello che a volte i più non riescono a fare.
Il coraggio di fermarsi, interrogarsi e conoscersi fino in fondo.
Erano settimane che pensava a quei cinque giorni.
Era come se rivivesse di continuo ogni giorno singolar-mente. Si svegliava e provava a ricordarne ogni cosa, la partenza, l’arrivo, l’incontro, la scoperta della villa, le camere, il salotto, l’aperitivo, la cena, il bacio. Il do-po bacio. Non poteva crederci. Non era da lei. Non avrebbe mai pensato di poter vivere con tale trasporto una relazione con uno sconosciuto. Una persona che non aveva mai visto prima. Essere così intimi, non darsi limiti né confini in tutto quello che aveva fatto, il suo corpo, quello di Tancredi, vivere tutto senza nessuna inibizione, senza vergogna, senza pudore. Nuova. Sì, una Sofia nuova, spavalda, libera, spinta come non era mai stata in tutta la sua vita, con nessuno prima di Andrea né con lui. Era come se avesse aperto una porta e improvvisamente si fosse trovata di fronte una donna con il suo stesso nome, lo stesso cognome, perfino lo stesso viso e lo stesso corpo, ma diversa in tutto il resto, il trucco, i capelli, la voce, il tono, il modo di parlare.
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