Sofia salì la scala, una parte del muro era di cristallo e sotto si poteva vedere il mare, l’altra invece era di roccia. Poco dopo si trovò in cima a quella torre.

Tancredi era lì. Guardava lontano con le mani nelle tasche di uno splendido vestito blu molto scuro.

Si girò e le sorrise.

«Pensavo ti saresti messa uno dei tuoi.»

«Se preferisci mi vado a cambiare. Ma ho visto la bellezza di quei vestiti, era un peccato non indossarli.»

Tancredi le si avvicinò. Sempre di più. Arrivò a un millimetro da lei. Rimase in silenzio. Si sentiva solo il mare lontano, il profumo della natura che li avvolgeva, eppure lui la respirò. E poi le sussurrò all’orecchio: «Non è vero. Ho sperato che ti mettessi questo».

Lei sorrise. Lui incrociò il suo sguardo. I colori di quell’ultimo tramonto accarezzavano le sue guance, i suoi capelli sussurrati dal vento si muovevano lenti e delicati intorno al viso. Le sue labbra dischiuse, proprio come le ricordava, come le aveva viste danzare la prima volta sulle note di quella corale in chiesa. E Tancredi in quel momento avrebbe voluto baciarla, assaggiare quelle morbide labbra, come una pesca, quasi morder-la, succhiarla. Era lì che la fissava, avido. Allora lei lo guardò spavalda e curiosa, quasi in segno di sfida. Ma Tancredi rimase immobile. Si sorprese di quella titu-banza. Ma come, proprio lui, lui che non aveva mai avuto un’incertezza con donne anche molto più belle di lei, ora era indeciso? Rimase in silenzio. No. Non era vero.

Aveva mentito. Nessuna era mai stata più bella di lei, e lo sapevano i suoi occhi, la sua mente, il suo desiderio, il suo cuore… Allora la guardò a lungo, poi parlò.

«Qualunque cosa detta in un momento come questo rischia di rovinare tutto.»

«È vero, soprattutto se non c’è bisogno di parlare.»

«Sono felice di averti qui…»

«Anch’io, anche se credo per altre ragioni. Comunque è un’isola oltre ogni immaginazione, soprattutto per come è curata nei dettagli. È tua?»

«Sì, ma non da molto tempo. Saranno tre anni. Ed è la prima volta che ci vengo con una donna.»

Sofia lo guardò curiosa, poi cominciò a ridere.

«Che c’è? Cos’è che ti diverte?»

«Stavo pensando che è assurdo…» Mosse i capelli scuotendo la testa. «Non ci posso credere!»

«A cosa?»

«Che tu mi racconti delle bugie!»


«Non ti ho detto nessuna bugia.»

Sofia lo guardò con particolare intensità.

«Guarda, forse non ti è chiaro, ma tu mi hai comprato. Sono tua per cinque giorni per cinque milioni di euro. Te l’hanno detto, vero? No, perché magari non lo sai… ma mi hanno fatto un bonifico.»

Anche Tancredi si divertì. «Mi hai fatto ridere.»

Si avvicinò a una bottiglia di Cristal che era dentro un secchiello pieno di ghiaccio, la tirò fuori e con movimenti veloci la stappò.

Sofia gli si avvicinò, ora era più rilassata.

«Sono belle tutte queste cose romantiche, la rosa, lo champagne, l’esclusività dell’isola… ma per andare a letto con te non servono. Puoi essere venuto su quest’isola con chi ti pare.»

Lui le passò un calice pieno di champagne. Poi sorrise alzandolo verso di lei.

«Alle tue risate, che ti rendono ancora più bella… E a me che per la prima volta ho detto la verità e non sono stato creduto.»

Le sfiorò delicatamente il bicchiere, un tintinnio echeggiò nell’aria. Questa volta fu lui a guardarla intensamente negli occhi.

«È la prima volta che vengo con una donna su quest’isola, te lo giuro.»

Poi sorrise e bevve.

Rimasero a sorseggiarlo seduti su due grandi poltrone, uno vicino all’altra. Il sole era ormai scomparso lasciando una luce rosata sul mare. Chiacchierando, risero come due persone qualunque che stanno prendendo un aperitivo in una qualsiasi città.

«Andiamo a cena, ti va?»

«Volentieri. Ma non prenotiamo?»

Tancredi sorrise e la prese per mano.


La luna cominciava a salire nel cielo. Un grande tavolo era stato apparecchiato sulla spiaggia dove non batteva il vento. Intorno, lunghe fiaccole piantate nella sabbia facevano luce.

Sofia si tolse le scarpe e le lasciò sulla stradina che li aveva portati fin lì. Tancredi se ne accorse e fece lo stesso. Camminarono a piedi nudi sulla sabbia.

«E fredda…»

«Un po’.»

Poi lui spostò la sedia facendola accomodare e subito dopo si sedette di fronte a lei. I camerieri apparvero dal nulla, portando dei piatti che scoprirono davanti a loro.

«Sono gamberi molto freschi, li hanno pescati oggi pomeriggio per noi.»

Sofia li assaggiò. «Mi sembrano buonissimi.»

Servirono altri crudi conditi con arance e poi dei piatti caldi di mare, i più diversi. Ogni tanto alle loro spalle dal buio compariva un cameriere che riempiva i bicchieri, versando dell’ottimo Chardonnay Marcassin freddo. Alla tartare di spigola seguirono delle aragoste alla brace.

Sofia e Tancredi si divertirono a mangiarle cercando di rompere le chele, scavando negli angoli più difficili, dentro il guscio, per assaggiare quella tenerissima carne. Alla fine per il dessert ci fu l’imbarazzo della scelta.

«Vorrei questo soufflé al cioccolato ricoperto di cacao.»


Sofia lo gustò come una bambina. Era caldo, appena fatto, morbido, con un sapore impeccabile.

«Ma questo cuoco è meraviglioso!»

Le servirono del Muffato della Sala di Antinori e lasciarono lì vicino un grande carrello in legno antico con ogni tipo di grappa, rum e whisky invecchiati.

Poi il cuoco venne a salutarli. «Tutto bene, signori?»

«Ottimo, abbiamo mangiato veramente bene.»

«Vi possiamo portare un caffè? Volete qualcos’altro?» Tancredi guardò Sofia che sorrise e fece cenno di no con la testa.

«No grazie.»

«Benissimo, a domani allora.»

Il cuoco fu raggiunto da altri camerieri e si allontanò con loro lungo la spiaggia. Si persero nel buio della notte ma ricomparvero poco più in là vicino a un pontile illuminato. Li raggiunsero anche altri inservienti, si sentì il rumore di alcuni motori che si accendevano, e poco dopo quattro barche si staccarono dal pontile. Sofia li guardava incuriosita.

«Ma dove vanno, a pesca?»

«No, vanno a dormire.»

«E dove?»

«Nell’isola vicina.»

«Pensavo dormissero qui.»

«No. Non voglio nessuno sull’isola. Eccetto te, naturalmente.»

«Ah… Pensavo mandassi via anche me.»

«Sciocca.» Le prese la mano, la girò e la guardò.

«Sono state queste tue mani in quella chiesa… È colpa loro.»

«Per cosa?»

«Mi hanno fatto sognare.» E ne baciò il palmo.

Sofia chiuse gli occhi e, per la prima volta dopo molti anni, si emozionò.

Più tardi camminarono in silenzio lungo il bagnasciuga. Piccole onde andavano e venivano su e giù, dolce respiro di quello sconfinato mare.

Tancredi la prese per mano, lei si lasciò guidare, continuarono a camminare così, vicini, come una coppia comune, eppure fuori da ogni regola, da ogni tempo, priva della possibilità di tradirsi, di mentirsi, di delu-dersi, perfetti perché dichiaratamente imperfetti.

Sofia si lasciò andare e appoggiò la testa alla sua spalla, lui le cinse con un braccio il fianco. Poi si fermarono e nel silenzio di quella notte, sotto la luna ormai alta, i loro profili si disegnarono davanti a quel fondo blu, fatto di piccole stelle, di mare, forse anche di qualche terra lontana, ma così lontana da non poter essere un problema.

Tancredi e Sofia si guardarono, si sorrisero, senza nessuna timidezza, senza nessun pensiero. Come solo un uomo e una donna in alcuni momenti riescono a fare. Come se non esistesse nient’altro, come se quello che stava per accadere fosse la cosa più naturale del mondo. Un bacio. Un bacio dai diversi sapori. Da una parte cercato, sofferto, voluto, desiderato. Dall’altra combattuto, evitato e infine addirittura venduto. Così Sofia si abbandonò tra le sue braccia, lo strinse forte.

Le sue labbra all’inizio risposero quasi pudiche, timo-rose ma poi improvvisamente presero vita e divennero avide, e alla fine stordite, sorprese da quella passione. E

Tancredi continuò a baciarla, liberando il suo viso dai capelli, staccandosi a volte, guardandola negli occhi, cercando il suo sguardo che, timido, nascosto, tentava in tutti i modi di evitarlo. Fino a quando non si incon-trarono e subito si persero di nuovo, come se Sofia fosse di fronte a una disperata, innegabile verità.

Allora quasi lo sussurrò: «Cinque giorni. Cinque giorni e non sarò più tua».

Lui le sorrise. «Forse. Ma ora sei mia. E non è finito un giorno.»


Sofia provò a ribellarsi, ma lui la strinse a sé e la baciò di nuovo. Lei lo morse. Lui continuò come se niente fosse, poi la prese per mano, lei lo seguì in silenzio. Entrarono nella casa. Nei corridoi la luce era bassa. Tancredi la portò in quell’unica stanza dove non erano stati. Aprì la porta. All’interno della grande sala, scavata nella roccia, c’era una piscina. Era costruita in cristallo e come sospesa sul mare più profondo dell’isola.

«È riscaldata. Possiamo fare un bagno.»

Tancredi abbassò ancora di più le luci. Ora le grandi volte del soffitto erano appena illuminate, il pavimento di legno era riscaldato, in un angolo c’erano degli accappatoi bianchi e degli asciugamani. Lì vicino due lettini con sopra cuscini di spugna grandi come due materassi.

Tancredi girò un altro interruttore. Sotto la piscina trasparente si accese il fondale. Sulle pareti si vedeva il corallo, in mezzo nuotavano alcuni pesci colorati, ancora più giù c’erano dei polpi. Le rocce continuavano a scendere e nel blu più profondo si vedevano pesci, lenti barracuda, cernie che spuntavano da qualche tana, un branco di pesci balestra cambiò improvvisamente direzione, fuggirono veloci all’arrivo di un piccolo squalo.