E andarono così verso la cucina.

Giorgio guardò la moglie. «Ma quello era il fazzoletto?»

«Sì, facciamo finta di sì, come il fatto che stavano vedendo la tv.»

Tancredi e Olimpia si diedero un bacio sulla porta.

«Che figura, tuo padre stava per raccogliere il calzino.»

«Eh… come al solito ti salvo… Se non ci fossi io!»

Lo spinse fuori.

Tancredi si girò verso di lei. «Ma secondo te hanno capito?»

«Macché… Credono a tutto.»

Tancredi sorrise. «Ok, ci vediamo tra un po’. Svuota la vasca però.»

«Sì, a dopo. Non fare troppo tardi.»

«No.» Poi si girò un’ultima volta e le sorrise. «Ma poi riprendiamo quel discorso? Mi stava piacendo. Da Guendalina ci sarà una vasca, no?»

«Vattene!» E chiuse la porta.

Tancredi guidò velocemente fino a casa con la sua Porsche. Si spogliò, si mise sotto la doccia, si asciugò in un attimo, si mise un completo scuro e la camicia bianca, i calzini neri, infilandoseli sorrise, poi si allacciò delle Church’s ultimo modello. Scese giù di corsa, sal-tando a due a due gli scalini di casa, fino a quando non la incontrò. «Ciao…» Claudine era ferma, in piedi nella penombra, appoggiata a quel muro.

«Sei qui… pensavo stessi dormendo.»

«Ti ho sentito rientrare.»

«Ah, scusa, ti ho svegliato.»

«Non dormivo.»

«Meglio così, sorellina.»

Le diede un bacio sulla guancia. Poi, prima che scap-passe via, lei lo fermò. «Ti devo parlare.»

«Sorellina, sono in ritardissimo. Non possiamo parlare domani?»

«No.» Rimase in silenzio e abbassò la testa. «Adesso.»

Allora Tancredi le parlò in maniera tranquilla, la ascoltò strappandole un sorriso e alla fine la convinse a riparlarne la mattina successiva. Poi uscì di corsa, salì sulla Porsche, mise in moto, fece il giro della piazzetta e sgommando sulla ghiaia uscì dalla villa a tutta velocità.

Tancredi fece un lungo sospiro e chiuse il fascicolo.

Quella sera alla festa si erano divertiti, avevano trovato un bagno e avevano fatto l’amore. Non nella vasca però, per terra, su un tappeto. Era stato bellissimo.

Guardò di nuovo Olimpia, il suo sorriso, i suoi bambini. Olimpia aveva sposato Francesco D’Onofrio, quello stesso ragazzo che lui aveva proposto a Claudine un pomeriggio d’estate, in piscina. Ma non le era piaciuto.

La vita è come un grande puzzle incompleto.

Allora si ricordò di una sera, aveva fatto con suo padre Vittorio un puzzle difficilissimo. Riproduceva la Monna Lisa. Ci avevano messo più di tre ore e, quando era quasi finito, si erano accorti che mancava l’ultimo pezzo, proprio il tassello che avrebbe completato il suo famoso e misterioso sorriso. L’avevano cercato dap-pertutto. Eppure la scatola l’avevano aperta in quella stanza e non si erano spostati di lì. Quell’opera sarebbe rimasta incompiuta, sarebbe mancato sempre un pezzo.

Poi Tancredi vide Buck, il loro golden retriever, che scodinzolava in un angolo del salotto. Allora gli si avvicinò.

“Ecco chi ce l’aveva! ” Il pezzo mancante era lì, nella sua bocca. Glielo tolse con facilità e anche se un po’

bagnato, un po’ masticato, riuscì a incastrarlo, comple-tando quel sorriso.

Ma ci sono pezzi finiti chissà dove che non si trove-ranno mai più.

Dopo quella sera non aveva più visto Olimpia, né risposto alle sue telefonate. L’aveva voluta vedere oggi, dopo vent’anni. Non era felice. Esattamente come lui da allora.

«Parti, Gregorio.» L’auto si mosse lentamente e presto si confuse nel traffico di Torino.

Tancredi in silenzio guardava fuori dal finestrino rin-correndo chissà quale altro ricordo. Savini lo guardò dallo specchietto retrovisore. Decise che era questo il momento di dirglielo.

«Forse ho trovato una soluzione.»


«Sai quante cose belle ci sono nella vita?»

«Tantissime, ma non per questo le puoi fare tutte.»

Lavinia la guardò in silenzio.

Sofia le sorrise e continuò. «Non riesci ad accettare il mio punto di vista, eh?» Sofia cercò qualcosa che la potesse aiutare, un esempio che le potesse in qualche modo far capire.

«Ecco. Prendi me con la musica. Io amavo suonare, io amo ancora suonare il pianoforte, però ho smesso.

Ogni tanto quando sono sola, quando anche l’ultimo alunno se ne è andato, credi che io non senta la voglia di mettere le mie mani su quel pianoforte?» Fece una pausa. «Ma resisto, anche se sono molto innamorata di Bach, di Mozart, di Chopin, di Rach, ma nessuno di lo-ro mi farà tradire la persona che viene prima di tutto.»

Questa volta Lavinia sembrava aver capito. «Andrea?»

Sofia le sorrise e scosse la testa. «No, me stessa. Il mio voto. E questo dolore, questa sua mancanza non è che me la fa amare di meno… Anzi. Credo che sia diventato ancora più grande il mio amore per la musica.

Prego ogni giorno perché io possa tornare a suonare…»

Lavinia fece un respiro lungo, lunghissimo.

«Sofia, ci rinuncio. Non ti capisco. Se una cosa mi piace così tanto, la amo come dici tu, come posso poi non viverla? Non ha senso, è come rinunciare a vivere.»

Sofia scosse la testa sconfitta. Niente. Non era riuscita a convincerla. “Ognuno ha la sua sensibilità. Forse neppure io sono capace di capire fino in fondo il piacere che lei sta provando ora in questa sua storia, la sua voglia di libertà, che è così grande che addirittura le fa rinnegare la sua promessa di matrimonio…”

Ora era Lavinia a sorriderle.

«Pensi che non ti capisca, vero? Forse…» Alzò le spalle. «Però ho pensato anche un’altra cosa. Magari suonare non ti piace abbastanza, se no in nessun modo mai, per niente al mondo, per nessun voto avresti rinunciato. Io adesso mi sento viva come non mi sentivo da anni. Quando torno a casa invece mi sento morta, mi sembra di tradire il mio cuore, ecco! Se una è innamorata, è innamorata e basta, non è che ci stanno tanti ragionamenti da fare. Anzi, ora ti dirò una cosa che potrebbe sembrare anche assurda. Sono così felice di questa cosa che la vorrei raccontare perfino a Stefano, ti giuro! E non sai quante volte sono stata lì lì per farlo…»

«Però non l’hai fatto. Ti sei chiesta perché?»

«Sì, ci ho pensato spesso. Forse perché lui la prenderebbe male, non capirebbe… A volte lascio il telefono sul tavolo, poi mi alzo e vado di là. Ma glielo lascio apposta sotto gli occhi perché vorrei che lui leggesse i messaggi e potesse capire quello che sto vivendo.»

«Ma, Lavinia, allora parlaci, fallo tu, abbi il coraggio!

Perché vuoi lasciare tutto in mano a un telefonino…»

Poi Sofia si ricordò cosa le aveva detto Andrea. Stefano aveva già letto quei messaggi. Sapeva tutto. Si era dilaniato il cuore su quelle parole, su quelle descrizioni, su quella voglia affamata di giovani amanti menefreghi-sti e distratti.

«E se li avesse letti?»

«Sì, e fa finta di niente? Non mi dice nulla? Non si arrabbia come un pazzo? Allora non mi ama.»

«E se invece proprio per questo ti amasse così tanto?

Magari non te ne parla perché ha paura di perderti…»

«A me tutti questi ragionamenti sembrano troppo F

complicati. Amo una persona, scopro che mi tradisce, faccio un casino e basta.»

«Amiamo in maniera diversa. Forse il suo amore è più grande della nostra capacità di immaginarlo. Magari pensa che è solo un’avventura e finirà…»

Lavinia ci pensò su. «Allora è un gran casino.»

«Sì.»

Questa fu l’unica cosa sulla quale tutte e due furono completamente d’accordo. Sofia si alzò dalla panchina.

Lavinia la fermò. «Ma se tu fossi al posto mio, cosa faresti?»

«Perché me lo chiedi? Mi fai ridere, vuoi sempre sentire cosa farei io e poi fai il contrario.»

Lavinia le sorrise. «Va bene, fai un ultimo sforzo, dai per favore…»

«Sai che non potrei mai stare al posto tuo, vero?»

«Sì, sei pesante! Facciamo conto che ti svegli e per uno strano incantesimo sei dentro il mio corpo, nella mia mente e nel mio cuore. Puoi prendere al posto mio qualsiasi decisione, ti va bene così?»

«Sì, allora per prima cosa mi prenderei a schiaffi.»

Sofia si liberò dalla sua mano.

«Così non vale!»

«Ok…» Sofia cominciò a correre piano piano. «Sei pronta? Ora ti do la soluzione: lascialo.»

Lavinia sorrise. Poi le venne giustamente un dubbio.

«Sì, ma quale dei due?»

«Be’, io ti ho dato una soluzione, ora mi chiedi un miracolo.»

Più tardi, quando entrò a casa, Andrea era al tavolo, in salotto.

Stava controllando dei fogli, sparsi alla rinfusa. La vide e le sorrise. «Ciao, amore…» Era un viso pieno di felicità, una luce nuova, una gioia mai vista prima.


«Ciao.» Sofia gli si avvicinò un po’ incuriosita e lo baciò mentre lui raccoglieva i fogli sul tavolo, si spingeva in avanti sulla carrozzella cercando di raggiungere anche quelli più lontani.

«Aspetta che ti aiuto.»

«No, no, faccio io, li sistemo che ti voglio far vedere una cosa…»

Si muoveva agile su quelle ruote, le braccia forti, ormai allenate da anni, lo trascinavano su e giù lungo il tavolo. Raccolti tutti i fogli, guardò i numeri delle pagine e ogni tanto ne spostava qualcuna per essere sicuro che fossero nell’ordine giusto. Poi quando finalmente ne fu convinto, li sbatté due volte sul tavolo, fino a farli quadrare perfettamente tra loro. «Ecco, tieni, guarda.» Sofia si sedette sulla poltrona e cominciò a leggere.

Andrea ruotò la carrozzella e si mise davanti a lei, in silenzio, con le braccia ferme sulle gambe, il viso sorridente, in religiosa attesa. Sofia lesse la prima pagina, poi la seconda, ne sfogliò altre, poi lo guardò sorpresa.