Sofia la guardò. «Non credo, mamma, l’unico perché che ci vedo è perché lo hai fatto. Non sei stata felice e non è servito a nulla.»

«Le cose accadono.»

«Ma noi possiamo anche non farle accadere. Ieri guardavo la televisione con papà e per la prima volta in vita mia non sapevo cosa dire, volevo solo andarmene…»

«Mi dispiace. Ma se non fossi andata al parco quella mattina avrei vissuto tutta la vita con un rimpianto. Ora invece sono serena.»

Arrivò il taxi e in qualche modo tolse Sofia da quell’imbarazzo.

«Ciao, mamma.» La baciò. «Ci sentiamo.»


«Sì. Vivi fino in fondo la tua vita. I conti li fai da sola, e alla fine.»

Sofia avrebbe voluto dirle tante cose ma preferì tacere. Il taxi partì.

Grazia rientrò in casa e andò a mettere a posto la camera di Sofia. Sotto il tavolo, dentro il secchio, trovò la bambola Fiore con la sua maglietta rossa.


L’auto superò la Gran Madre e poco dopo si fermò davanti al parco del Valentino.

Gregorio Savini si girò verso di lui. «Eccola, è lei.»

Indicò una donna vestita con dei pantaloni larghi gessati. Era alta, capelli castani leggermente schiariti, grandi orecchini pendenti. Sorrideva cercando di aiutare un bambino piccolo su un triciclo.

«E dai, Nicolò, se fai così freni, devi spingere in avanti…»

Allora il bambino ci riprovò ma, ogni volta che metteva i piedi sopra i pedali, gli scivolavano giù e finivano per terra. La madre gli poggiava le mani sulle spalle per guidarlo in avanti.

«Tanto non è capace, non è capace!» comparve di fianco a loro una bella bambina dai capelli chiari che si mise spavalda le mani sui fianchi.

«Greta, non fare cosi. Anche tu quand’eri piccola non ci riuscivi. Dai tempo a tuo fratello!»

«Ma è negato, mamma.»

«Non dire così.»

«Ma lo è!»

Nicolò si concentrò, mise tutti e due i piedi sui pedali e cominciò a spingere facendoli girare veloce, la madre cercava di camminargli accanto. «Piano… Vai piano.»

Ma Nicolò accelerò, pedalava deciso adesso e alla fine scappò via per un rettilineo. Madre e figlia iniziarono a corrergli dietro. Greta rideva divertita. Alla fine Nicolò sbagliò direzione, finì nel prato, la ruota posteriore salì sulle radici di un albero e il triciclo si rovesciò.

Nicolò cadde a pancia in giù, con le mani avanti e il mento per terra.

«Nicolò!» gridò la madre raggiungendolo mentre il bambino scoppiava a piangere. Arrivò anche Greta.

«Te l’avevo detto, è negato.»

La mamma aiutò Nicolò a rialzarsi e controllò che non si fosse fatto niente. Aveva il ginocchio destro solo un po’ sbucciato.

«Amore, è tutto a posto…»

Il bambino tirava su con il naso. La mamma gli portò indietro i suoi capelli scuri, gli accarezzò la guancia mentre lui, con la mano chiusa a pugno, si stropicciava l’occhio destro. Ora non piangeva più.

Tancredi alzò il finestrino poi fece un segno a Gregorio Savini che cominciò a leggere i fogli.

«Olimpia Diamante ha due figli. Greta sei anni e Nicolò quattro, suo marito la tradisce da un anno e mezzo.

Lei l’ha scoperto sette mesi fa. Hanno avuto una grande discussione, lei gli ha imposto di andarsene, lui ha fatto di tutto per rimanere e alla fine ci è riuscito. Le ha promesso che non avrebbe più rivisto l’altra donna ma dopo tre giorni è stato di nuovo con lei. La ragazza ha ventiquattro anni, lavora nel suo ufficio come segretaria, si chiama Samantha con l’acca ed è fidanzata con un tipo di Napoli, Gennaro Paesanielli, che faceva il buttafuori in qualche locale della periferia, poi si è trasferito a Torino dopo una rissa nella quale è rimasto ferito un famoso pregiudicato. Qui ha conosciuto la ragazza e ormai da due anni hanno una relazione molto turbolenta.»

Gregorio Savini alzò la testa dai fogli che stava leggendo. «Il marito è Francesco D’Onofrio, stava nella tua scuola, al Collegio Sacra Famiglia.»

Tancredi continuò a guardare fuori dal finestrino la ragazza. «Sì, me lo ricordo. Vai avanti.»


Savini riprese a leggere. «Olimpia ha scoperto la scorsa settimana che la relazione tra Samantha e suo marito continua. Hanno avuto un’altra violenta discussione durante la quale lei si è tagliata con la scheggia di un bicchiere rotto. Le sono stati messi dei punti alla mano sinistra…»

Tancredi osservò meglio, solo ora si accorse di una fasciatura che spuntava dalla giacca.

Olimpia aveva rialzato il triciclo e stava aiutando Nicolò a salirci di nuovo sopra. Savini continuò a leggere.

«Olimpia è andata allo studio Levrini che si occupa di separazioni e divorzi e ha parlato con l’avvocato Alessandro Vinelli, lui le ha spiegato tutte le procedure e i tempi ma in realtà lei non ha ancora preso una decisione.»

Savini chiuse l’incartamento.

«Poi ci sono altri dettagli sulle varie spese della casa, le vacanze che hanno fatto, gli altri immobili che pos-siedono ma anche le vacanze e gli alberghi dove lui ha portato Samantha durante l’ultimo anno.»

Prese una busta. «Qui ci sono anche alcune foto di lui con l’amante.»

Tancredi l’aprì e guardò quelle foto. Samantha era una bella ragazza vestita sempre in maniera vistosa, scarpe alte, magliette cortissime, top tigrati o colorati, scollatura provocante, capelli raccolti con delle pinze dozzinali. C’erano anche alcune immagini di baci dati in un parco, in auto, loro che entravano in un albergo, delle foto che li ritraevano attraverso una finestra mentre si spogliavano e altre ancora più spinte. Tancredi rimise le foto nella busta e gliele ripassò. Savini rimase in silenzio.

Tancredi continuò a guardare Olimpia. Ora rideva con i suoi bambini. Erano saliti tutti e tre su una giostra e lei tirava con forza il cerchio centrale, cercando di farli partire. Quando cominciarono a muoversi aumentò la velocità. Si divertiva con i suoi bambini, buttava indietro la testa e forse le girava anche un po’, ma sotto sotto si vedeva che era infelice. Era come se la sua stessa risata e il suo sguardo fossero velati da tristezza. Eppure un tempo lei non era certo così.

«Non mi guardare, mi vergogno.»

Olimpia si copriva il seno con le braccia incrociate e per metà era nascosta dietro la porta. Tancredi stava facendo scorrere l’acqua nella vasca, cercando di rego-larla perché era troppo calda.

Si girò verso di lei e le sorrise. «Ma come ti vergogni?

Dopo tutto quello che abbiamo fatto!»

Olimpia lo colpì con un pugno sulla schiena. «Stupido! Che c’entra? Quello è diverso.»

Tancredi fece finta di provare dolore. «Ahia, mi hai fatto male!»

«Sì, e io ci credo… Ma quanto manca?» Infilò la ma-no nell’acqua. «E perfetto, dai, entriamo…»

Olimpia piano piano si immerse nella vasca. Tancredi chiuse l’acqua e rimase fermo davanti a lei, completamente nudo. Olimpia maliziosa tirò fuori la gamba, un po’ di schiuma era rimasta sul ginocchio. Cominciò con il piede ad accarezzare la coscia di Tancredi e lentamente salì su. Poi sorrise. «Mmm, ti faccio effetto.»

«Moltissimo.» Tancredi era eccitato. Il piede di Olimpia non accennava a fermarsi. Continuava a muoverlo lentamente fino ad arrivare a sfiorarlo. Tancredi entrò lentamente nella vasca e ancora eccitato si mise in ginocchio tra le sue gambe, le aprì.

«Ahi, piano…»

Tancredi sorrise. «Sì, e io ci credo…»

«Devi crederci, mi hai fatto sbattere contro il rubinetto.»

Cominciarono a ridere mentre lui cercava degli ap-pigli per scivolare dolcemente sopra di lei. Finalmente ci riuscì e con dolcezza cominciò a spingere con i glutei fino a esserle dentro.

«Ecco, così.» Olimpia lo stringeva forte, aggrappata alle sue spalle, bagnata, appoggiava il volto al suo collo, si mordeva le labbra mentre lui la prendeva con dolcezza.

«Ma a che ora tornano i tuoi?» chiese Tancredi.

«Hanno detto più tardi.»

«Ma sei sicura?»

«Sì… Dai… Non ti fermare.»

Tancredi non ci pensò più. Continuarono ad amarsi dentro quella vasca, fluttuando appassionati nell’acqua calda. Poi il suono di un clacson.

«Oddio.» Olimpia si irrigidì. Si tese in avanti mentre lui continuava a muoversi sopra di lei. «Fermo.» Rimase concentrata per sentire ogni possibile rumore. Una serranda salì all’improvviso. «E il nostro garage. Sono i miei. Sono già tornati.»

«Cosa?»

«Sì, muoviti.»

Uscirono dalla vasca al volo. Tancredi scivolò per terra. «E dai muoviti, che fai lì!»

«Ma sono caduto.» Si alzò dolorante. Il desiderio di prima si era del tutto spento. In un attimo furono nella camera di Olimpia e si vestirono in fretta e furia tutti e due. Tancredi, ancora bagnato, provò inutilmente a infilarsi i calzini, mise i boxer, poi i pantaloni, la camicia e infine le scarpe. I calzini li appallottolò in tasca.

«E dai, quanto ci metti, muoviti che stanno salendo.»

Così si accomodarono in salotto e accesero la tv. Proprio mentre i genitori entravano.

«Olimpia? Ci sei? Sei tu?»

«Sì, mamma, siamo in salotto.»

Tancredi si alzò quando i genitori entrarono. «Buonasera…»

«Ah, ciao Tancredi.»


«Salve, signora.»

Giorgio, il padre di Olimpia, gli sorrise.

«Ma non vedi le partite?»

Tancredi si scusò.

«Sì, stavo cambiando canale ma ora devo andare a casa perché più tardi c’è una festa.»

«Ah, già, è vero. Stasera c’è la festa di diciott’anni della tua amica Guendalina.» Il padre di Olimpia guardò l’orologio. «Dovete fare presto però.»

«Sì sì, infatti ora vado. Arrivederci, signora. Buonasera.» Tancredi fece per uscire dal salotto ma, infilando le mani in tasca per prendere le chiavi dell’auto, gli cadde un calzino. Prima che il padre potesse racco-glierlo Olimpia lo prese al volo. «Il tuo fazzoletto… Ti accompagno.»