Lei vide il suo sguardo. «Vengo con te…»

Lui si staccò da lei, le sorrise e la tenne tra le braccia.

«Non si può.»

«Perché? Non mi va di aspettare che torni tra dieci giorni.»


Lui fece un sospiro e lasciò cadere le braccia liberan-dola, ma la guardò negli occhi. «Sono sposato.»

Lei rimase in silenzio. Perché non le aveva mai detto nulla? E ora? Ma poi pensò che non era così importante. Alla fine sorrise. «Anch’io. Ma che vuol dire?»

Quella volta Alfredo si scostò da lei, la fece sedere al suo fianco, poi si rimise a posto i pantaloni, si tirò su la zip e si chiuse la cintura. Solo allora la guardò di nuovo.

«Sì, ma io l’amo.»

Grazia si sentì morire. Le lacrime le salirono subito agli occhi, allora si alzò di scatto, cercò sulla panchina le sue mutandine ma non le trovò. Poi le vide. Erano cadute a terra, erano piene di polvere, le raccolse, le scrollò e le infilò nella borsa. Poi andò verso la valigia, la prese e cominciò a camminare. Le lacrime le scendevano sul viso e non riusciva a girarsi. Avrebbe però voluto sentirsi chiamare, a ogni suo passo era quella la sua speranza.

“Grazia!” avrebbe voluto sentire gridare. “Non è vero.

Amo te!” Oppure: “Grazia, amo anche te…”. Sarebbe stato peggio, ma pur sempre qualcosa. E invece Alfredo non disse nulla. E quando lei finalmente riuscì a girarsi, su quella panchina non c’era più nessuno.

«Perché me l’hai detto?»

Grazia fece un lungo sospiro e si sistemò una ciocca ribelle dietro le orecchie. «Non lo so.»

Ora però il suo sguardo sembrava più sereno, come se confessando il suo tradimento si fosse tolta un peso.

«Avevo bisogno di raccontarlo a qualcuno.»

Sofia si alzò e andò verso il frigorifero, si versò un bicchiere d’acqua. «Vuoi qualcosa, mamma?»

«No grazie. Non bere veloce che è fredda.»

Sofia non ascoltò il suo consiglio. Poi, quando stava per uscire, la madre la fermò. «Non l’ho mai più sentito né cercato.»


Lei le sorrise. «Hai fatto bene. Era sposato.»

E se ne andò in camera sua. Si mise a leggere cercando di distrarsi.

Poi più tardi sentì rientrare suo fratello. Allora usci dalla camera e gli corse incontro.

«Non ci posso credere. Sofia!» Si abbracciarono con affetto e si baciarono.

«Maurizio, sai che stai proprio bene?»

«Ma se mi son venuti gli occhi storti a furia di stare per ore di fronte a quei computer.»

Il padre si incuriosì. «È un problema di questo paese…»

«Che cosa?»

«Che nessuno sa come si usano!»

Grazia passò proprio in quel momento. «Ma è quella la tua fortuna! Forza, a tavola.»

Fu una cena molto buona con tutte le specialità si-ciliane. Pasta alla Norma, sarde a beccafico, panelle e una cassata fresca comprata alla pasticceria all’angolo.

«Ma voi mi fate ingrassare!»

Il padre era sorridente. «No, no, così ti ricordi quanto è buona la nostra cucina e torni più spesso!»

Anche il fratello era d’accordo. «Sì, torna presto…

che non si mangia mai così bene, te lo assicuro.»

Grazia non disse niente. Guardava sua figlia in silenzio. Poi lei se ne accorse. La madre le sorrise. Sofia abbassò lo sguardo e continuò a mangiare. Forse sua madre voleva farle digerire il suo racconto. Quando fi-nì la cena tutti aiutarono a sparecchiare. Poi Maurizio uscì perché aveva una sfida a biliardo. Grazia si mise al telefono con un’amica. Questa volta fu Sofia a chiudere la porta del salotto su indicazione del padre.

«Meglio, se no ci rimbambisce… Sai che può parlare un’ora di seguito senza dare modo a chi sta dall’altra parte di intervenire? Ha fatto così anche con te?»


«Quando?»

«Oggi, nel pomeriggio. Ho visto che vi siete chiuse in cucina.»

«Sì… Ma mi sono difesa!»

«Brava, figlia mia.»

«E a te come va, papà?»

«Sai…» fece un piccolo sospiro. «Un po’ mi manca il lavoro…» Cominciò a raccontare della sua vita da pensio-nato, degli incontri in piazza, di chi purtroppo non c’era più, di chi era diventato nonno. Sofia ascoltava le sue parole, cercava di sembrare attenta, ma in realtà pensava a tutt’altro. Riviveva il racconto di sua madre e soffriva nel vedere suo padre ignaro di quel tradimento, pensando a come la sua vita sarebbe potuta essere diversa se un altro uomo avesse detto a sua moglie: “Sì, vieni via con me”.

«Mi stai seguendo?»

«Certo, papà…» Allora Sofìa gli prestò più attenzione.

«Se non ci fosse tua madre… È lei alla fine che mi obbliga a partecipare alle feste della pro loco.»

“Qualche merito almeno ce l’ha” pensò Sofia.

«Lunedì prossimo per esempio c’è la cena in piazza, mi fa piacere andarci con tua madre, ci divertiamo, anche se si devono fare delle offerte e non si può mai dare troppo poco.»

«Be’, sì, certo…»

Continuò ad ascoltarlo ma finì per distrarsi di nuovo.

Pensò a Stefano, a come la sua vita fosse simile a quella di suo padre. Passano gli anni, arrivano nuove genera-zioni, ma alcune cose restano tristemente uguali.

«Vado a dormire, papà.»

Salutò anche sua madre, si chiuse in camera, fece una telefonata ad Andrea e poi si addormentò, senza pensare troppo. Non sognò, o almeno, se lo fece, non ricordò nulla.


I giorni seguenti furono di completo relax, qualche passeggiata fino al mare, un salto al mercato per gli im-mancabili “cazzilli” ai quali fin da piccola non aveva saputo rinunciare e per colpa dei quali si era dovuta spesso mettere a dieta.

Poi, il pomeriggio prima di partire, incontrò quel ragazzo. «Sofia Valentini!»

Si girò sorpresa da quell’urlo.

«Non ci posso credere! Che ci fai qui? Troppo bello per essere vero! E troppo bella per essere reale! Ma sei tu, vero?»

Sofia si mise a ridere. «Si, sì, sono io… Ma non ti offendere, non mi ricordo proprio.»

II ragazzo si mise le mani sulla testa. «Non ci credo, com’è possibile?» Ma non le diede il tempo di rispondere. «Sono Salvatore Catuzzo!»

«Dai, mi prendi in giro?! Salvatore!»

Sofia allora lo abbracciò e si scambiarono un bacio.

«Quanto tempo!»

«Una vita.»

Ora Sofia lo guardò meglio. Era stato il suo sogno da ragazzina, era follemente innamorata di lui ed era stato anche il suo primo bacio. Adesso si ricordava tutto perfettamente. Un giorno d’inverno durante le vacanze, verso le cinque del pomeriggio, Salvatore l’aveva portata sulla scogliera dell’elefante. Il mare quel giorno era in tempesta e faceva anche freddo. Tirava un maestrale teso e pungente. Ma lui si era ostinato. Erano arrivati fino a là in bicicletta.

«Mettiamoci qui!»

«Ma è pericoloso, c’è troppo mare.»

«Macché, Sofia! Come sei esagerata.»

Così si erano fermati in cima alla scogliera. Le onde erano talmente forti che alcuni schizzi arrivavano fin lì.

«Sofia, tu mi piaci.»

«Anche tu.»


La loro dichiarazione non era sembrata un granché a Sofia. In effetti nei film le dichiarazioni prima dei baci erano sempre belle e poi con delle parole sognanti. Però Salvatore le piaceva molto, così chiuse gli occhi, come le avevano consigliato le sue amiche e, quando sentì quelle labbra sulle sue, aprì la bocca, sempre come le avevano detto le sue amiche. Ma quando Salvatore infilò la lingua, lei si sentì morire.

Non aveva mai pensato che potesse essere così lunga e a dire il vero questo le sue amiche non gliel’avevano detto. Poi mentre resisteva a quello strano attorci-gliamento, era arrivata una grande onda che li aveva bagnati tutti.

«Marò, che roba, ti ricordi?»

«Sì, e chi se lo può dimenticare?»

Quel bacio era stato unico in tutto e per tutto ma il Salvatore di adesso non aveva più nulla di quello del ricordo. Era ingrassato, aveva una pancia bella spor-gente, ed era completamente pelato.

«Salvo, vieni, dobbiamo tornare a casa.»

Sulla strada poco più in là una ragazza bionda della stessa stazza, con un bambino e una bambina per mano, lo fissava curiosa, aspettando una risposta.

«Arrivo! Ma lei te la ricordi?»

Sofia la guardò meglio. «No…»

«E dai, non ti ricordi nulla! È Gabriella Filoni! Me la sono sposata, ora abbiamo due bambini.»

«Ah, sì, ora ho capito chi è, bravi, sono troppo felice per voi.»

Rimasero un attimo in silenzio. «Va bene, io scappo, che Gabriella mi aspetta. Ti fermi molto?»

«No, domani parto. Mi ha fatto piacere vederti.»

«Anche a me.» E così si allontanò, raggiunse Gabriella, prese per mano il maschietto e poi se lo mise in braccio. Iniziò a parlare con Gabriella incamminandosi verso l’auto. Gabriella si girò e la guardò di nuovo, sicuramente stavano parlando di lei. “Non ti preoccupare, non lo bacerò più, stai serena.” Sofia si mise a ridere e tornò a casa.

Il giorno dopo, mentre stava per partire, le si avvicinò suo padre. «Ma non ti posso portare io? Mi fa piacere.»

«Papà, è troppo tardi, poi devi tornare da solo fino a qui, ho già chiamato il taxi!»

«Come vuoi, però promettimi che torni presto.»

«Te lo prometto.»

Così si baciarono.

Salutò Maurizio che stava aggiustando il computer di casa. «Pure questo non va, sorellina, è un’epidemia.»

Si fece accompagnare da sua madre Grazia fino in strada, visto che aveva tanto insistito. Arrivate fuori dal portone, del taxi non c’era nessuna traccia. Rimasero in silenzio. Sofia sperò che arrivasse presto. Alla fine Grazia parlò.

«Ti è dispiaciuto che te l’abbia raccontato?»

«Non lo so. Forse. Avrei preferito non saperlo.»

«Forse il fatto che io oggi te l’abbia raccontato ha anche un suo perché.»