Sofia finì di fare la borsa.
Andrea la guardava sereno, con amore. «Certo. Sono felice che tu vada. Mi fa piacere che tu sia riuscita a trovare una sostituta.»
«Già.»
Ekaterina Zacharova aveva dato la sua disponibilità per tre giorni. Sofia ne fu sollevata. Sarebbe stata fuori anche il weekend e sarebbe tornata solo la domenica sera.
«Ciao, amore. Ti chiamo più tardi.»
Gli diede un bacio leggero sulle labbra.
Lui la fermò prima che si staccasse del tutto. «Un altro. Non mi bastano mai.»
Si baciarono di nuovo. Andrea trattenne le sue labbra, era come se non la volesse lasciare andare via, co-me se la tenesse a sé semplicemente respirandola. Poi si separarono.
«Ti chiamo quando arrivo.»
Il taxi era già sotto casa, non trovò traffico sulla strada per l’aeroporto e anche il volo era in orario. Non aveva detto niente ai suoi genitori, li aveva chiamati qualche giorno prima e fatto le solite domande.
«Come va? Tutto bene? Papà si sta riposando? Che fate mercoledì?»
«Siamo a casa.»
Già, cosa avrebbero dovuto fare? I suoi non uscivano quasi mai e, da quando erano tornati a vivere a Ispica, quelle che erano state le loro brevi ma frequenti visite a Roma erano andate sempre più diradandosi, fi-no a cessare del tutto.
Il volo era arrivato in perfetto orario. C’erano pochi taxi all’uscita dell’aeroporto di Catania. Sofia attese con pazienza. Finalmente ne arrivò uno. Mentre andava verso casa, rivide dal finestrino il panorama che le aveva fatto compagnia nelle sue vacanze da piccola. Quelle montagne, quel verde, quei cactus. Era una terra dai colori forti, la roccia delle montagne a contrasto con quel mare così vicino. Pagò il taxi e andò verso il portone, lo aprì con le sue chiavi ma, quando arrivò di fronte alla porta di casa, preferì suonare al campanello.
«Chi è?» si sentì da dietro la porta.
«Vince’, ma che, aspettavi qualcuno tu?»
«No… Perché?»
Sofia sorrise ascoltando le voci dei suoi genitori in quello strano e curioso dialogo. Poi sentì dietro la porta qualcuno che si muoveva, spostava piano il coprispion-cino per guardare chi fosse.
Sofia sorrise e salutò con la mano. «Sono io… Sofia.»
Le serrature della porta fecero un gran rumore aprendosi.
Era Grazia, sua madre. «Che bella sorpresa! Sofia, ma non mi avevi detto nulla! Che bello che sei qui!»
Si abbracciarono e subito dopo dal salotto comparve Vincenzo, suo padre.
«Questa è proprio bella!» Anche loro si abbracciarono, poi la fecero entrare e chiusero la porta.
«Ma non ci posso credere, più tardi ti avremmo chiamata, pensa se non ti avessimo trovata e Andrea ci avesse detto che eri qui! Addio sorpresa!»
«Ma Andrea non ve lo avrebbe detto…»
«Ah, sì? Eravate d’accordo?»
Sofia li guardò con tenerezza, erano invecchiati, ormai erano anziani e l’unica cosa che avrebbe potuto dar loro di nuovo un po’ di vita sarebbe stato un nipote.
«Dov’è Maurizio?»
«Ah, tuo fratello è sempre in giro, lui e i suoi computer… Ha avuto un bell’ordine dal comune di Noto e quelli devono essere tutti incapaci perché lo chiamano un giorno sì e l’altro pure, c’è sempre qualche problema!» Le sorrise.
Il padre le prese la borsa dalle mani. «Vieni, ti accompagno nella tua stanza.»
«Grazie, papà, ma ce la faccio.»
«Non sia mai che una donna porti la valigia.» Portò quel trolley non troppo pesante fino alla stanza di Sofia e lo posò sulla sedia. «Per qualunque cosa chiama.»
«Aspetta, aspetta…» Arrivò la madre prima che chiu-desse la porta. «Ti ho portato questi.» E mise alcuni asciugamani sul letto. «Sistema le tue cose. Noi ti aspet-tiamo di là.» Poi uscì dalla camera e chiuse la porta, lasciandola sola.
Sofia si guardò in giro. C’era tutto quello che aveva fatto parte della sua adolescenza, i peluche, i manifesti, le foto. Sul tavolo, infilate sotto il vetro c’erano alcune cartoline, bellissime immagini di posti lontani spedite dai suoi amici durante le loro vacanze.
Sofia si spogliò, andò in bagno e fece una bella doccia. Si asciugò e si infilò una comoda tuta di ciniglia.
Quindi raggiunse sua madre in cucina che stava sfo-gliando una rivista. Quando la vide entrare, la chiuse e ci poggiò tutte e due le mani sopra.
«Come sono felice di vederti.»
«Anch’io, mamma.» Sofia si sedette di fronte a lei.
La madre la osservò con aria indagatrice.
«A cosa dobbiamo questa sorpresa? Va tutto bene?
Andrea?»
«Tutto bene, mamma. Avevo voglia di vedervi un po’.»
«È tanto che non stiamo insieme.»
«Sì, almeno un anno.»
«Due, figlia mia, sono passati due anni.»
«Sul serio? Come passa il tempo.»
Poi la madre guardò verso la porta. Si sentiva la televisione accesa in salotto. Decise che avevano bisogno di un po’ di tranquillità, così si alzò e chiuse la porta della cucina. Tornò a sedersi di fronte a lei sorridendo.
«Oh, così stiamo un po’ tranquille fra noi donne.»
Le stropicciò le mani tra le sue per manifestare la sua felicità. Poi ritornò seria. «Davvero non ci sono problemi, figlia mia?»
Sofia fece segno di no con la testa.
«Me lo diresti?»
«Penso di sì.»
Sapeva come era fatta sua figlia. Se diceva una cosa era quella. Si tranquillizzò, era ancora più contenta di averla lì.
«Allora sono proprio felice, sul serio.»
Sofia sorrise. «E tu, mamma, come stai?»
«Bene. Un po’ di dolori, ma quello è normale, tua mamma ha sessantacinque anni, te lo ricordi, vero?»
«E con papà litigate ancora tanto?»
«Abbastanza.» Poi rimase in silenzio. «Sai, una volta lo stavo per lasciare sul serio.»
Sofia rimase in silenzio. No, quello non se l’erano mai detto e non se l’aspettava.
Grazia continuò. «Non so neanche se è il caso di dirtelo.»
«Come vuoi tu, mamma.»
«Quando fai così mi innervosisci.»
«Sei tu che hai detto che forse non è il caso…»
«Ma è un modo di dire. Be’, io te lo racconto lo stesso.» Raccolse le idee, poi cominciò. «Era un uomo bello, alto, con degli occhi scuri, con un profumo magnetico…»
Sofia trasalì. Ma cosa le stava raccontando sua madre? Grazia si accorse del suo stupore.
«Magnetico, che ti piace molto, che ti attira. Sei una donna, puoi capirmi.»
Sofia continuava a non credere alle sue orecchie.
“Mia madre ha sessantacinque anni, mio padre settan-tasei e lei mi parla di un uomo dal profumo magnetico?
La vita riesce sempre a sorprenderti.”
Poi Grazia le sorrise. «E tu lo hai conosciuto.»
E questa cosa lasciò Sofia ancora più stupita. «Io l’ho conosciuto?»
«Sì, e sono sicura che ti è anche piaciuto.»
«Mamma, guarda che io non me lo ricordo. Ma sei sicura? Ma a Roma o qui?»
«Era qui in Sicilia, era d’estate. Avevi quattro anni!»
Sofia fece un sospiro. «Ah… Cioè più di vent’anni fa!
E chi se lo poteva ricordare.»
«Eravamo al parco e lui venne mentre ero con te e tuo fratello e ti prese in braccio. E tu, che di solito scalciavi, che non amavi essere presa da sconosciuti, quella volta invece sei stata tranquilla tra le sue braccia e ti sei messa a ridere, facevi la smorfiosa. Me lo ricordo come se fosse oggi.»
La madre sospirò e andò indietro nel tempo, ricordando qualche altro episodio, una telefonata, delle parole, forse un momento di segreta intimità. Poi ritornò da sua figlia. «Te lo ricordi? Si chiamava Alfredo, ti regalò una bambola con la maglietta rossa.»
Quella Sofia se la ricordava. L’aveva chiamata Fiore, come un’amichetta che aveva da piccola a scuola e che poi non aveva più visto, quella bambola invece ce l’aveva ancora lì, nella sua stanza.
«Ero pazza di lui» continuò Grazia. «Era la passione, il sogno, la fuga… Quando non lo sentivo per qualche giorno ero nervosa, arrabbiata e piangevo. Era tutto quello che vostro padre non mi aveva dato.»
Si fermò senza aggiungere altro, lasciandole il tempo di accettare quel segreto, quella confessione dopo così tanto tempo.
«Perché non hai lasciato papà?»
Grazia tacque. Avrebbe voluto dire: “Per te, per tuo fratello Maurizio, perché comunque ero sposata, perché era solo un’avventura”. Poi disse la verità.
«L’ho fatto. Una mattina voi eravate dalla zia, tuo padre era a Roma, allora ho preparato la valigia, avevo trentanove anni, mi serviva poco, avevo l’amore ed era tutto, così l’ho raggiunto al parco. C’eravamo dati appuntamento nel boschetto subito dietro la piazzola, lì, dove ci vedevamo molto spesso.» E fu come se Grazia fosse di nuovo lì, ad aspettarlo.
«Amore…» Gli corse incontro facendo cadere la valigia ai suoi piedi, lo strinse forte, abbracciandolo e cominciò a baciarlo sulla bocca senza freno, senza pudore e subito le loro passioni si accesero. Lei aveva una gonna leggera e le gambe abbronzate che sapevano di crema appena messa. Si sedettero sulla prima panchina che trovarono senza pensare a niente. Le sue mani avide scivolarono sotto la gonna, accarezzarono quelle gambe, le strinsero forte.
Lei cercava di aprire la sua cintura, dopo diversi tentativi ci riuscì e, come per magia, tutto divenne più facile. E furono come rapiti. Morsi di passione, di voglia, respiri rubati, sotto il verso di cicale lontane quei sospiri sempre più forti, perfino un grido e la sua mano a tap-parle la bocca. Poi quello sguardo alla fine. Scoppiarono a ridere per quel tempo perfetto. Rimasero fermi così, appagati e soddisfatti su quella panchina, leggermente sudati d’amore, uno sull’altra.
Solo allora lui sembrò accorgersi di quella valigia.
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