Norah Jones cantava con la sua voce calda, le coriste alle sue spalle si muovevano perfettamente a tempo.
«Ti piace?»
«Moltissimo! E una sorpresa stupenda…»
Tancredi era contento di vederla così entusiasta, si muoveva a tempo e ballava come una qualsiasi sedicenne. E continuò così sui diversi pezzi…
Thinking About You. Poi Be Here To Love Me e infine su December. Uno dopo l’altro Norah Jones eseguì gli ultimi pezzi fino a quando l’Arena si accese di piccole luci, i telefonini, gli accendini con la fiamma al vento e la gente che gridava: «Bis! Bis!». E un attimo dopo Norah Jones ricomparve sul palco e fece Don’t Know Why, ancora meglio di tutti i pezzi cantati fino a quel momento, come se non avesse sentito il peso di quel concerto. E poi Come Away with Me come se avesse appena iniziato a cantare e alla fine chiuse con un bellissimo sorriso e un grido: «Grazie, Verona! A kiss to Giulietta e Romeo!».
Lentamente si alzarono le luci e la gente cominciò a raggiungere l’uscita.
Tancredi guidò Sofia verso l’auto.
«Mi è piaciuto moltissimo… Troppo! È stato pazze-sco!»
«Già…»
«Ma tu come facevi a saperlo…»
«L’avevo letto sul giornale.»
«No, che Norah Jones è la mia cantante preferita.»
Tancredi aveva sperato che non facesse quella domanda. «Ah scusa, me lo ha detto la tua amica Lavinia.»
«Ah, certo…»
Salirono in auto. Sofia era diventata taciturna. Tancredi se ne accorse.
«Che c’è, qualcosa che non va?»
Lei si girò verso di lui.
«No, no, stavo pensando che mi sono persa uno dei suoi pochi concerti in Italia, a Lucca. Credo fosse nel.»
«In qualche modo abbiamo rimediato…»
«Sì.»
Arrivarono subito all’aeroporto, scesero dall’auto e salirono sull’aereo.
Il comandante gli andò incontro. «Tutto a posto?
Possiamo partire? Siamo giusto in tempo con lo slot…»
«Sì grazie, comandante.»
Si sedettero, si allacciarono la cintura. L’aereo cominciò subito a rullare, si portò verso il centro della pista, aumentò il giro dei motori, sempre più veloce, poi si staccò da terra. Poco dopo passarono alti proprio sull’Arena. Sofìa si affacciò dal finestrino.
«Poco fa eravamo proprio lì… È stato un bellissimo concerto. Grazie.»
«Ma figurati. È piaciuto molto anche a me. Mi stai facendo scoprire tante cose.»
«Tipo?»
«La musica classica, Ekaterina Zacharova, Norah Jones. Un nuovo mondo. Credo che ogni volta che una persona ne incontra un’altra si creino nuove direzioni…
Chissà cosa accadrà adesso.»
Sofia sorrise. «Chissà… Per adesso una cosa molto più semplice. Dovrei andare in bagno…»
«È lì in fondo.»
Si alzò dalla poltrona e si diresse verso la cabina che le aveva indicato, la aprì, attraversò una camera da letto matrimoniale molto elegante, in legno chiaro e alcanta-ra e andò in bagno. Si pettinò i capelli. Controllò il telefonino. Nessun messaggio. Andrea non l’aveva cercata.
Sapeva che stava con Lavinia e non la voleva disturbare.
Quando uscì dalla cabina vide che Tancredi era seduto a un tavolo. Era stato apparecchiato e c’era una candela al centro. Tancredi la stava accendendo.
«Mangiamo qualcosa, ti va? Avrei voluto portarti a cena in un bellissimo ristorante sulle colline veronesi che mi hanno consigliato, ma non saremmo arrivati in tempo a Roma… Magari un’altra volta.» Sofia lo guardò e fece di segno di no con la testa, poi si sedette di fronte a lui. «No, non vuoi mangiare o…»
«No, magari un’altra volta.»
«Ok, come desideri. Tieni, ho preparato il menu Sofia.» Glielo passò. Era stampato sul serio con il suo nome sopra. Lei sorrise e lo aprì. C’erano tutte cose che le piacevano, piatti tipici delle regioni più diverse.
Pasta alla Norma siciliana, trofie al pesto genovese, penne all’arrabbiata, cotoletta alla milanese e spigola alla,palermitana. E a seguire contorni, frutta e dolci.
«Non ho potuto metterne di più perché qui la cucina è piccola. Non ti dico che la prossima volta mi organizzerò meglio, perché già so che scuoteresti la testa…»
«Esatto.»
Arrivò la hostess e Sofia ordinò tutto siciliano.
«Hai voglia di scegliere un vino? Ne abbiamo diversi nella cantinetta o vuoi dello champagne?»
Sofia guardò la carta. «Sceglilo tu.»
«Ok. Mi porta un Cometa di Pianeta?»
La hostess scomparve.
«Hai scelto tutto cibo siciliano, a me piace di solito accompagnare ciò che mangio con il vino della stessa regione…»
Poco dopo cenarono volando, a lume di candela con un ottimo vino bianco freddo, ridendo, raccontandosi ognuno un po’ del proprio passato. Tancredi naturalmente conosceva ogni particolare ma fu abilissimo nel farle credere di sentire tutto per la prima volta.
«E così hai cominciato a suonare… Il tuo primo concerto a soli otto anni… Incredibile.»
E ascoltava attento ogni dettaglio ripercorrendo nella sua mente le foto di quel periodo, le frasi sul diario, un articolo, un filmato, qualcosa che in qualche modo arricchiva ancora di più quel semplice racconto.
Poco dopo atterrarono. «Ecco… Siamo arrivati.»
«Grazie…»
Salutò la hostess, il secondo pilota e poi il comandante.
«È stata veramente una serata magnifica…»
Tancredi la accompagnò alla sua auto al parcheggio.
«Eccoci qua.»
«Eccoci tornati alla realtà.»
«Sei stata bene?»
«Abbastanza.»
Tancredi rimase sorpreso di questa risposta. Non era abituato ad “abbastanza”. Sofia lo guardò negli occhi.
«Non so come hai fatto a sapere tutte quelle cose su di me. All’inizio mi ha dato fastidio, ora non me ne importa più niente. Però c’è stato un errore.»
«Quale?»
«Norah Jones. Mi hai detto che lo hai saputo da Lavinia, lei però non ha mai saputo che mi piacesse Norah Jones.» Poi sorrise. «Ti avevo detto di dirmi la verità.
Ora ti dico una cosa più importante. Io odio i bugiar-di.» Tancredi non trovò nulla che potesse dirle. Aveva sbagliato.
Sofia entrò nella sua auto. «Per un attimo ho pensato ehe tu fossi l’uomo perfetto…» Poi gli sorrise. «Ora sono molto più serena.»
Chiuse lo sportello e partì.
Tancredi rimase a guardarla. Poi prese il telefonino dalla tasca.
Sofia guidava veloce verso casa. Trovò subito posteg-gio, scese dalla macchina e guardò l’ora. Mezzanotte.
Tutto era credibile. Entrò nell’ascensore e spinse al suo piano. Si ricordò per un attimo la bellezza dell’ascensore dell’albergo di Verona, quella suite, il terrazzo, il concerto, l’aereo, la cena al ritorno… Era tutto fuori dalla sua portata, anche dalla sua immaginazione. Poi tirò fuori il telefonino dalla borsa. Due messaggi. Il primo era di Lavinia.
“Mi perdoni? È stato bello? Il mio concerto è stato fantastico! Ci sentiamo domani? Tvb.”
Lo cancellò. Era proprio una ragazzina. Poi il secondo messaggio. “Scusami, non volevo dirti una bugia. Il concerto degli U è stato perfetto, l’ultimo bis è stato Where the Streets Have No Name. Non ti disturberò più. Questo è il mio numero. Cercami tu se vuoi. Buonanotte. Tancredi. “
Rimase con il telefonino in mano davanti alla porta di casa indecisa se cancellarlo o no. Il pollice era fermo sul tasto. Guardava quel messaggio, poi prese la sua decisione ed entrò in casa.
La voce di Andrea arrivò dalla camera da letto.
«Amore, ti sei divertita?»
«Sì molto….» rispose dal salotto.
«Vieni qui?»
Sofia fece un lungo respiro, si sentiva in colpa. Poi pensò: “In realtà non ho fatto proprio niente, è stata tutta colpa sua e di Lavinia”. Così andò in camera.
Andrea leggeva un libro, Pastorale americana di Philip Roth. Lo poggiò sulle gambe e le sorrise.
«Sono sempre bravi, eh! Li ho visti una volta allo Stadio Flaminio nel, ancora non ci conosceva-mo…»
«Sì, bravissimi.» Gli diede un bacio sulle labbra.
«Vuoi bere qualcosa?»
«Sì, un po’ d’acqua. Ah, toglimi una curiosità.»
Sofia era di spalle, chiuse gli occhi. Non sarebbe stato facile. Allora si girò e gli sorrise.
«Certo, dimmi.»
«Hanno fatto un bis alla fine del concerto?»
«Sì…Where the Streets Have No Name.»
E solo in quel momento si sentì veramente colpevole.
I giorni seguenti furono particolari per Sofia. Era co-me se avesse sognato tutto, come se si fosse svegliata stranamente di malumore, c’era qualcosa che le piaceva molto e qualcosa che invece stonava. Era come quando ti svegliano di soprassalto, ti ricordi cosa stavi sognando ma ormai è troppo tardi. Nei sogni va tutto come vuoi tu, senza difficoltà, senza che nessuno si dispiaccia o abbia da ridire qualcosa. I sogni sono semplici.
Era tutto come prima: faceva colazione, usciva presto, faceva la spesa, tornava per pranzo e poi il pomeriggio lezione come al solito al conservatorio o alla scuola di musica. E non c’era una volta nell’arco della giornata che si ritrovasse a pensare a lui, a tutto quello che era accaduto, a quella fuga improvvisa dalla sua realtà. Se lo era imposto. E ci era riuscita.
«Come vi siete trovati con Ekaterina Zacharova?»
«Chi?»
«L’insegnante dell’altro giorno…»
«Oh bene, benissimo… Voleva vedere a che punto stavamo con te e poi ci ha fatto suonare qualcosa, minima fatica, massimo divertimento!» Così aveva commentato Jacopo, il più severo e anche il più simpatico dei suoi alunni maschi, quello che voleva trasportare tutta la musica classica nel mondo del computer e del virtuale.
«Sai cosa ho pensato che sarebbe un affare?»
«Che cosa?»
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