«Non ho sentito di nessuna vincita dell’Enalotto e soprattutto… io non ho giocato. E merito tuo?»
Sofia non gli diede retta. «Allora, ho preso tutto ciò che ti piace. Spero che tu non abbia cambiato gusti proprio in quest’ultimo periodo.»
In effetti era molto tempo che non andavano più nei loro ristoranti preferiti.
«Tagliolini al burro con tartufo bianco, coniglio alla cacciatora, pesche e poi gelato al pistacchio coperto da pistacchi di Bronte, tutto accompagnato da…» inclinò verso di lui una bottiglia di vino, «un ottimo Barolo Brúñate. Come sono andata?»
«Non potevi andare meglio… Ma sul serio, dimmelo.
È la mia ultima cena? No, perché in quel caso non man-gerei con la mia solita fretta, ecco.»
Sofia si mise le mani sui fianchi. «Ma perché tutto deve essere sempre così complicato con te? Non avevamo detto che dovevamo essere una coppia come le altre? Sai che ogni tanto gli uomini e le donne si fanno delle sorprese, si danno dei baci amorosi, si fanno delle coccole, sono felici?»
«O fingono di essere tali?»
«Non so fingere. Non sei felice con me?»
Il suo tono cambiò. Le braccia le scesero lungo i fianchi. Stava per piangere.
Andrea se ne accorse. «Moltissimo, amore, è che non credo di meritarmelo.»
«Hai ragione. Quando rompi i coglioni così non te lo meriti proprio. Forza, a tavola.» E se ne andò in cucina.
Andrea ne approfittò per tirare a sé la carrozzella e scivolarci sopra. Si spinse velocemente fino all’armadio e si infilò una camicia bianca di lino. Cercò di fare più in fretta possibile. Era pronto quando lei arrivò. Le sorrise imbarazzato per essere riuscito a cambiarsi solo a metà ma lei fece finta di niente. Apparecchiò e poco dopo erano seduti a tavola.
«Mmm. Buonissimo. Sei diventata un’ottima cuoca.»
«Magari sapessi cucinare così. Non insegnerei più musica… A volte soffro nel vedere i miei allievi indecisi su dei passaggi così belli…»
Andrea si pulì la bocca. «E cosa faresti?»
«Aprirei una scuola di cucina in giro per il mondo, organizzerei dei catering per gli eventi più importanti e mondani…» Andrea non fece in tempo a sentirsi escluso. «E porterei te come supervisore chef…»
«Ah, ecco.»
«Credevi di poterti sbarazzare di me, eh?» Sofia gli sorrise. «Impossibile!»
Continuarono la cena in silenzio. Era tutto molto buono. Sofia doveva aver fatto presto a portare le vivande a casa, perché i tagliolini non erano scotti e il secondo era ancora caldo. Andrea sorseggiava il vino.
Lo assaporava apprezzandone il retrogusto fruttato, perfetto. Chiuse gli occhi. Per un attimo gli sembrò di essere in una condizione magica. Stava gustando una sensazione nuova da quando aveva avuto l’incidente.
Era soddisfatto, appagato, in qualche modo realizzato.
Ecco, era felice e non sapeva spiegarsi il perché.
“Ma allora la felicità è solo uno stato mentale? Siamo noi che ci creiamo i problemi o viviamo male quelli che abbiamo? Allora il fatto che io non possa più camminare non è poi così importante?”
Aprì gli occhi, erano lucidi, si era commosso, e quando la vide rimase sorpreso.
Sofia era in ginocchio davanti a lui. «Tieni…»
«Cos’è?»
«E per te.»
Andrea prese quel piccolo pacchetto e lo girò tra le mani.
«Aprilo…» Mentre lo scartava, Sofia continuò a parlare. «Forse sono stata una ragazzina testarda e capricciosa, a volte ho messo il muso per delle sciocchezze e ho fatto degli errori…» sorrise vedendolo preoccupato, doveva domandarsi che cosa avesse mai commesso che lui non conosceva, «ma mai così gravi da farti perdere fiducia in me… Sono stata a volte casinara, distratta, mi dimentico dove metto le cose o, ancora peggio, quello che mi hai appena raccontato. Però ti amo e questa è la cosa più importante… Credo.»
Proprio in quel momento Andrea aveva finito di scar-tare il pacchetto. Posò la carta sul tavolo. In mano aveva solo una piccola scatola di pelle blu scuro. «Aprila…»
Andrea lo fece lentamente. Un anello in oro bianco, una fascia larga, compatta, con incisi un sole e un piccolo diamante al centro. Sofia allora glielo prese dalle mani e glielo infilò. «Tu sei stato, sei e sarai la mia luce…
Andrea, mi vuoi sposare?»
Andrea la guardò. Sofia era lì, commossa, con le lacrime agli occhi, ai suoi piedi. E per un attimo Andrea cercò le parole, una battuta da dire, oppure semplicemente quella domanda: “Perché mi vuoi sposare, Sofia?
Lo sai che non cammino, vero? È un gesto di compassione il tuo?”. E ancora: “Ma non spettava a noi uomini chiedere la mano, la sorpresa, l’anello e tutto il resto?”.
E infine: “Ho paura, Sofia, che vuol dire tutto questo?”.
Ma poi capì che in quel momento doveva rinunciare a ogni ragionamento, alla necessità di fare lo spiritoso, e apprezzare la semplicità con la quale Sofia gli mostrava il suo cuore. Allora si aprì in un gran sorriso e disse semplicemente: «Sì».
Si abbracciarono felici. Sofia lo riempì di baci. «Avevo paura che mi dicessi di no.»
«Perché? Non sei così male, sai?»
«Ma sai che sono una fregatura, vero?»
«Sì… lo so. Ma l’amore è fatto così, più ci rimetti e più sei felice.»
Si sposarono due mesi dopo in una piccola chieset-ta sul lago di Nemi, fu un bellissimo matrimonio con tutti gli amici più cari dai tempi della scuola. Vennero i rugbisti amici di Andrea e tutti i musicisti che avevano accompagnato Sofia nei suoi concerti. Un famoso direttore d’orchestra cinese, una violista svedese, un trombettista americano e un tedesco, uno dei migliori suonatori di xilofono al mondo. Si organizzarono per suonare in chiesa e la cerimonia fu una specie di jam session che pochi teatri si sarebbero potuti permettere.
Vennero i genitori di Sofia da Ispica e la mamma di Andrea che abitava a Formello.
La madre di Sofia, Grazia, era voluta arrivare una settimana prima a Roma. Voleva essere sicura del passo di sua figlia e così, per la prima volta dopo tanti anni, era stata lei a cercare un dialogo e invitarla a pranzo. Si erano trovate al Pain Quotidien, un ottimo locale in via Toma-celli. Sembravano due turiste straniere, se non fosse che la madre aveva mantenuto forte e chiaro il suo accento siciliano.
«Sei sicura di quello che fai, Sofia? Il Signore ti avrà perdonato per quel capriccio. Non è che ora lo devi anche sposare per forza. Poi sarà più difficile ripensarci.»
Sofia mangiava serena un ottimo piatto di gricia.
«Mmm. Hai sentito che buoni, mamma?»
«Non cambiare discorso!»
«Ma chi cambia discorso? Sono buoni per davvero!»
La madre rimase in silenzio. Poi cominciò a parlare.
«Sai quante volte avrei voluto lasciare tuo padre? Non fare lo stesso errore.»
«Scusa, mamma» Sofia si pulì la bocca e poggiò il tovagliolo sul tavolo, «perché non l’hai lasciato?»
«Per te e tuo fratello. E forse anche perché non ne avevo il coraggio.»
«Be’, ti ringrazio se lo hai fatto per noi. Non credo che avremmo sofferto così tanto però. Molti dei nostri amici avevano i genitori separati.»
«Molti di loro infatti non sono riusciti a farsi una vita.»
«Sei esagerata, mamma. Non è che tutto è sempre collegato… Nessuno di voi due per esempio ha mai suonato uno strumento.»
«Sì, ma infatti hai smesso di suonare.»
«Ora sei cattiva.»
«E per lui che lo hai fatto, no? E ora? Ti stai sposan-do sempre per colpa dell’incidente?»
Sofia rimase in silenzio. Poco dopo parlò.
«Mamma, se tu avessi lasciato papà, io sarei stata dispiaciuta per voi perché un matrimonio rotto è una storia che finisce e fa soffrire. Ma se lo aveste fatto non sarebbe cambiato il mio amore per voi. Vorrei solo sentire il tuo amore per me in questo momento, io sono felice di sposarmi con Andrea. Sono felice con lui e, a parte la musica, sono felice della mia vita.»
La madre ci pensò un po’ su. «Va bene. Ho trovato la soluzione. Sposalo…»
«Oh…»
«Ma riprendi a suonare.»
«Non posso, mamma, lo sai, ho fatto un voto.»
«È una cosa senza senso. Ora se tu lo sposi è come se annullassi quel voto!»
«Hai una strana concezione della fede, mamma.»
«Già. In questo momento della mia vita, la fede mi sembra inutile.»
«Perché?»
«La Chiesa, la fede, ti servono solo quando hai qualcosa da chiedere.»
Sofia rimase in silenzio. Sua madre era molto dura.
Non sarebbe servito a nulla cercare di farla ragionare.
Doveva accettarla così. «Mangia la pasta, mamma, è buona, sul serio.»
Finalmente la madre si decise, infilò con la forchetta due o tre spaghetti e li portò alla bocca. Li masticò e infine li mandò giù. «E vero, è ottima. Sii felice, figlia mia.»
«Lo sono, mamma.»
Continuarono a mangiare in silenzio e non toccarono più quell’argomento.
Al matrimonio sua madre si commosse e pianse. Durante il ricevimento non smise di cercare l’approvazione delle persone.
«Bella mia figlia, vero?»
Tutti la prendevano in giro.
«Certo, Grazia, che non lo sapevi?»
«Me la sarei sposata io!»
«Anche Andrea è un bel figliolo però…» le rispose Anna, la madre dello sposo.
«Certo, certo…» fece Grazia.
«Sono una bellissima coppia.»
Il matrimonio era stato perfetto. Andrea, ormai lau-reato a pieni voti in architettura, si era divertito a organizzare tutta la scenografia della chiesa e quella del ricevimento. Aveva scelto delle splendide piante, degli addobbi bianchi come il casale che aveva trovato sul la-go a pochi passi dalla piccola chiesa. Aveva voluto che quella festa fosse una specie di scampagnata tra amici.
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