«Era un astice, un crostaceo. L’hanno pescato e tu lo hai mangiato. Però ti è piaciuto, no? Che differenza ci vedi con quello che andiamo a fare noi?»
Claudine era scappata sentendosi terribilmente in colpa. La madre era rilassata davanti al suo bungalow a prendere il sole, quando l’aveva vista rientrare piangendo e chiudersi la porta alle spalle. Le ci era voluta tutta la mattina per convincere la figlia che non era assolutamente colpevole della morte di quell’astice. Alla fine ci era riuscita dovendo però rinunciare a un bel massaggio, che poi era la principale ragione per la quale lei andava al Conrad Rangali Resort delle Maldive.
Naturalmente Vittorio ed Emma avevano litigato.
«Cosi spaventi tua figlia…»
«Amore, è solo per farle capire come va la vita…»
«Sì, ma che fretta c’è?»
«D’accordo, però dobbiamo aiutarla a essere meno emotiva, non credi?»
«Sì, però adesso per colpa tua va in giro sentendosi un’assassina di astici! E pensare che era una delle poche carni che oltre tutto le piacesse…»
Gianfilippo e Tancredi la prendevano in giro e ridevano moltissimo della sorella.
Quella vacanza a Natale alle Maldive era da sempre uno dei ricordi più belli e cari che Tancredi avesse. Era stata forse l’unica volta in cui aveva sentito la sua famiglia unita. Andava a pesca la mattina con suo padre e la sera cenavano tutti insieme a quel tavolo apparecchiato sul pontile, che sembrava galleggiare sotto le stelle.
Tancredi si divertiva ogni tanto a buttare un pezzo di pane. Non faceva in tempo a toccare l’acqua che subito spariva ingoiato al volo da uno dei tanti pesci. Allora ne buttava subito un altro e loro si precipitavano in branco. Tancredi li guardava stregato da quei riflessi della luna sulle squame, sembravano come dei bagliori, delle lame argentate sott’acqua. Nel silenzio, sotto quella banchina, si sentivano solo gli schizzi di quei pesci.
Aveva pensato spesso a quelle cene con la sua famiglia sull’isola. Erano stati gli unici momenti in cui si era sentito felice.
«Eccolo, eccolo, è preso, è preso!» Esteban gli fece I
notare che il mulinello dalla sua canna aveva cominciato a correre a una velocità incredibile. Tancredi si era completamente distratto, inseguendo i suoi ricordi.
«Lasci andare, lasci andare… Non è tempo.»
Esteban si raccomandò di non bloccare il rocchetto, di farlo correre ancora affinché il grosso pesce, che doveva aver preso, si sfiancasse. Poi afferrò un secchio, lo calò in mare, lo tirò su per la corda che era legata al manico e rovesciò un po’ d’acqua sul mulinello che ancora correva.
«Così non si scalda troppo» gli spiegò Esteban. Tancredi annuì, anche lui conosceva quei trucchi.
Chiuse gli occhi per evitare gli schizzi dell’acqua buttata sul mulinello. Faceva caldo e questo lo rinfrescò.
Poi infilò una mano nel secchio, si bagnò le spalle, il petto e infine la pancia. Era abbronzato e dimagrito.
Era ormai da una settimana al largo del Messico con il suo panfilo Ferri. Quello era il gran giorno. Guardò l’orologio. Sarebbe dovuto arrivare nel primo pomeriggio. Gli aveva detto di aspettarlo per le e così sarebbe stato, ne era sicuro.
«Ora!» Esteban vide che il mulinello si era fermato, il pesce doveva essersi stancato ed era quindi il momento di recuperare. «Tiri, tiri…»
Tancredi provò ma, sentendo troppa resistenza, allentò di nuovo la presa e lasciò andare il mulinello. Il filo di nuovo libero correva via, così che il pesce si stan-casse ancora per qualche minuto. Esteban osservava il rocchetto che si srotolava e poi guardava lontano in ma-re. «Bravo così…» Poi guardò Tancredi.
«Deve essere una bella bestia…»
«Già!»
Esteban era soddisfatto. Poi alzò il sopracciglio. Era preoccupato, il combattimento durava da più di un’ora.
Osservò Tancredi. Aveva un bel fisico, era asciutto, muscoloso, allenato, ma sarebbe stato capace di sostenere una fatica fisica come quella? Esteban aveva visto sfian-carsi uomini ben più grossi di lui.
«Ce la faccio.»
«Eh?»
Tancredi si girò verso Esteban. «Ti ho detto che ce la faccio, non ti preoccupare, non lo perdo, stai tranquillo, dovessi anche metterci qualche ora. Lo mangeremo per cena.»
«Sì, sì, certo, ne sono sicuro» mentì Esteban.
Ma Tancredi gli sorrise per tutta risposta. «No, che non ne sei sicuro.» Conosceva bene la psicologia delle persone che lo circondavano. «Se lo perdo, vorrà dire che stasera ti servirò io a cena una di quelle belle aragoste che abbiamo a bordo, se invece lo porto in barca, me lo cucini tu come sai fare…»
Esteban sorrise ammettendo di essere stato scoperto. Poi si preoccupò della scommessa. Lo avrebbe imbarazzato essere seduto a tavola e servito da Tancredi Ferri Mariani in persona. Il boss, come lo chiamava lui, non era certo tipo da non pagare una scommessa, anche se così particolare come quella. Ma ciò che lo preoccupava era il rapporto con il comandante e tutto l’equipaggio. Cosa avrebbero detto di lui? Esteban fece un sospiro. Ormai era fatta. Controllò la canna troppo piegata.
«Non così, non così, señor. Non sta tirando troppo?»
«Lasciami fare. Ci sto giocando. Lo stanco ancora un po’… e poi gli do di nuovo corda. Ecco, così.»
Tancredi liberò il mulinello. Il rocchetto cominciò a correre veloce. «Vedi…»
Infilò la canna nel passante della cintura. Aveva le braccia libere, così le allungò, stirandosi un po’ i muscoli. «Portami una birra, Esteban, por favor… Mi sa che ne avremo ancora per molto.»
«Subito, señor.» E infatti così fu. Ci vollero tre ore e mezza di continui tira e molla, recuperare parte del filo \
e poi lasciar andare di nuovo il mulinello, ma alla fine Tancredi tirò sulla barca un marlin da settanta chili.
«Fiuuu, che bestia!»
«Complimenti, señor.»
Esteban era veramente sorpreso e anche stupito di come ce l’avesse fatta con la schiena piegata in quel mo-do a resistere sotto il sole.
Tancredi era sfinito. Il potente Marlin sbatteva la grossa pinna sulle tavole della barca ed Esteban, prima che potesse fare un salto in acqua e mettere a repentaglio l’esito della loro scommessa, lo trafisse veloce con un machete da parte a parte.
«Veramente un diablo, señorl Complimenti sul serio.»
Tancredi si aprì un’altra birra. «Non credevi che ce l’avrei fatta, eh, Esteban?»
Esteban stavolta fu sincero. «No, señor. Era un pesce molto grande per la maggior parte degli uomini, possibile solo per grandi pescatori.»
Tancredi lo guardò felice di quel complimento e si scolò d’un fiato la birra. Poi prese il secchio con la corda, lo buttò in acqua, lo riempì e se lo rovesciò in testa.
Era a pezzi. Guardò l’orologio. Mezzogiorno, mancavano ancora tre ore. «Forza, torniamo sulla nave.»
I marinai issarono il Marlin con un piccolo argano sopra coperta.
«Bravo, Esteban!» Lo applaudirono facendogli i complimenti e battendogli le mani. «Che pesce!»
Ma Esteban fu ancora più fiero nel rispondere. «Ma che bravo Esteban… Bravo el señor\ Io mica lo tornavo un pesce come quello…»
E tutti risero di quella espressione e furono ancora più sorpresi ed entusiasti di quella pesca.
Poco più tardi Esteban servì il marlin a Tancredi, sul tavolo principale a poppa, sotto l’ombra del ponte.
«Ecco, señor. L’ho fatto alla brace come piace a lei, con un po’ di limone e vino bianco spruzzato mentre arrostiva.»
«Bravo, Esteban. Siediti con me. Mangiane un pezzo anche tu.»
«Non posso, señor. L’equipaggio…»
«E dai, fammi compagnia.»
«Un’altra volta, señor.»
Tancredi decise di non insistere. Si chiese cosa sarebbe successo se avesse perso la scommessa. I debiti di gioco si pagano, in quel caso non esistono padroni o servitori. Mangiò di gusto quel Marlin. Gli sembrava che avesse un sapore particolare, forse perché dentro c’era tutta la fatica di quelle tre ore e mezza che erano servite per tirarlo su. Tancredi inarcò la schiena, gli faceva davvero male. Aveva i muscoli gonfi e doloranti, era tanto tempo che non faceva uno sforzo di quella portata. Prese un bicchiere di Ruinart Blanc de Blancs del. Quello champagne era gelato e buonissimo, perfetto con il pesce. Assaggiò un po’ dell’insalata che gli avevano messo in un piatto lì vicino, pomodori e lattuga. Si chiese come facessero ad averla così fresca.
Erano lontani dalla costa. Per un attimo si domandò se non ci fosse anche un orto a bordo. Poi sorrise di quella stupidaggine. Però non sarebbe stato male. Ne avrebbe parlato con Ludovica, la sua personal stylist. Se fosse stato possibile, lei avrebbe trovato il modo.
Sentiva i muscoli troppo contratti. Ma a quello Ludovica aveva già pensato. Tancredi scese al secondo piano. Le ragazze della sua spa personale gli sorrisero e lo accompagnarono in una cabina. Gli chiesero di cosa avesse bisogno in particolare.
«Un massaggio completo, soprattutto alla schiena, ho i muscoli del trapezio molto duri.»
Poco dopo arrivò una massaggiatrice che lo fece stendere su un lettino. Tancredi la guardò solo per un attimo. Era molto bella, aveva i capelli castani e la I
carnagione scura. La donna gli sorrise con gentilezza ma Tancredi chiuse gli occhi. “Che mi succede? Sono diventato perfino indifferente alla bellezza… se non è quella di Sofia?” Sorrise tra sé. “Forse è colpa del pesce” si disse, “mi ha veramente stancato.” E mentre sentiva le mani della ragazza che iniziavano a sciogliere il suo trapezio, si addormentò. Quando si svegliò guardò subito l’orologio. Dieci minuti alle quindici. Stava per arrivare. Si alzò dal lettino e si accorse che la ragazza aveva fatto un ottimo lavoro. Si fece una doccia calda, togliendosi con il sapone tutto quell’olio. Poi indossò un accappatoio poggiato all’interno della cabina. Aveva le sue iniziali ricamate in acciaio e blu, esattamente come il colore della barca. La personal stylist aveva veramente gusto.
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