Il testamento in effetti poneva la questione in questo modo. Gianfilippo fece versare i cinquanta milioni di euro sul suo conto e poi chissà cosa ne fece, magari li investì in qualcosa di particolare. A Gregorio Savini sarebbe bastata una telefonata per avere quell’informazione, ma Tancredi glielo vietò. Non volle sapere nulla.
Tancredi mise i cinquanta milioni di euro di Claudine in un fondo separato da tutti i suoi conti e un giorno avrebbe deciso quale sarebbe stato il loro impiego. Intanto aveva altro a cui pensare.
Guardò l’orologio, tra poco avrebbe saputo tutto di lei. Gli venne da ridere. Lei. Non sapeva neanche come si chiamasse. Era curioso ma nello stesso tempo stranamente preoccupato. Quella donna all’interno della chiesa, che suonava con le mani nel vuoto, che seguiva la musica a occhi chiusi, anticipandola, con passione.
Quella donna bellissima. Quella donna sulla scalinata, spiritosa, sfuggente, di carattere, con un bel sorriso.
Quella donna aveva riacceso la sua voglia di vivere, di amare. E se quella donna invece fosse stata completamente diversa? Quante volte un’immagine riesce a farci sognare, diventa la possibilità di realizzare tutti i nostri desideri. Ma poi la realtà è tutta un’altra cosa. La vita è una serie di sogni che vanno a male, è quella stella cadente che esaudisce il desiderio di qualcun altro.
Sorrise di questo suo pessimismo improvviso e fu sul punto di fermare quella ricerca su di lei. Ma non fece in tempo a guardare l’orologio. Troppo tardi. Bussarono alla porta.
«Avanti.»
Gregorio Savini entrò e si chiuse la porta alle spalle.
Rimase in piedi per un attimo. Tancredi raggiunse di nuovo la poltrona. «Siediti pure, Gregorio.»
«Grazie.»
Prese posto davanti a lui con una cartella in mano piena di fogli. «Vuoi che te la lasci qui?»
Tancredi si girò verso la finestra che dava sull’oceano. Il veliero era scomparso, le petroliere erano semplicemente più lontane. «No. Leggimi il rapporto.»
Chiuse gli occhi preparandosi a tutto quello che avrebbe potuto sentire. Non sapeva bene cosa aspet-tarsi e non sapeva neppure cosa avrebbe voluto sentire.
Gregorio aprì la cartellina e iniziò a guardare velocemente alcuni appunti battuti al computer.
«Allora, ha compiuto da poco trent’anni, è sposata, non ha figli. Abita in una casa che le è stata lasciata dai nonni, fa qualche lavoro saltuario, non se la passa male ma neanche troppo bene. Non può permettersi spese eccessive fuori programma…»
Gregorio lo guardò, era di spalle, impassibile, così continuò a leggere. «Ha fatto il liceo classico, ottimi voti, qualche relazione con i suoi compagni di classe, storie ordinarie di qualunque ragazza di quell’età. Abita con il marito nel quartiere San Giovanni…»
Tancredi ascoltava in silenzio a occhi chiusi la descrizione della vita di quella ragazza, gli sembrava tutto normale, fin troppo, come se non appartenesse a quell’immagine che aveva conosciuto, a quella sensazione forte che gli aveva dato. Da quei fogli usciva una donna ordinaria, priva di particolarità. Nessuna passione, una vita in qualche modo piatta, né bianco né nero, nessuna luce.
«Ah ecco.» Gregorio sembrava aver letto tra i suoi pensieri. D’altronde erano trent’anni ormai che si conoscevano. Era come se avesse avvertito in lui una certa insoddisfazione. «C’è una novità.» E non sapeva se quello che ora avrebbe letto gli sarebbe piaciuto. «Da qualche settimana tradisce il marito.»
Tancredi aprì gli occhi, rimase fermo, senza reazioni. Fissò l’azzurro del mare di fronte a lui. Ludovica Biamonti aveva svolto un lavoro magnifico. Quella finestra sull’oceano era uno spettacolo. Aveva fatto di-pingere i muri della stanza di un leggero indaco mentre le rifiniture intorno al cristallo formavano come una cornice bianca, così da far sembrare quella vetrata un quadro e nello stesso tempo far risaltare ancora di più la vista. Ora il mare era piatto. Non c’era più nulla, neanche quelle petroliere, solo il suo azzurro. Sembrava un quadro dipinto, tanta era la profondità di quel colore.
Si ricordò la determinazione dello sguardo di quella donna, era tutta d’un pezzo, senza mezze misure, pronta a litigare per la sua migliore amica anche se avesse avuto torto, a non dare spiegazioni in pubblico, ad avere solo un uomo e magari per tutta la vita. E si ritrovò così a darle un soprannome: l’ultima romantica. Allora sorrise e pensò alla sua vita, sempre in giro per il mondo, non fermarsi, vendere, comprare, investire, giocare il tutto per tutto. Era un azzardo continuo. Aveva sempre avuto ragione perché si era fatto guidare dall’istinto. Possibile che proprio questa volta il suo istinto sbagliasse?
Decise di rischiare.
Girò la poltrona verso Gregorio Savini e lo guardò negli occhi divertito.
«Hai sbagliato persona.»
Gregorio Savini smise di leggere, quelle parole erano state come una doccia fredda. Da oltre dieci anni portava a Tancredi registrazioni telefoniche, vere e proprie intercettazioni, documenti, fotografie, rapporti su immobili, su persone comuni, politici, direttori, proprietari di aziende, imprenditori, addirittura su alcuni boss della malavita e fino a quel giorno non aveva mai sbagliato. Sapeva però che c’era sempre una prima volta e poteva essere proprio quella. Così, gelido, chiuse l’incartamento.
«Può essere.»
Avrebbe voluto aggiungere: “Anzi, deve essere, perché questa persona non ha assolutamente nulla che ti possa interessare, per come ti conosco”, ma decise che questo commento faceva parte del suo report personale ed era del tutto inutile.
Così allungò l’incartamento verso Tancredi che lo aprì curioso come un ragazzino. Sfogliò i documenti.
Guardò alcune foto e alla fine sorrise. Aveva seguito il suo istinto e aveva indovinato. La ragazza nella foto era bruna, non era lei. L’ultima romantica, come l’aveva battezzata, gli aveva fatto vincere quella partita con Savini.
«Eccola…» Girò l’incartamento verso Gregorio e gliela indicò. «E quest’altra donna, in questa foto, quella dai capelli castano chiaro. Devono essere amiche.»
Gregorio Savini la guardò attentamente. Aveva sbagliato. Era anche vero che aveva avuto pochi indizi. Solo i numeri di una targa. Tancredi allargò le braccia. «Può succedere, Gregorio. Anzi, dopo trent’anni questa cosa finalmente ti rende umano.»
Savini rise della battuta. «Lo sono fin troppo.» Ne approfittò subito. «Anzi, la mia parte più umana vorrebbe andare un po’ in vacanza.»
«Ci andrai dopo che l’avremo trovata.»
Savini riprese l’incartamento. «Per sapere tutto di lei ci vorrà più tempo.»
«Ho io un’idea. So come trovarla, sarà facilissimo.»
La vide attraverso la vetrata. Non credeva ai suoi occhi.
«Ehi, che succede?» Sofia entrò nel piccolo locale al Pantheon. Il Caffè della Pace lo aveva scelto Lavinia, era un posto dove facevano ogni tipo di tè.
Lavinia la guardò sorpresa. «Perché? Che vuoi dire?»
Sofia si sedette di fronte a lei e poggiò la borsa sulla sedia tra loro. «Di solito non sei mai puntuale e questa volta arrivi addirittura prima di me!»
«Si cambia…» Sorrise come se oltre a quella puntua-lità volesse intendere qualcos’altro. Sofia però non ci fece caso e aprì il menu. «Cosa prendi?»
Lavinia guardò quello aperto sul tavolo vicino a lei.
«Oh, io prenderò un tè verde…»
Sofia si affacciò sorpresa dal suo menu. «E basta?»
«Sì.»
Scrollò la testa. «Non ci siamo… Non ci siamo proprio.»
Lavinia si mise a ridere. «Ma sono semplicemente a dieta, come la maggior parte della gente del nostro Paese, anzi del nostro pianeta, che ha compiuto trent’anni.»
Sofia gliela concesse. «Ok, hai ragione e visto che io li farò tra più di tre mesi mi prendo una bella crêpe ai frutti di bosco.»
«Uhm, ti invidio.»
«Non dovresti, levati questo sfizio… farai qualche lezione di più in palestra. A proposito, come va?»
«Benissimo.»
Sofia adocchiò una ragazza che serviva tra i tavoli e le fece segno di avvicinarsi. «Salve, vorremmo un tè verde, un tè nero con limone a parte, giusto?» Guardò Lavinia per vedere se era quello che desiderava. Lei annuì. «E
poi se mi porta anche due crêpe, una ai frutti di bosco e l’altra con i marron glacé.»
La ragazza segnò tutto sul suo taccuino e si allontanò. Lavinia la guardò malissimo.
«Marron glacé… sei perfida.»
«Perché?» Sofia fece finta di nulla.
«Lo sai benissimo perché. È il mio gusto preferito e tu lo hai fatto apposta, me lo metterai sotto il naso e vedrai quanto resisto…»
«E tu resisterai?»
Lavinia scoppiò a ridere. «Nemmeno un secondo.»
«E allora ho fatto bene. Ci sono dei desideri leciti ed è giusto concederseli, no? Come dire… le tentazioni più dolci e anche le meno pericolose.»
«Già.» Lavinia annuì ma sembrò leggermente nervosa su questo argomento. «Poi gliela spieghi tu all’insegnante di aerobica questa tua teoria…»
«Certo! Anche perché, se ci pensi, è proprio grazie a queste tentazioni che quelle come lei diventano improvvisamente necessarie!»
Poco dopo arrivò la cameriera con le loro ordinazioni. Lavinia prese con la forchetta un pezzetto della crêpe con i marron glacé.
«Ok, lo ammetto, resistenza zero.»
E l’addentò. Scoppiarono a ridere.
«Brava, così mi piaci, sei più sana.»
Continuarono a mangiare e a chiacchierare del più e del meno.
«A proposito. Ancora grazie per la macchina l’altro giorno. Avrei preso la pioggia.»
«Figurati, solo che non dovevi farmi il pieno.»
«Era il minimo!»
«Ma ero al lavoro, non mi sarebbe servita comunque.»
"L’uomo che non voleva amare" отзывы
Отзывы читателей о книге "L’uomo che non voleva amare". Читайте комментарии и мнения людей о произведении.
Понравилась книга? Поделитесь впечатлениями - оставьте Ваш отзыв и расскажите о книге "L’uomo che non voleva amare" друзьям в соцсетях.