tranquilla,

serena.

"Cosa voglio da te? Figurati... Non so neanche cosa voglio da

me. Pensa se posso sapere quello che voglio da te. E poi tu quello

che potevi darmi me lo hai già dato."

Raffaella si rimette seduta. Un respiro lungo. Torna calma.

Rimangono

per un attimo in silenzio sedute su due divani. Figure

femminili di età diversa ma molto simili in tante cose, in troppe

cose.

Poi Raffaella sorride.

"Stai bene con questo nuovo taglio di capelli."

"Grazie, mamma. Come va con papà?"

"Bene. Figurati... tornerà. Ha voluto dimostrare qualcosa a se

stesso, ma tornerà. Non è capace di stare lontano. Lui non è un

problema. Piuttosto tu, che hai deciso?"

"Io? Su che cosa?"

"Ma come su che cosa? Dimmi che devo fare. Stasera vado alla

festa dei De Marini. Magari qualche amica mi chiede qualcosa,

vorranno sapere. Mi hai detto che hai visto Step ieri sera.

Allora?

Cosa hai deciso? Ti sposi lo stesso?"

"Certo. Perché non dovrei?"

Raffaella fa un sospiro, ora è più tranquilla. Tutto tornerà a

posto.

È solo questione di tempo e tutto tornerà perfetto come prima,

anzi meglio di prima.

Un nipote di chissà chi, un matrimonio come si deve e un marito

in punizione per un po'. Sì, tutto tornerà perfetto. Raffaella si

alza dal divano.

"Bene, allora posso andare. Stasera giochiamo a burraco. Ci sai

giocare?"

"No, ho visto che giocavano a casa della Ortensi ma non mi sono

seduta."

"Devi provarlo, è molto meglio del gin. È più divertente. Un

giorno che ho un po' di tempo te lo insegno, vedrai che ti

piacerà."

"Va bene."

Raffaella la bacia e fa per andar via.

"Mamma..."

"Sì, dimmi."

"C'è un altro problema."

Raffaella rientra nel salotto.

"Sentiamo."

"C'ho pensato. Però non ti devi arrabbiare. Io non voglio chiamare

i tavoli degli invitati coi nomi dei fiori. È troppo banale. L'ha

fatto anche la Stefanelli per il suo matrimonio. "

"Hai ragione."

"Che ne so, potremmo usare il nome delle pietre preziose per

esempio. Non è più elegante?"

Raffaella sorride.

"Molto. Hai ragione, è un'ottima idea. Faremo cambiare il

cartellone

e i segnatavolo. Fossero questi i problemi..."

E così la bacia di nuovo ed esce felice. È in gamba mia figlia. È

un po' come me, risolve sempre qualsiasi problema trovando la

soluzione

migliore. Raffaella va nella sua stanza a prepararsi. Dopo

poco tempo esce di corsa, elegante e impeccabile come sempre.

Vorrebbe arrivare puntuale a casa dei De Marini. E soprattutto ha

un'unica, ultima, grande preoccupazione. Questa sera deve

assolutamente

vincere a burraco.

Capitolo 75.

"Mamma, io esco."

"Va bene Gin. Telefonami però se fai troppo tardi. Fammi sapere

se torni per cena. Voglio farti quella pizza che ti piace tanto."

Non sento neanche le sue parole.

"Sì, grazie mamma."

Mi metto una felpa e decido di uscire, di perdermi così, senza

tempo. Solo io posso capire. Ho desiderato tanto tutto questo. E

ora? Niente, ora mi ritrovo senza niente, senza il mio sogno. Ma

era tutto vero poi quello che avevo tanto sognato? Non mi va di

pensarci. Sto malissimo. Uffa, non c'è niente di peggio che

trovarsi

in queste situazioni. Uno ne parla un sacco da fuori quando sente

tutte quelle situazioni assurde che riguardano le altre persone,

non so perché ma uno non pensa mai che ci possa finire dentro e

poi invece tac! Ecco che succede, ti riguarda direttamente,

neanche

ti fossi portata sfiga da sola. Cavoli, Gin, devi fare i conti con

il tuo orgoglio e la tua voglia di stare ancora con lui... Ma non

mi

va di fare i conti, porca trota! Che palle! In matematica sono

sempre

stata una negata. E poi in amore non esistono equazioni e conti

matematici! Mica c'è il ragioniere dei sentimenti, o peggio il

commercialista

dell'amore. Che, c'è da pagare anche la tassa sulla felicità?

Cavoli come pagherei se fosse vero... Ma che voglia che ho di

lui però... Sono a Ponte Milvio. Fermo la macchina e scendo. Mi

ricordo di quella notte, di quei baci, la mia prima volta. E poi

qui,

sul ponte... Mi fermo davanti al terzo lampione. Vedo il nostro

lucchetto.

Mi ricordo di quando ha buttato la chiave nel Tevere. Era

una promessa, Step. Era così difficile da mantenere? Mi metto a

piangere. Per un attimo vorrei avere qualcosa dietro per rompere

quel lucchetto. Ti odio, Step!

Risalgo in macchina e parto. Me ne vado in giro così, senza sapere

bene dove andare. Per un bel po'. Non so quanto. Non lo so.

So solo che ora cammino al mare. Persa nel vento, distratta dalle

onde, dalla cantilena delle correnti. Ma sto di un male. E poi mi

sento così stupida. Non ci credo, non è possibile. Mi manca da

morire

quello stronzo, mi manca tutto quello che avevo sognato. Sì,

certo, lo so, qualcuno mi potrebbe dire: "Ma Gin è normale. Cosa

ti aspettavi? Era la sua ragazza! Step è partito per l'America per

quanto stava male. È normale che ci sia ricaduto! ". Ah, sì? Ma

sentilo.

Dice così il tipo... Be', allora si dà il caso che io non sono per

niente normale, hai capito? Non mi ci sento e soprattutto non me

ne frega niente! Sì, è così. E allora? L'hai capito o no,

portasfiga

che non sei altro... Ah, ma io lo so, ne sono certa... Tu avevi

pensato

fin dall'inizio che sarebbe accaduto tutto questo, vero? Da

quando è iniziata la nostra storia... Be', sai che ti dico brutto

jellatore

che non sei altro? A me non me ne frega proprio niente di

niente. Perché io sono pazza! Va bene? Sì, sono pazza. Pazza di

lui

è vero, e di tutto quello che avevo sognato. Quindi te lo dico

subito,

se ti incontro, io ti spacco la faccia. Anzi no, meglio. Visto che

proprio lui insisteva tanto su questo, ti faccio un terzo dan che

te

lo ricordi a vita. E poi tu non puoi neanche immaginare quanto io

lo abbia desiderato.

Capitolo 76.

L'infermiere di turno è seduto davanti a un monitor. È sempre

lo stesso. Finisce di battere qualcosa al computer e poi mi vede

entrare.

Mi riconosce. S'irrigidisce di botto. Poi allarga le braccia,

accenna

un mezzo sorriso come a dire-: "Certo, certo, non è l'orario

ma puoi entrare".

"Grazie." Mi viene da ridere. Ma non è giusto. Mi sento anche

un po' in colpa. E non solo per questo. Lo so. Non mi piace

cambiare

le regole con la violenza. Ma ho bisogno di vedere mia madre.

Ora che l'ho ritrovata. Percorro il corridoio in silenzio. Dalle

camere

ai lati mi arrivano respiri affannati e doloranti. Tutto intorno

un

odore di pulito e di lavande. Ma un non so che di falso. Un uomo

si

trascina in pigiama con la barba incolta e gli occhi spenti. Ha

sottobraccio

una "Gazzetta dello Sport" di un rosa accartocciato. Forse

l'acquisto da parte della sua squadra di un nuovo giocatore

potrebbe

in qualche modo riaccenderlo. Chissà. Nel dolore le cose più

semplici

e banali assumono un valore inaspettato. Tutto diventa un

qualsiasi

appiglio per la vita, un interesse che in qualche modo ci possa

distrarre. Eccola. Sta riposando. Persa in un cuscino molto più

grande

del suo piccolo viso. Mi vede e sorride.

"Ciao, Stefano..."

Prendo una sedia lì vicino e mi metto ai piedi del suo letto.

"Allora?"

Mi guarda interrogativa. So già a cosa allude.

"Niente, non ce l'ho fatta. Mi dispiace. Gliel'ho detto."

"E com'è andata?"

"Mi ha picchiato."

"Oh, finalmente una che ti mena. Hai scelto la strada più

difficile.

È una ragazza molto particolare? "

La descrivo.

"E ho una foto."

Gliela faccio vedere. È curiosa. Piccole rughe appaiono sul suo

viso. Poi un sorriso di sorpresa. Poi di nuovo un segno di dolore

da

qualche parte nel suo corpo, nascosta, ben nascosta. Purtroppo.

"Ti devo dire una cosa..."

Mi preoccupo. Se ne accorge.

"No, Stefano. Non è niente d'importante... Cioè lo è, ma non

ti devi preoccupare."

Rimane per un po' in silenzio. Indecisa se dirmelo o no. Sembriamo

tornati a tanto tempo prima, quando io ero piccolo e lei,

lei stava bene. Mi faceva gli scherzi, mi nascondeva le cose, mi

prendeva

in giro, ci mettevamo a ridere. Mi viene da piangere. Non ci

voglio pensare.

"Allora, mamma, mi dici?"

"Io la conosco, Ginevra."

"La conosci?"

"Sì, hai molto gusto, cioè lei ha avuto molto gusto... insomma

è lei che ti ha scelto e tu hai combinato questo guaio..."

Preferisco non pensarci.

"Ma come la conosci? Cioè, come hai fatto?"