non

farla stancare, non più.

"Ciao."

Prova a parlare ma io le faccio "Shh" portando l'indice alla

bocca.

Rimaniamo così in silenzio per qualche attimo. Poi sembra stare

meglio.

"Come stai, Stefano?"

È assurdo. Lei che lo domanda a me. Un suo sorriso delicato.

Mi guarda cercando risposta. Provo a parlare ma non mi escono le

parole.

"Bene." Riesco a dire prima che accada. Una parola di poco

più lunga si sarebbe rotta tra le mie labbra, come un fragile

cristallo.

Il mio dolore sarebbe andato in mille pezzi, in frantumi, come

uno specchio sottilissimo con riflessa tutta la nostra vita,

quella

mia e di mia madre. Insieme. Le sue parole, i suoi racconti, le

sue risate, i suoi scherzetti, le sue corse, le sue sgridate. Il

suo cucinare,

il suo farsi bella. Scivolano così via, senza possibilità di

essere

trattenute, come gocce d'acqua sul vetro di una macchina in

corsa, sul finestrino di un aereo in partenza, in caduta libera da

una

doccia di mare lasciata aperta e spazzata dal vento. Mamma. Come

lei ha fatto tante volte con me, mi viene naturale. Le prendo la

mano. Lei me la stringe come risposta. Sento le sue dita più

magre,

alcuni anelli più liberi, la pelle quasi posata a caso su quelle

ossa

sottili. Porto la sua mano alla mia bocca e la bacio. Ride,

leggera.

"Cos'è, il bacio del perdono?"

"Shh." Non voglio parlare. Non ce la faccio a parlare. "Shh."

Poggio la mia guancia sul dorso della sua mano. Mi lascia

tranquillo

su quell'umano cuscino piccolo ma pieno d'amore. Il mio, il suo?

Non so. Rimango lì a riposare, con gli occhi chiusi, con il cuore

tranquillo, con le lacrime sospese, in silenzio. Mi accarezza la

testa

con l'altra mano e gioca un po' con i miei capelli.

"Hai letto il libro che ti ho regalato?"

Faccio cenno di sì con la testa oscillando leggero sulla sua mano,

il mio cuscino. La sento sorridere.

"Hai capito allora che può succedere? Tua mamma è una donna,

una donna come tutte... Come tutte? Forse più fragile."

Rimango in silenzio. Cerco un aiuto, qualcosa, non ce la faccio.

Mi mordo il labbro inferiore e trattengo le lacrime. Aiuto. Chi mi

aiuta? Mamma aiutami. "Ho sbagliato, è vero, e il Signore ha

voluto

che proprio tu lo scoprissi. Ma è stata una punizione troppo

grossa. Perdere per quest'errore mio figlio."

Mi alzo di scatto e riesco a sorriderle, tranquillo, forte, come

mi vuole lei, come mi ha fatto lei, mia mamma.

"Ma non mi hai perso. Sono qua."


Mi sorride. Riesce a stendere il braccio e a farmi una carezza

sulla guancia. "Ti ho ritrovato allora."

Le sorrido e faccio cenno di sì con la testa.

"E ti perderò di nuovo."

"Ma perché? No... vedrai che andrà tutto a posto."

Mamma chiude gli occhi e scuote la testa.

"No. Me l'hanno detto. Ti perderò di nuovo."

Fa una pausa e mi guarda. Poi sorride piano piano. Vedo sul

suo viso la felicità di avermi accanto e poi, invece, il dolore

che le

viene da dentro. Improvviso. Una piccola smorfia. Chiude gli

occhi.

Poco dopo li riapre, di nuovo serena. Il dolore è passato. Mi

guarda e sorride.

"Ma stavolta non sarà per colpa mia."

Rimango in silenzio. Vorrei trovare qualcosa da dire, tornare

indietro, laggiù. Scusarmi per tutto quel tempo passato. Vorrei

non

essere mai entrato in quella casa, non averla vista con un altro

uomo,

non averla disturbata, non averne sofferto, essere stato prima

capace di capire, di accettare, di perdonare. Invece no. Non

riesco

a parlare. Non so fare altro che stringerle la mano, leggermente,

con la paura che tutto si possa di nuovo spezzare. Ma lei mi

salva,

mi aiuta, ancora una volta. D'altronde è mia madre. Mamma.

"Parliamo di ciò che ci ha allontanato."

Mi coglie di sorpresa. Rimango in silenzio.

"Non facciamo finta di niente. Credo che non ci sia nulla di

peggio che far finta di niente. Se sei qui, vuol dire che in

qualche

modo lo hai superato."

Niente, non parlo. Allora cerca di aiutarmi.

"Be', non credo comunque che sei andato fino in America per

colpa mia, no?" Sorride. E quel suo sorriso rende tutto più

facile.

"Avevo voglia di un po' di vacanza."

"Due anni? Te la sei presa comoda. Comunque mi dispiace per

quello che è successo. Tuo fratello non ha capito nulla. Tuo padre

invece non ha voluto capire. Ci sarebbe dovuto essere lui al tuo

posto.

Erano successe cose..." si ferma. Improvvisamente una fitta di

dolore attraversa il suo sorriso. Come un'onda leggera venuta da

chissà dove. Poi sparisce di nuovo e mamma riapre gli occhi. E

torna

a cercare il sorriso. Lo trova.

"Vedi, non devo parlare. Meglio così. Almeno di lui ti rimarrà

sempre un bel ricordo. Sono io la colpevole, quella che ha

rovinato

tutto, ed è giusto che io paghi." Un'altra fitta. Sembra più forte

questa volta. Mi avvicino a lei.

"Mamma..."

"Non è niente, sto bene, grazie..." Fa un lungo respiro. "Mi

danno queste medicine così forti. A volte è come se non ci fossi.

Sogno anche se sono sveglia, non sento più niente. È bello.

Dev'essere

una droga. Ora capisco perché voi ragazzi ne prendete così

tanta. Fa dimenticare qualsiasi tipo di dolore. "

"Io però non l'ho mai fatto."

"Lo so. Hai saputo vivere vicino al tuo dolore. Ora basta però.

Non gli permettere più nulla. Fatti restituire la tua vita."

Restiamo per un po' in silenzio.

"Mi sei mancata, mamma."

Poggia la sua mano sulla mia e me la stringe. Cerca di farlo con

forza, ma la sento debole, fragile. Guardo la sua mano. È magra.

Ha perso molto di quella vita che lei stessa generosamente mi ha

dato. Poi mi lascia andare.

"Comunque, Stefano, non volevo parlare di me."

"Cosa vuoi sapere?"

"Mi ricordo che quando ero molto giovane, più piccola di te,

avevo avuto un ragazzo che mi piaceva tantissimo. Ero convinta

che avrei diviso tutta la mia vita con lui. Invece si è messo con

la

mia migliore amica e io ero come impazzita. Dovevi vedere i miei

genitori. Alla fine me ne sono fatta una ragione. E subito dopo ho

incontrato tuo padre. Vedi, sono stata felice che la mia prima

volta

fosse stata proprio con lui... Ecco, ciò che in un momento preciso

ci sembra così perfetto, col passare del tempo può non esserlo

più. Magari capiamo che non era poi così perfetto e anche se lo

abbiamo perso non è detto che non possiamo trovarlo ancora, o

addirittura trovare qualcosa di meglio."

Rimane per un po' in silenzio, mi sorride. Mi vorrebbe felice.

Vorrei tanto esserlo. Anche per lei.

"Ho conosciuto una ragazza."

"Ecco, era questo che volevo sentirti dire. Mi racconti com'è?"

"È divertente, è bella, è strana. È... particolare."

Proprio in quel momento: "Step!".

Martina, quella "sgnappetta" di undici anni conosciuta a piazza

Jacini, compare sulla porta.

"Non ci posso credere!"

"Oddio..." Mia madre rimane senza parole. "Non mi dire che

è lei la ragazza 'particolare' con la quale ti vedi ora? ! " Poi

comincia

a ridere. E alla fine tossisce e di nuovo viene rapita da una

fitta

di dolore. Ma passa subito. E torna ad aprire gli occhi. E sorride

subito.

"Martina, che ci fai qui?"

"Qui lavora mia madre, eccola."

Entra una bella donna con un camice bianco.

"Salve. Io sono la caposala e dovrei cambiare le flebo della

signora

e comunque questa non è l'ora delle visite."

"Sì, lo so, scusi."

"Ma mamma, lui è un mio amico, hai capito chi è, è Step, quello

della scritta sul ponte di..."

"Martina, accompagna fuori il signore. Faccio il mio servizio

e poi la faccio rientrare un attimo per salutare la sua parente,

va

bene?"

"Grazie."

Faccio per uscire dalla stanza quando mamma mi richiama.

"Stefano, mi puoi fare una cortesia? Mi puoi portare un bicchiere

d'acqua?"

"Certo" ed esco con Martina.

"Ma quella signora chi è?"

"Mia madre."

"Sta molto male?"

"Credo di sì, non ho ancora capito bene."

"Se vuoi chiedo meglio a mia madre. Lei sa tutto. Mia madre è

pazzesca sul lavoro. Oggi non poteva lasciarmi a casa e allora mi

ha fatto venire qui. Allora, vuoi che glielo chiedo?"

"No, Martina, lascia stare."

Ci rimane un po' male. Cammina vicino a me in silenzio.

"Dai, fammi vedere invece dove posso prendere l'acqua."

"Certo!" Si accende di nuovo. "Vieni, passiamo di qua che si

fa prima." Poco dopo rientriamo nella stanza. La caposala finisce

di controllare l'ultimo tubicino. Dà una schicchera precisa su una

bottiglietta rovesciata, controllando che il liquido cominci a