sempre di processo si tratta."

L'ascolto ancora per un po'. Poi le consiglio di prendersi una

camomilla e di cercare di riposare. Non faccio in tempo ad

attaccare.

Il telefono comincia a squillare. Non ho voglia di rispondere

e poi c'è Paolo, magari è per lui.

"Vado io?" Mi sembra felice di rispondere.

"Certo." Mi passa davanti. Annuisco e decido di farmi una doccia.

Mentre mi spoglio capisco che non era per lui. Lo sento parlare

dal salotto. "Cosa? Sul serio! E come stanno? Ah, niente di grave,

quindi. Come gravissimo? Ah, abbastanza grave. Mi stava facendo

preoccupare... Ma come è successo? Ah... Cosa? Lo volete invitare

da Mentana? Ah, da Costanzo? Anche da Vespa? Ma ci sarà stata

una ragione..."

Dal tono capisco che cerca di salvarmi. "Be', è fatto così...

Ah...

lei dice che ha fatto bene? Come? Cioè, lo volete presentare come

un eroe? Ah, una specie di eroe, un paladino, il giustiziere sul

lavoro...

Be', non lo so se accetterà... No, io non sono il suo agente...

sono solo suo fratello."

Mi viene da ridere e mi infilo sotto la doccia. Che sciocco Paolo,

poteva dire che era il mio agente. Oggi tutti i fratelli fanno gli

agenti dei divi. C'è un solo problema. Aumento il getto dell'acqua

calda. Io non sono un divo e non ho intenzione di diventarlo.

Su questa mia ultima scelta però nessuno sembra essere d'accordo

con me.

Il giorno dopo, dalle sette di mattina il telefono comincia a

squillare.

Arrivano le richieste più assurde. Una dopo l'altra. Si presentano

tutte le radio, le più svariate televisioni, inviti per ogni tipo

di

programma, di ogni formato, di ogni genere, a ogni ora, su

qualsiasi

tema. E poi ancora giornalisti, critici, opinionisti, semplici

curiosi.

E Paolo risponde a tutti. Dopo la doccia di ieri sera Paolo ha

voluto

sapere la storia per filo e per segno... Mi ha tenuto più di

un'ora

davanti a uno pseudointerrogatorio offrendomi però, al posto della

solita luce in faccia, un buon piatto di spaghetti. E questo non è

stato male. Cucina bene però, il fratello. Ho parlato e mangiato

con

gusto. C'era pure una bella birra gelata. Ne avevo bisogno. Faccio

colazione mentre lo guardo. È al telefono. Prende appunti e

risponde,

si segna numeri di telefono, appuntamenti, orari per partecipare a

eventuali trasmissioni. "Ah, mandereste l'autista. Sì, sì.. .E per

il compenso?

1500 euro... Sì... No... No... Va bene... Anche se a Fatti e

fattacci

ce ne hanno offerti 2500..." Mi guarda sorridendo e mi strizza

l'occhio. Scuoto la testa e addento il cornetto. Ho sentito dire

che

di solito sono quegli avvocati stanchi del diritto che si

trasformano

in agenti. Ma un commercialista che diventa agente... Questa non

si

è mai sentita. Potrebbe essere una buona idea però.

L'avvocato che diventa agente in fondo parte da un concetto

di diritto e di giustizia per poi perderlo di vista. Il

commercialista

invece no. Il commercialista parte dal concetto di fisco, frode

e risparmio e diventando agente non fa altro che perfezionarlo.

Mio fratello. Sarebbe di sicuro un ottimo agente, ma io un pessimo

divo.

"Ciao Pa', io esco."

Paolo rimane così, con il telefono sospeso nell'aria e la bocca

semiaperta.

"Non ti preoccupare, vado a trovare Gin." E su questo sembra

capire.

"Sì, sì, certo." Lo vedo subito piombare sul suo foglio. Fa una

somma veloce di tutti quelli che potrebbero essere i suoi

ipotetici

guadagni. Poi mi guarda. E in un attimo li vede sfumare. Chiudo

la porta. Sono sicuro che sta pensando alla giornata di vacanza

che

si è preso dall'ufficio. Soprattutto a tutti quegli altri soldi

che ha

perso. Mio fratello. Mio fratello il commercialista che diventa il

mio

agente. Certo che è buffa la vita.

Capitolo 60.

Gin sta bene. Ha gli occhi ancora un po' arrossati, è un po'

sbattuta, ma sta bene. La camicetta strappata e il reggiseno li ha

messi da parte in una busta. Come prova dice lei. Non li voglio

vedere.

Mi fa male ripensare alla scena. Le do un bacio leggero. Non

ho voglia di incontrare i suoi. Non saprei che dire. Ma hanno

capito

chi sono. "Quello della bottiglia di champagne" ha detto Gin

ai suoi per farglielo capire.

"Vorrebbero ringraziarti."

"Sì, lo so. Di' che accetto volentieri... No, di' che ho dei

problemi,

che devo andare a casa. Insomma di' quello che vuoi."

Non ho voglia di sentire il loro grazie. Grazie. Grazie a volte è

una parola fastidiosa. Ci sono cose per cui non vorresti essere

ringraziato.

Ci sono cose che non sarebbero dovute accadere. Cerco di

farglielo capire con gentilezza. Mi sembra di esserci riuscito.

Più tardi

sono a casa. Paolo intuisce che mi deve lasciar stare. Non mi

propone

appuntamenti né l'idea di facili guadagni. Non mi passa papà

né mamma. Sono uscite anche delle foto su alcuni giornali e un

sacco

di gente ha telefonato per salutarmi. Per starmi vicino. O forse

solo per dire: "Io lo conoscevo bene...". Ma io non voglio

nessuno.

Voglio vedermi la puntata. Ecco. Sono le nove e dieci. Inizia la

sigla.

Dopo soli due cartelli con i soliti titoli, la sorpresa. I nomi e

cognomi

dei tre autori non ci sono più. Le ballerine continuano a ballare

perfettamente sorridenti e tranquille malgrado quello che è

successo.

D'altronde loro che c'entrano e poi si sa... the show must go on.

L'ultima puntata poi. Ti pare che non va in onda. Ragioni di

mercato.

Qualcosa ho imparato. È facile capire di che materiale è fatto

l'imbuto.

Di soldi. I titoli continuano. Le ragazze ballano. La musica è

la stessa. Il pubblico sorride. C'è un'altra sorpresa. Il mio

titolo c'è

ancora. Mi squilla il telefonino. Vedo il numero. È Gin. Rispondo.

Ride. Sembra molto più allegra, in piena ripresa.

"Hai visto? Avevo ragione io. Lo pensavo, ma non te l'ho detto,

è come dire che non avrai problemi. Sono felice per te."

È felice per me. Lei che è felice per me. Che tipo. È incredibile.

Riesce sempre a sorprendermi. La saluto. "Ci sentiamo dopo,

quando finisce." Attacco. Non avrai problemi. Che problemi posso

avere io? Al massimo una denuncia per rissa. Un'altra. L'unico

problema è che non finisco l'album. Mi apro una birra e in quel

momento suona il telefonino. Un numero coperto. Non dovrei fidarmi

eppure, non so perché, me la sento e rispondo. E non mi

sono sbagliato. È Romani. Riconosco la voce. Butto un occhio alla

tv. Infatti sono in pubblicità. La prima della trasmissione, quasi

sempre alle nove e quarantacinque. Guardo l'orologio. Sono in

anticipo di qualche minuto. Chissà chi ha fatto la scaletta. Forse

l'avevano già fatta quei tre. Sicuramente non hanno potuto

rimetterci

le mani. Ma lascio perdere tutti questi pensieri. Cerco di sentire

cosa sta dicendo e rimango sorpreso ascoltandolo.

"Quindi ti volevo dire, Stefano, che mi dispiace. Non sapevo.

Non avrei mai potuto immaginare."

E continua con la sua solita tranquillità, con la sua eleganza,

con la sua voce calma e ferma, dal suono pieno. Una voce che dà

sicurezza. Ascolto in silenzio e rimango senza parole se anche

avessi

voluto dire qualcosa. Altre due ragazze hanno denunciato lo stesso

fatto accaduto tempo prima. Non avevano avuto il coraggio di

parlare per paura di perdere il lavoro o peggio, semplicemente

di apparire. E forse ce ne sono altre.

"E dopo quello che hai fatto tu, Stefano, stanno acquistando

sicurezza. Non si sarebbe scoperto chissà per quanto tempo ancora,

forse mai. Quindi, Stefano, mi sento in colpa per averti fatto

trovare in una situazione come questa. Proprio la tua ragazza

poi... "

Scuoto la testa. Non c'è niente da fare. Anche Romani lo sa.

Deve essere stato Tony.

"Quindi ti prego, accetta le mie scuse e grazie, grazie sul serio,

Stefano." Ancora un grazie. Grazie da Romani. Grazie. L'unica

parola

che non volevo sentire.

"Be', ora ti saluto, devo riprendere la puntata. Vienimi a trovare

però. Ho una cosa per voi. E un regalo. Tanto io non lo posso

usare. Ho un'altra trasmissione che parte tra due mesi e non

posso staccare."

Cerca di non dare troppa importanza al suo gesto. Non c'è niente

da fare, è un grande.

"Così state un po' tranquilli. Poi, se vi va, lavoriamo di nuovo

insieme..."

Fa una pausa.

"Se vi va... Ma mi farebbe piacere. Ti aspetto... Stefano?"

Per un attimo teme che sia caduta la linea. Non ho detto niente.

Neanche un intercalare, però chiudo in bellezza.

"Sì, Romani, va bene, passo domani, grazie."