più a chi appartiene tutto quel sangue tra le mie mani. Sorrido.
Mi
fermo. Respiro. Mentre lui si accascia come un sacco morto.
Scivola
giù, floscio, inebetito, forse felice a sua insaputa di esserci
ancora.
Forse. Ma è un dettaglio. Poi lo vedo per caso. Mi sembra la
giusta chiusura. Mi piego, lo prendo tenendolo tra le dita con
disgusto
e disprezzo. E pum. Gli pianto il suo stecchino su quello che
è rimasto del suo labbro inferiore. Non faccio in tempo a girarmi.
Strash. Mi arriva da dietro una sedia. Mi prende in pieno sulla
nuca.
Sento solo il botto. Mi giro. Micheli è in piedi davanti a me. Ha
ripreso fiato. Alle sue spalle sono comparsi tutti quei fotografi
inutili.
Famelici, ravvivati, increduli, quasi slinguettano assatanati su
quell'imprevisto piatto caldo appena servito. Agitano voraci le
loro
macchine fotografiche inondandoci di flash. Avranno visto Gin
andar via. L'avranno vista sconvolta, con la camicetta strappata,
in
lacrime. Ma l'hanno vista andar via. Questo mi fa star meglio.
Strabuzzo
gli occhi, cerco di rimettere a fuoco dopo il colpo appena
ricevuto.
Giusto in tempo. Vedo arrivare di nuovo la sedia. Mi piego
d'istinto facendola passare sopra la mia testa. Fshhh, è un
attimo.
Sento un vento leggero appena sopra i miei capelli. Schivata.
Di poco ma schivata. Mi rialzo di botto bloccandogli il braccio,
gli
stringo il polso facendogli cadere la sedia e poi lo tiro a me
andandogli
incontro di testa. Pum! Una capocciata perfetta, in pieno
sul naso, spaccandoglielo. La raddoppio al volo. Pum. Sul
sopracciglio.
E di nuovo. Pum. In pieno viso. Si accascia sotto i flash
dei fotografi che continuano imperterriti a scattare. Micheli è lì
per
terra. Preso dalla foga, dalla sua idea secondo lui geniale di
colpirmi
con una sedia, non ha pensato minimamente a nascondere quello
stupido arnese che lo ha spinto a fare tutto questo. Ha ancora il
suo uccello di fuori. Il mandante di quello sporco attentato
andato
a male penzola grinzoso tra degli inutili pantaloni grigi. Come
se bastasse un po' di flanella a dargli eleganza. E io non ho
dubbi.
È lui il vero colpevole. E allora è giusto che paghi. Non aspetto
altro.
Mi preparo. Come quel tiro da fuori. Sta per scadere il tempo.
Il pivot è fermo con la palla in mano. È l'ultima partita di
basket,
decisiva per la vittoria del campionato. E improvvisamente lui
tira...
O come un saltatore che si prepara per l'ultimo salto. Ondeggia
sui suoi passi, cerca di trovare il tempo giusto dentro di sé, di
battere il record del saltatore precedente. O più facilmente come
la campana, quel puro gioco da cortile, dove dopo aver lanciato un
sasso bisognava saltellare in maniera corretta lungo un difficile
percorso.
O come in Gunny... "Sta' attento a quello che cerchi, potresti
trovarlo..." Ecco, voi avete trovato me. Non ho dubbi e senza
scagliare la prima pietra, io mi preparo, mi elevo e salto,
andando
a tempo con i flash dei fotografi. Me ne frego. Pum! Ci salto
sopra
e ancora pum. Pum. Di tacco, al centro mentre Micheli si dimena
e quel buffo arnese tra le sue gambe si accartoccia sempre di
più. Pum, ancora, senza pietà, schiacciando con il peso
quell'uccello
approssimativo ormai spezzato delle sue eventuali ali. Pum,
sanguina l'uccello o quello che ne rimane... Prendo la rincorsa e,
pum, chiudo così, in perfetta sintonia con gli ultimi flash dei
fotografi
disintegrandogli le palle, sempre che uno che agisce così ce le
abbia sul serio. Ma io nel dubbio preferisco mettermi al sicuro.
Non
sia mai che uno come Micheli possa generare un altro verme di
quella stirpe... E così per sigillare la chiusura di questo
incontro-
scontro, sono fortunato. D'altronde era la stanza degli autori.
Usarla
fa parte del loro mestiere. La vedo. Piccola, rossa, di ferro.
Richiama
la mia attenzione quasi lampeggiando. La prendo. Mi piego
su Micheli. Qualche flash mi accompagna curioso. Cosa vorrà
fare? E allora li accontento. Clack! Un'unica stretta. Con forza,
determinata,
precisa, perfetta. Micheli urla come un pazzo, mentre
quella cucitrice sigilla del tutto la voglia di quello stupido
uccello
di uscire ancora fuori a fare cucù. Micheli si accascia. Cerca
disperato
tra le sue gambe cosa è rimasto di quell'improbabile araba
fenice. E non riesce a darsi una risposta. Ma come? La mia
cucitrice...
Ribellarsi così proprio a me! A me che sono un autore. Già.
Sorrido uscendo. Ma io no. Io non sono un autore. E uso la
cucitrice
"a cazzo"... Tanto per rimanere in tema. Fotografi preoccupati
si spostano lasciandomi passare. Sorrido divertito a qualche
flash. La fotografa, che prima mi aveva guardato leggermente
incuriosita,
mi dedica ora tutta la sua attenzione. È affascinata dallo
scoop. Poi torna subito professionale a immortalare la scena.
Fa un'ultima foto. Ma è diventata troppo per lei. Vomita
appoggiandosi
alla porta. Qualcuno si sposta. Qualcuno riesce a farmi
una foto da vicino. Già vedo in grande il titolo di un ipotetico
gazzettino:
"Ultima notizia. Step è uscito dall'imbuto!". Sì. Bravi. È
proprio così. E ne sono felice. Poi esco di scena.
Capitolo 59.
Non faccio in tempo a scendere giù. La notizia è arrivata prima
di me. Una strana agitazione ha reso febbrile il teatro. Sembra di
essere
in una improvvisa diretta. Tutti corrono da qualche parte.
Curiosi,
impazziti, urlando, smaniosi di sapere, già padroni di una storia.
La colorano come meglio credono, aggiungendo notizie,
ingrandendola,
cambiandone la partenza, la fine. "Hai saputo?" "Ma
che è successo?" "Una rissa, un marocchino... un polacco... i
soliti
albanesi... una guardia ha sparato... Ci sono feriti? Tutti! "
Chiedo di
Gin. Una ragazza mi dice che è andata a casa. Meglio. Vado verso
l'uscita. Tony mi viene incontro. Sembra agitato anche lui. Lo
deve
essere sul serio, visto che non ha la sigaretta in bocca.
"Vai via Step. Sta arrivando la polizia."
Sembra l'unico ad aver capito qualcosa. "Comunque sia, hai
fatto bene. Mi sono sempre stati sul cazzo tutti e tre." E ride
divertito
della sua sincerità. Lui, semplice custode dell'ingresso
dell'imbuto,
se lo può permettere. Vado verso la moto. Mi sento chiamare.
"Step, Step!" È Marcantonio che corre verso di me. "Tutto
a posto?" Mi guardo per un attimo le mani insanguinate e senza
volerlo me le massaggio. Strano. Non mi fanno male. Marcantonio
se ne accorge. Lo rassicuro.
"Sì, tutto a posto."
"Ok. Meglio. Vai a casa allora. Io rimango qui. Ci sentiamo più
tardi e ti racconto tutto. Gin sta bene?"
"Sì, è andata a casa."
"Perfetto." Poi cerca di sdrammatizzare. "Ma non è che non
gli è piaciuto il lavoro che ho fatto e hanno tirato i fogli in
faccia
pure a te? Sai, mi sentirei in colpa se è successo tutto questo
per
causa mia..."
Ridiamo.
"No. Gli è piaciuto molto. Avevano solo un piccolo cambiamento
da fare. Magari riusciranno pure a dirtelo."
"Sì, magari..."
Torna quasi professionale.
"Be', per quest'ultima puntata può anche andare in onda senza
cambiamenti, no?"
"Sì, credo di sì. Devi solo ristampare quei fogli, quelli che ho
portato su da loro si sono un po' rovinati."
"I fogli, eh? Da quello che ho sentito sono loro rovinati e non
solo
fisicamente. È una brutta storia. Vedrai che ne uscirai vincente.
"
Accendo la moto. "Grazie, Marcantonio. Ci sentiamo."
Metto la prima e mi allontano. Vincente? Ma su che cosa?
Sinceramente
non me ne frega niente. Gin sta bene. Di questo mi importa.
Poco più tardi. Sono a casa e la chiamo. Ci sentiamo per telefono.
È ancora scossa. Ha parlato con i suoi. Ha raccontato tutto.
Parla piano. Non ha ritrovato tutta la forza. Sento le sue parole
qualche tono più basso del solito. Ma è normale.
"Per fortuna è arrivato un ragazzo che mi ha salvato, così ho
raccontato ai miei." Ride un po'. Mi rende felice. Mi viene da
pensare:"Non
hai detto è arrivato il 'mio' ragazzo...". Mi sembra troppo.
È ancora presto per scherzarci sopra... Continuo ad ascoltarla
tranquillo.
"Mi hanno detto di denunciarli. Tu mi farai da testimone, vero?"
"Sì, certo." Mi diverte aver cambiato ruolo. Mi ero scocciato
del solito film dove recitavo sempre la solita parte. "Be', da
imputato
a testimone. E dalla parte della giustizia poi. Contro il sistema!
Non è male. Dovrei iniziare anche a cambiare genere però,
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