dire, non mi sfugge niente."

Si allontana così cercando di rimediare con una corsa veloce alla

sua palestra mancata. È vero, Gin. A te non sfugge niente. Be',

andiamo a questa riunione di autori. Ah, e un'altra cosa. Pallina

non ha sempre ragione.

Entro nella nostra stanza appena in tempo per vedere la scena.

Renzo Micheli, il Serpe, è in piedi davanti a Marcantonio. Ha dei

fogli in mano e li agita in perfetta sintonia con la sua voce.

Agitata.

Sesto e Toscani, il Gatto & il Gatto, sono lì dietro accovacciati

che se la ridono in silenzio lanciandosi ogni tanto delle occhiate

divertite

da non si sa poi cosa.

"Hai capito? Non toppare più. Non ti devi permettere di sbagliare.


Non puoi permettertelo. Se ti dico una cosa, è quella. I risultati

vanno dati in ordine da sinistra a destra e non incolonnati. "

"Ma siccome con Romani non si era parlato di come renderli

visivi, ho pensato..."

Micheli, il Serpe, lo interrompe al volo. "Ecco l'errore. Ho

pensato!

Lo sapevo che ti eri spinto oltre, ma non capivo dove. Tu devi

eseguire e bene. Non ti azzardare a pensare!"

E così dicendo, Micheli, il Serpe, gli lancia i fogli ancora caldi

di stampa in faccia. "Tie', rifalli e fammeli vedere!"

Marcantonio riesce a parare i primi fogli, ma gli altri gli

arrivano

sul viso e, come una violenta pioggia cartacea, si aprono a

ventaglio.

Toscani, con il suo solito stecchino in bocca, finge uno strano

stupore divertito. "Ohh."

Poi, non soddisfatto, lecca lo stecchino come fosse un Chupa-

Chups. Sesto, poggiato a un tavolo poco distante si alza curioso

di

vedere come reagirà Marcantonio. Ma niente. Non accade niente.

Micheli aspetta ancora un attimo. Poi "Andiamo va'..." Sembra

quasi dispiaciuto di non ottenere risposta a quella sua

provocazione.

Quei semplici fogli di carta, come guanti di seta di uno

spadaccino

appartenente al passato, non hanno ottenuto risposta nel

loro schiaffeggiare. Marcantonio raccoglie qualche foglio sparso

sul suo tavolo. Renzo Micheli, seguito da il Gatto & il Gatto, fa

per

uscire dalla stanza quando trova me sul suo passaggio. È un

attimo.

Un'esitazione. Mi guarda alzando il sopracciglio, stringe un

po' gli occhi come a dire: vuoi risponderne tu per caso? Ma è solo

un attimo. Mi sposto di lato lasciandoli passare. Quegli strani

padrini

di un duello andato a male escono divertiti dalla stanza. Subito

dopo mi chino per raccogliere i fogli sparsi tutto intorno, per

spezzare quel fastidioso silenzio, per dare una mano, lì dove

posso,

a Marcantonio. Sarebbe stato assurdo decidere al posto suo di

reagire a quella inutile sfida. È Marcantonio ad aiutarmi a

uscirne.

"E così, caro Step, oggi hai imparato un'altra lezione. A volte,

sul lavoro, la tua forza, le tue ragioni devono essere messe da

parte

quando incontri il potere... Litigare con Micheli sarebbe come

cancellarsi, buttare a fiume un'ipoteca sul futuro. Sarà lui il

dopo

Romani."

Cominciano ad annebbiarsi le sue parole.

"E io, sai, ora ho comprato una casa, ho il mutuo e... non sono

più il nobile di una volta... Insomma lì era diverso."

Faccio cenno di sì con la testa. Continuo a fingere di ascoltare.

Pezzi di parole un po' ciancicate. Una strana giustificazione

incollata

lì, nell'aria, alla meglio. Sembrano quelle lettere di giornale,

diverse

fra loro, incollate e poi spedite per chiedere il riscatto che

deve

essere pagato. Ma io non ho quei soldi. Io non posso fare niente.

Raccolgo gli ultimi fogli, li batto sul tavolo e li poggio lì,

delicatamente.

Poi con un "Certo Marcantonio, ti capisco, hai ragione..."

esco di scena con un "Sì, forse anch'io avrei agito in quel

modo..."

lasciando così, con quel forse, un dubbio rassicurante in lui,

un piccolo spazio per la sua dignità. Gin non avrebbe avuto dubbi.

Lei avrebbe scoperto subito la mia bugia. Forse. Magari! Magari

mi tirassero i fogli in faccia, tutti e tre, insieme. Non aspetto

altro. Mi stanno sul cazzo. E cullando questo piccolo sogno mi

allontano.

Chiudo la porta e mi metto gli occhiali. Poi mi viene da

ridere. Che stupido, non c'è mica Gin.

Capitolo 56.

Entro a casa e poggio la borsa. Mi levo la giacca e sento Paolo

di là che sta chiacchierando. Sarà con qualcuno o è la

televisione?

Paolo arriva sorridente verso di me. " Ciao.. .c'è una sorpresa. "

Non

è la televisione. C'è qualcuno. Poi all'improvviso compare.

Incorniciata

dallo stipite della porta del salotto, con un po' di luce della

finestra alle sue spalle che le rende i contorni più sfuocati ai

miei

occhi, così delicata visione, forte e presente invece nella mia

vita,

in tutta la mia vita passata. Mia madre. Mamma.

"Ho preparato qualcosa se hai fame, Step." Dice Paolo prendendo

il giaccone dall'armadio e infilandoselo. "È tutto lì sul tavolo,

se hai fame." Ribadisce, preoccupato di quella situazione.

Non so se è nel dubbio che io abbia fame o nell'avermi servito

quel piatto che magari non mi andava in quel momento. Incontrare

mamma. Forse non ne aveva voglia, potrebbe aver pensato

o forse no. Ma è un attimo. Paolo è uscito lasciandoci così, soli.

Soli come siamo sempre rimasti da quel giorno. Almeno io. Solo

senza di lei. Senza la madre che mi ero disegnato prendendo spunto

proprio da tutti i suoi racconti, da quelle favole che mi aveva

letto da piccolo, da tutte quelle storie che mi aveva raccontato

vicino

al mio letto dove io, con appena poche linee di febbre, amavo

rifugiarmi rannicchiandomi in quel calore, quello delle coperte

e il suo. Sapendo che lei era lì, vicino a me, a raccontare, a

tenermi

la mano, a sentirmi la fronte, a portarmi un bicchier d'acqua.

Quel bicchier d'acqua... Quante volte, pur di averla vicino ancora

un secondo, sul limite dell'addormentarmi le avevo chiesto

quell'ultimo favore, per vederla rientrare ancora una volta,

incorniciata

da uno stipite di un'altra porta, di un'altra casa, di un'altra

storia... Quella con mio padre. E questo splendido disegno

proprio da lei creato, pieno d'amore, di favola, di sogni, di

incanto,

di luce, di sole... Puff, cancellato in un attimo. Averla scoperta

lì, a letto con uno. "Ciao mamma..." Uno qualsiasi, uno

sconosciuto,

un uomo diverso da mio padre con la mia stessa madre

e da allora buio. Buio completo. Sto male. Mi siedo al tavolo,

dove

i piatti sono già preparati. Non vedo neanche cosa c'è e solo

all'idea di mangiare mi viene da vomitare. Ma è la mia unica fuga.

Calma Step. Passerà. Tutto passa. No, non tutto. Con lei il dolore

non è ancora passato. Quel bicchier d'acqua... Calma Step.

Sei cresciuto. Bevo un po' d'acqua. "Allora, so che stai

lavorando...

sei felice?" Felice? Detta da lei questa parola mi fa venire da

ridere. Ma non lo faccio. Rispondo qualcosa così come alle altre

sue domande. "Come sei stato in America? Hai avuto problemi?

Ci sono molti italiani? Pensi di tornarci?" Rispondo. Rispondo a

tutto più o meno bene credo, cercando di sorridere, di essere

gentile.

Proprio come mi aveva insegnato lei. Gentile.

"Guarda, ti ho portato questi."

E tira fuori qualcosa da una borsa, non quella che le avevo

regalato

io quella volta a Natale o per il suo compleanno, quand'era

non mi ricordo. Ma mi ricordo che quella borsa la trovai lì, sulla

poltrona di quella casa. In salotto... il letto di un altro che

ospitava

lei, la mia mamma. Ospitava. Ospitava. Ospitava. Basta Step.

Smettila, smettila.

"Li riconosci? Sono i morselletti che ti piacevano tanto."

Sì. Mi piacevano tanto. Mi piaceva tutto di te, mamma. E ora

per la prima volta, dopo averla più volte guardata, la vedo di

nuovo.

Mia madre. Sorride con questa piccola busta trasparente tra le

mani. La posa leggera sul tavolo e mi sorride di nuovo piegando la

testa di lato. Mia madre. Ha i capelli più chiari ora. Anche la

pelle

sembra più chiara. Lei, delicata come sempre, sembra ancora più

fragile. Dimagrita. Ecco, sembra dimagrita e la pelle leggermente

increspata da un vento leggero. E gli occhi. I suoi occhi un po'

appannati

è come se avessero un po' di luce in meno. È come se qualcuno,

cattivo con me, avesse girato di poco quell'interruttore tenendo

in penombra il nostro amore. Il mio amore. Bevo un altro

po' d'acqua.

"Sì, me li ricordo. Mi piacevano tantissimo."

E uso il passato senza volerlo, senza sapere, con la paura che

perfino quei semplici biscotti abbiano perso quel sapore che mi

piaceva tanto.

"Hai aperto il mio regalo?"