Il cameriere ritorna veloce a quel tavolo. Hanno preso tutti e
due un semplice caffè.
"E ora l'uomo paga solo perché tocca a lui, così è la regola." Il
tipo si alza un po' dalla sedia, sposta il peso sulla gamba
destra, il
portafoglio evidentemente lo tiene a sinistra, infila la mano
nella
tasca e paga mentre la donna senza neanche guardarlo continua a
bere il suo caffè.
"Distratti e annoiati. Ben vengano i miei amici, o no? E che
cazzo!
Fanno casino, rutti, fanno a botte, non pagano, o lo fanno urlando
chiedendosi 1 euro a testa e altro, ma almeno per loro la vita
non è sopravvivere, cazzo."
Gin sorride.
"Sì, sì, hai ragione, almeno su questo hai ragione."
E questo mi basta, non voglio di più. Non per adesso almeno.
"Va bene, ma rilassati ora, Step, anche perché hai altro da fare."
"Cioè?"
"Devi risolvere il problema con il signore."
Mi giro, dietro alle mie spalle c'è il cameriere che sorride. Non
me ne ero accorto.
"Permette?"
Non riesco neanche a rispondere. Il tipo si sporge in avanti e
prende lo scontrino da sotto il piattino di finto argento. Non
l'avevo
sentito arrivare alle mie spalle. Strano, non è da me. Ecco, con
Gin sono per la prima volta rilassato. È un bene?
"Sono 11 euro, signore."
Faccio esattamente la stessa mossa del tipo squallido della coppia
abulica ed estraggo di tasca il portafoglio. Lo apro e sorrido.
"Meno male."
"Che cosa?"
"Che siamo diversi da quei due squallidoni."
"Cioè?"
Gin mi guarda alzando il sopracciglio. "Spiegati meglio! "
"È molto semplice. Devi pagare tu, non ho soldi."
"Preferirei non eccedere in stravaganze pur di essere diversi.
Cioè era meglio se eravamo uguali a quei due e pagavi tu."
Gin tutta elegante e sorridente, perfettamente vestita e truccata,
mi fa una smorfia, finta ironica. Poi sorride ancora al cameriere,
scusandosi per l'attesa. Apre la borsetta, tira fuori il
portafoglio,
lo apre e questa volta non sorride più. Anzi un po' impacciata,
arrossisce.
"Siamo proprio diversi da quei due. Anch'io non ho soldi." Poi
guardando il cameriere: "Sa, mi sono cambiata perché ho un pranzo
con i miei parenti e quindi, siccome pagano loro, non ci ho
pensato".
"Male..."
Il cameriere cambia tono, espressione. Quella sua cortesia sembra
svanire nel nulla. Forse, uomo maturo, anziano si sente preso
in giro da questi due ragazzi.
"A me non interessa tutto questo."
Prendo in mano la situazione.
"Guardi, non si preoccupi, accompagno la signorina alla macchina,
vado a prendere i soldi a un Bancomat e torno qui da lei a
pagare."
"Sì, certo... e io mi chiamo Joe Condor! Vi sembro così allocco?
Tirate fuori i soldi o chiamo la polizia."
Sorrido a Gin. "Scusami." Mi alzo e prendo il cameriere per
un braccio gentilmente all'inizio, poi alla sua ribellione "Ma che
vuoi, sta' fermo" stringo un po' di più e me lo porto più lontano.
"Ok, signor cameriere. Siamo in difetto, ma non farla lunga.
Non intendiamo fregare 11 euro. È chiaro?"
"Ma io..."
Stringo più forte, questa volta in maniera decisa. Vedo sulla sua
faccia una smorfia di dolore e subito lascio andare.
"Per favore, glielo sto chiedendo per favore. È la prima volta
che esco con questa ragazza..." Forse commosso e convinto più di
ogni altra cosa da questa mia ultima confessione, annuisce.
"Ok, allora l'aspetto più tardi."
Torniamo al tavolo. Sorrido a Gin. "Tutto risolto." Gin si alza
e guarda il cameriere sinceramente dispiaciuta.
"Mi dispiace sul serio."
"Oh, non si preoccupi. Sono cose che capitano."
Io sorrido al cameriere. Lui mi guarda. Credo che cerchi di capire
se tornerò o meno.
"Non torni troppo tardi per favore."
"Non si preoccupi."
E andiamo via così. Con un sorriso gentile e un briciolo di
dignitosa
speranza.
Capitolo 37.
Sono dietro a Step, sulla moto, sulla sua moto, i miei pensieri
al vento. Ma guarda questo. Ma dove ti sei ficcata, Gin? È
assurdo.
Prima uscita o meglio la seconda. La prima però lui e i suoi
amici sono fuggiti da quel posto. Come si chiama? Il Colonnello.
E ora, oggi, stamattina che ha la possibilità, la grande esclusiva
di
uscire con te, Gin l'unica, l'irripetibile, la formidabile. Che
fa? Si
presenta senza soldi. Ci manca poco che ci sbattono pure dentro.
Roba da pazzi. Mio zio Ardisio direbbe: "Attenta, attenta Ginevra,
quello non è il principe della terra". Già mi immagino la sua
voce, tutta roca, tutta in su, con le "e" strette e le "t" che
diventano
facilmente delle "d"... "Addenda, addenda, principessa..."
Zio Ardisio. "Quello è il principe dei porci... Neanche un fiore
per la mia principessa, devi chiudere gli occhi e costringerdi a
sognare...
Addenda, addenda... principessa..." Scuoto la testa, ma
lui se ne accorge, fingo di guardare da un'altra parte. Ma mi
segue
nel suo specchietto e si sporge indietro per farsi sentire.
"Che c'è? Ho fatto la classica figuraccia?"
"Ma di che?"
"Prima uscita, non pago io, quasi ti faccio pagare, anzi peggio,
quasi venivamo arrestati. So già cosa pensi..."
Step sorride e fa la voce in falsetto per imitarla. "Ecco, lo
sapevo
questo è un poco di buono."
Come una tiritera continua. Io sto sulle mie.
"Ma guarda con chi sono capitata. Ah, se lo sapessero i miei..."
Step sorride e continua imperterrito. Oh, ha beccato tutti i miei
pensieri. Però è pure simpatico. Cerco di non sorridere ma non ce
la faccio.
"C'ho preso, vero? E di' la verità, dai."
"No, stavo pensando a quello che poteva dire mio zio Ardisio. "
"Lo vedi? Va be', insomma qualcosa di vero c'era in quel tuo
sorriso. "
"Ti chiamerebbe il principe dei porci!"
"A me?" Fingo di fare il duro. "Ci dovrebbe solo provare."
Mi fermo. Gin scende davanti alla sua macchina. È serena,
divertita, veramente elegante. Rimane così, con le gambe
leggermente
divaricate e i capelli che le scendono sugli occhi mentre
cerca le chiavi nella borsa. Ha una borsetta piccola, eppure
ci deve essere dentro un sacco di roba. Gin fruga, smacina, sposta
delle cose di qua e di là. Intanto la guardo, incorniciata da un
arco di travertino, all'entrata di via Veneto, risplende tutta la
sua
bellezza moderna in quella cornice antica.
Un vento leggero accarezza le trasparenze della sua gonna. Sotto
quel leggero celeste, tra quei disegni di fiori appare un azzurro
unito e deciso che nasconde più su, tra le sue gambe ancora
abbronzate,
il fiore proibito.
"Eccole! Oh, non so com'è, finiscono sempre in fondo."
Tira fuori dalla borsetta delle chiavi attaccate a una pecorella
nera.
"È il regalo di Ele, la pecora Embè! Forte vero? Ma stai attento
alla pecora Embè..."
"Perché?"
"Prende a calci tutti i lupi che le si avvicinano."
"Tranquilla, praticamente me la sono già mangiata..."
"Cretino... Be', grazie dell'aperitivo, è stato come dire...
unico.
Vuoi che ti porto qualcosa da mangiare dopo che ho finito con i
miei zii?"
"Capirai, never ending story, peggio del film. Ehi, può accadere
di dimenticarsi dei soldi, no?"
"Come no... strano però che capiti sempre tutto a te."
E con questa bella frase, si allontana e sale in macchina.
"Passaci da quel cameriere. Ti aspetta. Nessuno andrebbe illuso."
Poi parte quasi sgommando, guidando a modo suo. Mi verrebbe
da urlarle: "Aho, a bella! Mi devi ancora 20 euro di benzina..."
ma finisco per pentirmi perfino del mio pensiero.
Capitolo 38.
"Eccola che arriva! Gin!"
Li saluto da lontano. Che strano gruppo tutti insieme, di altezze
sfalzate, dai vestiti così diversi. Mio fratello jeans e maglietta
Nike, mia madre un vestito scuro a fiori con sopra una mantellina
blu, mio padre impeccabile in giacca e cravatta e mio zio Ardisio
con una giacca arancione e una cravatta nera con i pois bianchi. È
incredibile dove riesce a trovare certa roba. I costumisti della
televisione,
Fellini stesso, andrebbero pazzi per lui. Con quei capelli
arruffati, bianchi e capricciosi che incorniciano quel viso buffo
sottolineato
da quegli occhialetti tondi. Come un punto esclamativo
dopo la frase: Che tipo mio zio!
"Ciao" ci baciamo tutti con affetto, con amore, con tenerezza
e mamma come al solito mi bacia mettendomi la mano sulla guancia
come a imprimere ancora più amore a quel suo semplice bacio,
come se volesse fermarlo per un attimo in più rispetto a tutti gli
altri.
Mio zio invece come al solito esagera e mentre mi bacia mi tira
unendo pollice e indice sotto il mento, obbligandomi a scuotere
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