L'estratto
conto della carta di credito Diners. Raffaella corre in cucina,
prende un coltello e la apre delicatamente. Se trovo qualche
prova,
poi la richiudo e metto tutto a posto e faccio finta di niente.
Così
poi lo becco in flagrante e lo rovino. Lo rovino. Giuro che lo
rovino.
Tira fuori l'estratto e comincia a spizzarlo come la più grande
partita di poker mai giocata al mondo. Ogni riga è un sussulto.
L'ipotesi che l'avversario possa avere in mano quattro donne. O
anche
semplicemente una, ma comunque un'altra. Raffaella controlla
frenetica tutti gli importi. Niente. Tutti pagamenti regolari. Rid
del mutuo, pagamento del gasolio per la macchina... ecco! Una nota
strana. Acquisto in un negozio di ed. Quanti ne avrà presi? Be',
per il prezzo che vedo devono essere i tre che ha in macchina.
Niente
da fare. Ecco il completo di Franceschini, quello a via Cola Di
Rienzo. È quello che ha preso ai saldi e poi Teresa, la sarta, gli
ha
fatto l'orlo ai pantaloni. Sì, è tutto a posto. Raffaella ora
guarda più
tranquilla le ultime due righe, pagamento del telefono di casa...
mamma mia, questo bimestre abbiamo speso 435,00 euro. Ma non
fa in tempo ad arrabbiarsi. A pensare a quello che dirà alle
figlie,
le sole colpevoli di quell'intera cifra. Perché improvvisamente i
suoi
occhi cadono su un'altra spesa. 180,00 euro per qualcosa che lei
non si sarebbe mai aspettata.
Capitolo 34.
Ai Prati vicino alla Rai, all'angolo tra via Nicotera e viale
Mazzini,
c'è il Residence Prati, casa e albergo di tante piccole stelle del
cinema, della fiction, della soap, del varietà, di tutta la tv
italiana.
Ecco, poco più in là c'è anche una palestra. Scendo giù, è un
seminterrato.
Non sembra, ma sono quattrocento metri quadri buoni
se non di più, ben dislocata, diversi specchi, bocche di lupo,
un'areazione perfetta, un grosso tubo d'acciaio che serpeggia a
testa
in giù dal soffitto sbuffando e respirando.
"Ciao, cerchi qualcuno?"
Una ragazza con i capelli corti dalla pettinatura buffa mi sorride
nascosta dietro una strana scrivania. Nasconde un libro di
diritto,
chiuso con una matita in mezzo e due evidenziatori lì vicino,
classico da primo anno di università.
"Sì, sto cercando una mia amica."
"Chi è? Forse la conosco. È iscritta da molto tempo?"
Mi viene da ridere e vorrei risponderle: "Da mai! ". Ma sarebbe
come buttare all'aria ogni possibilità con Gin. Farla scoprire
nella
sua rete di palestre, il massimo.
"No, mi ha detto che oggi voleva fare una lezione di prova."
"Dimmi il nome che te la chiamo al microfono."
"No grazie." Sorrido, finto ingenuo. "Voglio farle una sorpresa."
"Ok, come vuoi."
La ragazza si rimette tranquilla e riprende a studiare. Codice
penale. Ho sbagliato, deve essere minimo al terzo anno, se non c'è
di mezzo qualche fuori corso. Poi rido fra me e me. Chissà, magari
un giorno potrebbe essere il mio avvocato. Probabile.
Eccola lì, Ginevra. Gin. La Biro. Roba da pazzi. Facendo onore
al suo cognome, descrive nell'aria traiettorie perfette prima di
colpire il sacco. Saltella di continuo. Pseudoprofessionista
pugile.
Improvvisamente mi ricorda Hilary Swank quando va a festeggiare
in palestra, da sola, il suo compleanno. Gira attorno al sacco
veloce
e Morgan Freeman decide di darle alcuni consigli su come si
colpisce. Avevo sentito dire che le donne italiane si erano
fissate
per la boxe. Ma pensavo fossero dicerie. Questa invece è una
realtà.
"Vai ancora, brava così, colpisci dritto." Qualcuno la allena.
Ma non somiglia a Clint Eastwood. Sembra perfino soddisfatto,
forse se la vuole solo portare a letto. Eppure la guardo. Eppure,
perché mi sembra di guardarla in modo diverso. Che strano. Quando
da lontano guardi una donna, ne scorgi i minimi particolari,
dettagli,
come muove la bocca, come si imbroncia, come si morde il
labbro, come sbuffa, come si aggiusta i capelli, come... tante
altre
cose. Cose che da vicino perdi, cose che a pochi passi magari
vengono
messe da parte dai suoi occhi.
Gin continua a sbuffare colpendo ripetutamente il sacco. "Destro
sinistro e giù ! Brava ritorna indietro, destro sinistro e giù...
Così
ancora..."
Continua a sudare mentre colpisce e agita i capelli neri
all'indietro.
Poi, sembra quasi un rallenty, si sposta i capelli dalla faccia
con il guantone e li porta lì, dietro le orecchie. Ci manca solo
che
si rifà il trucco. Donne e boxe, roba da pazzi. Mi avvicino piano,
senza farmi vedere.
"Ora prova un affondo e giù."
Gin colpisce due volte di sinistro poi prova l'affondo di destra.
Le sposto al volo il sacco e le blocco il braccio destro. "Pum."
Vedo
la sua faccia sorpresa, quasi attonita. Veloce, chiudo la mia mano
a pugno e la colpisco leggero sul mento. "Ciao, One Million
Dollar Baby. Pum, pum, eri morta." Si divincola liberandosi.
"Che cavolo ci fai qui?"
"Volevo provare questa palestra."
"Ma guarda! Proprio questa."
"Si dà il caso che può capitare, mi è comoda e siccome anch'io
'lavoro' qui vicino..."
"Sono stata presa a prescindere da te."
"Ma chi ti ha detto niente."
"Eri allusivo."
"Sei malata."
"E tu sei stronzo!"
"Basta, calma... Non vi metterete a discutere proprio qui in
palestra,
no?"
Si mette in mezzo l'allenatore.
"E poi scusa, Ginevra... per te questa è la prima lezione di prova
qui da noi, no? Non sei iscritta qui alla Gymnastic. Quindi lui
non
poteva sapere, non poteva essere sicuro di trovarti. È stato un
caso."
La guardo e sorrido. "È stato un caso. La vita è fatta di casi. E
mi sembra assurdo trovare delle ragioni al perché di quel caso.
Giusto?
È un caso e basta."
Gin sbuffa con le mani poggiate sul fianco ancora prigioniere
dei guantoni.
"Ma che 'caso' stai dicendo?"
"Buona Ginevra" si rifà sotto l'allenatore. "C'è troppo astio fra
di voi. Sembra che vi odiate."
"No, non sembra. È! "
"Allora dovete stare attenti. Tu che dovresti essere ancora fresca
di scuola te lo dovresti ricordare: 'Odi et amo. Quare id
fariam..., néscio...'."
Gin alza gli occhi al cielo.
"Sì, sì, grazie, la conosco. Ma qui i problemi sono altri."
"Allora dovete risolverli fuori di qui."
La guardo e sorrido.
"Giusto, vero... Ecco una buona idea. Esci?"
"Devi stare attento. Non la sottovalutare, Ginevra è forte, sai?"
"E come se non lo so. È pure terzo dan."
"Ma dai..." L'allenatore si fa curioso. "Non lo sapevo questo.
Sul serio?"
"Sì, stranamente sta dicendo la verità."
L'allenatore si allontana scuotendo la testa.
"C'è astio, c'è astio. Così non va, così non va."
Poi torna indietro sorridente, come se avesse trovato la soluzione
a tutti i problemi mondiali. Quanto meno a quelli miei e di
Gin.
"Perché non fate un piccolo incontro? Scusate, è l'ideale, un
sano scarico di tensioni."
Gin alza la mano con il guantone aperto verso di me, indicandomi.
"Tse, ma figurati se questo qua si è portato la roba per
cambiarsi."
"E invece 'questo qua' se l'è portata."
Le sorrido divertito e prendo da dietro la colonna la mia sacca.
"E ora, seguendo i consigli del tuo allenatore, vado subito a
cambiarmi. Non ti preoccupare comunque, ci vediamo fra poco."
Gin e l'allenatore rimangono lì a guardarmi mentre mi allontano.
"Non c'è niente di meglio, in fondo quel ragazzo mi sembra
simpatico e così puoi mettere in pratica parte dei colpi che oggi
ti
ho spiegato, comunque mi sembra che tu li abbia perfettamente
capiti."
"Sì, ma tu hai capito chi è quello?"
L'allenatore mi guarda perplesso. "No, perché chi è?"
"Lui è Step."
Rimane per un po' soprappensiero con gli occhi socchiusi, cercando
nel suo immaginario, tra i suoi ricordi e il sentito dire delle
tante leggende metropolitane. Niente. Non trova niente.
"Step, Step, Step. No, mai sentito."
Lo guardo preoccupata mentre lui mi sorride compiaciuto. " No,
sul serio, mai. Ma stai tranquilla, gli terrai testa! "
E in quel momento capisco due cose. Uno, sicuramente non è
un buon allenatore e due, proprio per questo dovrei iniziare a
preoccuparmi.
Una maglietta leggera, pantaloncini, calzettoni e le nuove Nike
prese alla Nike Town di New York. "Ehi, Step, ciao." Negli
spogliatoi
incontro uno che conosco, ma del quale non ricordo il nome.
"Che fai, ti alleni qui?"
"Solo per oggi. Voglio fare una lezione di prova tanto per vedere
un po' come cammina questa palestra."
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