Entro nell'ascensore. Il portiere si affaccia.
"Niente cocomero stasera?" Faccio appena in tempo a rispondere
"No, stasera no". È incredibile. Non c'è niente da fare. Ai
portieri
non sfugge nulla. 202. Sono davanti alla porta e busso. Sento
i suoi passi veloci. Mi viene ad aprire senza chiedere chi è.
"Ciao!
Che sorpresa!" Eva è felice di vedermi: "Ho provato a chiamarti
sul tuo cellulare ma era spento. Eri in dolce compagnia?".
"Solo amici."
Mento e mi sento un po' in colpa, ma non so neanche perché.
Non ha proprio senso.
"Io non ti ho cercato."
"Be', sei venuto direttamente. Hai fatto bene, perché domani
parto di nuovo."
"Per dove?"
"Sudamerica, vuoi venire con me?"
"Magari. Ma devo stare a Roma, sai ho un po' di cose da fare."
"Ah, capisco."
Meno male che non mi chiede quali. In realtà non so neanch'io
quali sono queste cose. Iniziare a lavorare, iniziare una storia.
Finirne
finalmente un'altra. Quella. No. Non adesso. Non è proprio
il momento. Il suo ricordo sta tornando, ma lo cancello con
facilità.
Forse perché Eva ha addosso un altro completo. È carino ed
elegante come l'altro. Più trasparente. Le vedo il seno.
"Sai, Eva, non sapevo se passare, magari stavi con qualcuno."
"Dopo ieri sera... Ma per chi mi hai preso?"
Eva si mette a ridere, fa una faccia buffa e scuote la testa. Poi
si inginocchia. Mi sbottona i jeans e si bagna le labbra. Non mi
lascia
più dubbi. Già, per chi l'ho presa?
Capitolo 24.
Mattina. Vanni brulica di gente. Tutti indaffarati, vestiti bene,
benissimo, male, malissimo. Eterogenei, fino alla follia. Gli
utili e
gli inutili del grande paillettato mondo della televisione.
Comunque
presenti. Sempre.
"Ciao, direttore."
"Buongiorno, dottore."
"Avvocato, si ricorda di me? Non la volevo disturbare, ma che
ne è stato di quel progetto?"
"Ma è vero o no che hanno bloccato quella trasmissione?"
"Insomma, parte o non parte questo benedetto programma?"
"Comunque dobbiamo assolutamente metterci dentro questa
ragazza."
"Ma com'è, bella?"
"Che importanza ha? Tanto deve esserci."
E giù di lì. Creare, manipolare, guadagnare, ungere, trattare,
ricattare,
costruire, entusiasmare, produrre e mietere ore e ore di
televisione.
Comunque vada, con idee nuove, vecchi format, scopiazzature
qua e là, ma comunque trasmettere. In mille modi attraverso
quel piccolo elettrodomestico che tutti abbiamo conosciuto appena
nati. Lei, la tv, il nostro grande fratello, o come sorelle, la
nostra piccola
seconda mamma. O forse la prima e l'unica.
Ci ha fatto compagnia, ci ha voluto bene, ci ha allattato di
generazione
in generazione, con lo stesso latte catodico, fresco, a lunga
conservazione, andato a male...
"Hai capito?"
"Insomma questo è quello che pensi. E sei venuto fin da Verona
per fare tv. "
"Per creare immagini e loghi in maniera nobile e... giù di lì."
"E basta con questo 'giù di lì'. È approssimativo, troppo
approssimativo."
Marcantonio mi guarda. Sorride.
"Bravo, stai migliorando. Aggressivo e figlio di puttana, così mi
piaci. "
"La riconosco: Platoon."
"Cominci sul serio a stupirmi... Vieni, andiamo a vedere a che
punto è il TdV. "
"EcheèilTdV?"
"Ma come, non lo sai? Il Teatro delle Vittorie, tempio storico
della televisione che fu. "
"Se è 'tempio storico' allora andiamo,"
Attraversiamo la strada. Una bancarella di libri occupa lo spazio
dei giardini. Ragazzi e ragazze dall'aria più o meno intellettuale
sfogliano libri a basso costo. Una ragazza cicciotta ha in mano
un libro di ricette. Marcantonio non se la lascia sfuggire.
"Compra sesso e sport, è più gratificante."
Ride da solo mentre lei lo guarda semiavvilita. Marcantonio si
accende al volo una Chesterfield e la fuma con avidità mimando
chissà quale atto sessuale, secondo lui.
"Buongiorno, Tony."
"Salve conte, come va?"
"Male da quando la monarchia è caduta."
Tony scoppia a ridere. Lui, semplice vigilante del Teatro delle
Vittorie, si diverte a stare lì. Nel suo piccolo ha trovato il
potere.
Gestisce la porta. Fa entrare gente importante, direttori,
comparse,
attori, ne ferma altra solo perché non ha un pass. Insomma un
buttafuori del varietà.
"E c'hai ragione, conte. Almeno me potevi manda' una squadra
di plebei per aprire 'sta porta di sicurezza. È una settimana che
ho chiamato i tecnici. Aho, non s'è visto nessuno."
Be', comunque, penso, è un preciso. Poi si avvicina e ci confida
a bassa voce. "Mica per niente, è che passavo da 'sta porta per
andare a piscia' al bagno di sotto. Così invece devo fa' tutto il
giro...
'na rottura de cojoni."
E scoppia a ridere, semplice improvvisato, opportunista di
comodità.
"Perfetto, Tony, abbiamo finalmente chi risolverà questo tuo
problema di fondamentale priorità. "
"E chi sarebbe?"
"Lui, Step!"
"E chi è, uno della tua corte?"
"Ma scherzi. Eroe di regale importanza... Straniero nella terra
che allora dominava da tiranno... E poi scusa, Tony, vuoi piscia'
in
fretta o no?"
"Magari... A Step, se ci riesci te devo un favore."
"Tony... Eroe di regale importanza vuol dire solo nobiltà d'animo.
Un eroe non è uno che mercanteggia, eh? ! Quindi caso mai
il favore lo devi a me."
"Va be', che c'entra, la porta l'aggiusta lui... Mi sembrava più
carino."
Potrebbero continuare per ore. L'eroe, sì insomma quello che
è, comunque, io decido di interromperli.
"Be', quando avete finito e mi spiegate dov'è la porta..."
"Hai ragione, scusa..."
Tony ci fa da guida: "Venite di qua". Dentro al teatro tutti
battono,
grande rumore di ferro, seghe elettriche, saldatori.
"È quasi finito. Stanno a monta' le luci" quasi si scusa Tony.
"Ecco, è questa la porta, c'ho provato in tutti i modi. Niente,
nisba. Non c'è un cazzo da fare."
La guardo attentamente. È una di quelle porte a pressione, si
deve essere bloccata la serratura laterale. Qualcuno avrà messo il
blocco interno. Forse lo stesso Tony e non se lo ricorda o non
vuole
ammettere di aver fatto questa cazzata. Ci vorrebbe la chiave.
Oppure: "Hai una sbarra di ferro non troppo larga?".
"Tipo questa?" ne prende una da una cassetta poggiata lì a terra:
"Si capisce che c'ho provato in tutti i modi, eh?".
"Abbastanza." Fisso la sbarra nella serratura e do una botta
secca con forza. Neanche tanta poi. "Apriti sesamo."
E la porta si apre d'incanto. "Et voilà, ecco fatto."
Tony è tutto felice, sembra un ragazzino. "A Step, non so come
ringraziarti, sei magico."
Gli riconsegno la sbarra.
"Be', non esageriamo."
Marcantonio prende in mano la situazione: "Giusto, non esageriamo.
Ricordati solo che ci devi un favore ciascuno, eh?".
"Fattibile, fattibile..." sorride Tony e, rincuorato, inaugura la
porta andando a pisciare. Marcantonio mi fa l'occhiolino e mi
passa
davanti.
"Vieni, ti faccio vedere il teatro." Scendiamo giù, nel palco.
Oltre
le sedie della platea, sotto il grande arco della galleria. Ed
eccole
lì. Al suono di una musica avvolgente. Le ballerine. Tute
colorate,
scaldamuscoli abbassati, capelli lunghi o corti o in parte rasati
e
disegnati. Le ballerine. Bionde, brune, capelli rossi o pennellati
di
blu. Con il fisico scolpito, asciutto, magro, con gli addominali
definiti.
Con le gambe muscolose e un fondoschiena arrotondato ma
compresso. Pronto a esplodere in una spaccata su una nota acuta.
Perfette, padrone di movimenti agili e scattanti, affaticate ma
comunque
sorridenti. La musica ad alto volume riempie tutto il
palcoscenico.
E loro si lasciano portare, si incastrano, si incrociano, si
uniscono a tempo, si abbandonano indietro, si lasciano andare, la
vivono sottomesse. Grandi proiettori le esaltano vestendole di
fasci
di luce. Accarezzano le loro gambe scoperte, i loro seni piccoli,
quei
costumi ridotti. "Stop! Bene, bene, basta così!"
La musica si stoppa. Il coreografo, un piccolo uomo di circa
quarant'anni, sorride soddisfatto.
"Bene, facciamo una pausa. Riproviamo più tardi."
"Questo è il balletto."
"Sì, lo avevo capito."
Ci sfilano vicine sorridendo tutte un po' di fretta per non
freddarsi,
ancora accaldate ma profumate e leggere. Due o tre baciano
Marcantonio: "Ciao ragazze". Sembra conoscerle bene. A una
addirittura
dà una leggera pacca sul sedere. Lei sorride per niente
imbarazzata,
anzi: "Non mi hai più chiamata".
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