tu e la tua Mercedes. Stronzo di merda. Quando ci vuole, ci vuole.
E ora devo pensare a Simona. Oh, ma la sistemo per le feste
quella stronza, oh se la sistemo. Ma deve essere una vendetta
intelligente,
fredda, calcolata, pungente. Geniale. Vorrei trovare ancora
più aggettivi se fosse possibile. Posteggio sotto casa e scendo
dalla macchina. Povera Polina. L'ho rovinata tutta davanti. C'ha
il
cofano contratto come se fosse una mano con un crampo, due
fanalini
rotti e anche il fascione. Porca trota, e ora che racconto a
mamma. Continuo a pensare in ascensore. Qualche cosa mi inventerò
per la povera Polina e per quella stronza di Simona. Sì,
uscirà qualcosa, ne sono sicura. Mi spoglio e mi infilo nel letto.
Continuo a pensare ai miei due problemi, alla loro possibile
soluzione.
Continuo così, ricordandomi il botto, la Mercedes sfondata.
Piano piano sto per addormentarmi. Un ultimo pensiero nel
dormiveglia. Sorrido. Boom! Che botto, che bello! In tutto questo
non ho più pensato a Francesco. Puff. Svanito. E, sorridendo,
vengo
rapita da Morfeo.
La mattina dopo mi sveglio lucida come non mai. In un attimo
ho le due soluzioni. Parto subito con la prima, il problema della
Polo. Telefono ad Ale, un mio amico sempre in mezzo ai guai che
stavolta però può togliermi dal mio.
"Pronto... Ma chi è?" Ha la voce roca, si sarà addormentato da
nemmeno un'ora.
"Ale? Sono Gin."
"Gin, che cazzo succede? Ma che ore sono?"
"Le sette."
"Le sette? Ma che, ti sei rincoglionita?"
"Ale, mi devi aiutare, ti prego, dimmi che c'hai sottomano qualche
macchina rubata."
"Gin, non per telefono... porca troia!"
"Scusa Ale."
Torna tranquillo: "Che macchina ti serve?".
"Una qualunque ma che sia rubata. Mi serve solo la targa."
"Solo la targa? Boh, tu sei tutta scema."
"Ti prego Ale, è una cosa importante."
"Tutte le tue cose sono sempre importanti, aspetta un attimo."
Dopo una decina di secondi torna al telefono: "Dai, scrivi. Roma
R27031. È una Clio blu".
"Perfetta, grazie Ale."
"Aho, è tutto a posto?"
"Sì, tutto a posto."
"Perfetto. Allora guarda che io mi metto a dormi' e stacco il
telefono.
"
"Ok, ti chiamo nel pomeriggio e ti spiego tutto."
"Non me ne frega un cazzo." E attacca.
Appena in tempo. Arriva mamma in vestaglia appena alzata:
"Ginevra, ma che fai? Sei già sveglia?".
"Mamma, non sai che è successo. Ieri sera mi è venuto addosso
un pazzo con la macchina."
"Oddio, figlia mia, ti sei fatta niente?"
"No, sto bene. Ha distrutto la Polo però ed è fuggito... Ma
guarda,
ho preso la targa! " Le passo il biglietto appena scritto. "Era
una
Clio scura. Lo dobbiamo denunciare." Mamma prende il biglietto.
"Dai qua, lo dico subito a tuo padre. Meno male che non ti sei
fatta niente. Ma sei sicura? Non è che hai sbattuto la testa?"
"No mamma, sul serio è tutto a posto."
"Meno male." Mi dà un bacio sulla fronte.
"Vai a fare colazione sennò finisce che fai tardi."
"Sì, mamma." Mi allontano da brava bambina sotto lo sguardo
affettuoso di una madre apprensiva. Mi sento in colpa. Scusa
mamma, ma dovevo proprio farlo. Chissà, forse un giorno ti
racconterò
tutta questa storia. Un giorno. Intanto pensiamo a oggi.
Ho già trovato anche la seconda soluzione, quella per sistemare
Simona.
Un attimo dopo sono tra i banchi di scuola. È già passata
un'ora, la prima. Religione. Ha incrociato due volte il mio
sguardo
la stronza e si è girata dall'altra parte. Non ha neanche il
coraggio
di affrontare le conseguenze delle sue azioni. Il massimo è che è
stata perfino interrogata da don Peppino, così chiamiamo noi il
pretino di religione, e Simona ha avuto perfino il coraggio di
rispondere...
Mortacci sua. Be', non voglio chiamare Dio in causa
per stronzate come questa. Ma la seconda ora è tutta mia e anche
la terza. Ci sguazzo, mi voglio divertire, due ore da sogno. Oggi
abbiamo
compito in classe di italiano. È facendo la borsa appena sveglia
che mi è venuta l'idea. Sublime... Ecco, ho trovato l'aggettivo
coniato apposta per la vendetta. E la mia penna scivola veloce sul
foglio bianco, riempiendolo di parole, di righe, di fatti, di
ricordi,
di delusioni, di aggettivi, di sproloqui, di insulti. Vola che è
una meraviglia,
sembra fatata la mia penna. E dire che io in italiano sono
sempre stata un po' frenata. Sono fuori tema, non ho dubbi, ma
che piacere, che divertimento dedicare il mio compito in classe
alla
mia amica, anzi alla mia ex amica. Anzi, per essere proprio
precisi,
a quella stronza. Le ho dedicato perfino il titolo: Misera fine
di un'amicizia. Sono sicura che la mia prof d'Italiano me lo
passerà,
magari prendo anche un bel sette, o forse no, quello no, è un
fuori
tema. Magari un quattro, ma che bel quattro! Di sicuro però non
mi manderà dal preside e forse me lo farà perfino leggere in
classe.
Sarà dalla mia parte la prof, ne sono sicura. Non tanto perché
abbiamo un buon rapporto, ma perché si è separata da poco.
Settimana dopo. Ritiro il tema. Be', da non crederci... Al di
sopra
delle aspettative. Sette e mezzo! Mai preso un voto così in
italiano. E
non è finita qui. La prof deve avere una grande simpatia per me o,
cosa molto più probabile, deve aver sofferto veramente tanto per
la
sua separazione. Fatto sta che ha sbattuto con la mano sulla
cattedra.
"Silenzio, ragazze. E ora vorrei invitare a leggere il suo tema
una ragazza particolare. Una vostra compagna di classe che ha
capito
che la cultura, l'educazione e l'essere civili sono la più grande
arma della nostra società: Ginevra Biro."
Mi alzo e per un attimo mi viene da arrossire. Davanti a tutti.
Davanti agli altri. Poi metto da parte quel rossore. Cazzo, no! È
la
mia giornata, non esiste, mi spetta. Quale pudore, quali altri.
Non
esistono gli altri in alcune occasioni. E questa è una di quelle
occasioni.
Vado vicino alla prof e comincio a leggere. Scivolo veloce
con enfasi e divertimento. Con rabbia ed entusiasmo. Azzecco le
pause giuste, il tono. Poi la storia mi rapisce. Ma l'ho scritto
sul serio
io questo tema? Cavoli, mi sembra perfetto! E continuo a leggere
così, divertita, cantilenando quasi. Una dopo l'altra le parole
si succedono, si rincorrono leggere tra le righe, su e giù, senza
pausa
come onde di un mare azzurro. Corrono vicine, senza spezzarsi
mai. Arrivo quasi alla fine in un attimo. Mi mancano due righe. Mi
fermo e quando stacco gli occhi dal foglio Simona è lì che mi
guarda.
Ha la bocca aperta, è sbiancata, attonita. Ho raccontato tutta
la nostra storia, la nostra amicizia, la mia fiducia, il suo
tradimento.
Faccio un'ultima pausa. Un bel respiro e via con il finale:
"Ecco signori. Ora voi tutti sapete chi è Simona Costati. Se sua
madre avesse avuto un po' più di coraggio, l'avrebbe chiamata con
il suo vero nome: Stronza! ".
Piego il foglio e guardo compiaciuta la classe. È un boato. Tutte
insieme urlano contente: "Brava, hai fatto bene, sei forte Biro!
Sì, ancora, di nuovo, la devi sfondare, così, sei mitica! ".
E all'improvviso, partito da non so chi, non certo da me, né dalla
prof, meno che mai da Simona, si alza un coro perfetto, ispirato
sicuramente dal mio tema pieno di cultura.
"Stronza, stronza, stronza!"
Simona si alza dal banco. Attraversa la stanza trascinando i
piedi,
con la testa bassa, senza avere il coraggio di guardare in faccia
nessuno. Poi scoppia a piangere ed esce dalla classe.
"Brava, è un bellissimo tema." È la voce della prof. Incredibile.
Pensavo che mi avrebbe buttata fuori per, che ne so, diffamazione
di un'alunna? Invece no. Si vede che ha apprezzato la forma!
O il contenuto... Comunque mi sorride. Chissà, forse per un attimo
ha avuto un rimpianto. Avrebbe voluto scrivere anche lei un tema
così a suo marito.
***
Capitolo 21.
"A cosa stai pensando?"
"Alla scuola."
"Cioè, non ci posso credere. Tu vieni in macchina con me, che
sono il top del desiderio romano... e che fai? Pensi alla scuola!
"
"Be', anche la scuola può avere il suo lato interessante."
"Sì, magari più il lato stressante."
"Io credo che sotto sotto anche a te piaceva studiare."
"Certo, come no: anatomia. Ma direttamente sulle compagne! "
"Mamma... Ma stai in fissa, eh?!"
"Be', è un lato che mi affascina."
"Sì, già ti vedo. Da piccolo giocavi sempre al dottore."
"Da piccolo? Anche ieri! Vuoi che ti visiti subito?"
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