dei
motori girano al contrario, quell'enorme massa di acciaio trema
impazzita
con tutte le sue poltrone, signora compresa. Ma lei non si dà
per vinta. Stringe gli occhi e trema prendendosela con la mia
mano.
"Il comandante informa che siamo arrivati a Roma Fiumicino.
La temperatura esterna..."
Un tentativo di applauso si alza dal fondo dell'aereo spegnendosi
quasi subito. Non è più di moda.
"Be', ce l'abbiamo fatta."
La signora sospira: "Grazie a Dio!".
"Magari ci incontreremo un'altra volta."
"Oh sì, mi ha fatto molto piacere parlare con te. Ma sono tutte
vere quelle cose che mi hai raccontato?"
"Come è vero che lei mi ha stretto la mano." Le mostro la destra
e il segno delle unghie.
"Oh, quanto mi dispiace."
"Non fa nulla."
"Dia qui."
"No, sul serio, è tutto a posto."
Qualche telefonino comincia a squillare. Sorrisi e tranquillità
del dopo atterraggio. Quasi tutti aprono le cappelliere sopra i
loro
posti e tirano giù pacchi di regali portati dall'America, più o
meno
qualcosa di inutile, pronti a mettersi in fila e guadagnare
l'uscita il
prima possibile. Dopo le ore immobili nell'aereo, dove si è
costretti
a fare un bilancio degli anni passati fino a quel momento, si
ritorna
alla fretta del non pensare, ai falsi pensieri, alla corsa verso
l'ultimo
traguardo.
"Arrivederci." "Grazie, buonasera." Hostess più o meno carine
salutano all'uscita dell'aereo. Eva, con fare professionale e un
sorriso stampato, saluta tutti, perfetta.
"Grazie delle birre. "
"Dovere." Mi sorride più naturale, forse.
"Se hai dei problemi..." le lascio un bigliettino.
Lo guarda perplessa: c'è il mio numero di Roma.
"È stato il mio esame al corso di grafica."
"È andato bene?"
"Erano tutti molto soddisfatti. Hanno trovato geniale dividerlo
in bianco e azzurro."
"Carino."
Se lo mette in tasca. Non ho rischiato a dirle che sono della
Lazio.
Poi scendo dalla scala.
Tiepido vento. Settembre. Tramonto, sono appena le otto e
mezzo. In perfetto orario. È bello camminare di nuovo dopo aver
volato per otto ore. Saliamo sul pulmino. Guardo la nostra
compagnia.
Qualche cinese, un robusto americano, un giovane che non
ha smesso di ascoltare uno di quei Samsung YP-T7X da 512 MB che
avevo visto anche a New York. Due amiche in vacanza che non
parlano
più, sature forse della lunga convivenza. Una coppia innamorata.
Ridono, si dicono sempre qualcosa di più o meno utile, si fanno
degli scherzi. Li invidio, o meglio, mi piace guardarli. La mia
compagna di viaggio, la signora cicciotta che ormai sa tutto della
mia vita, mi si avvicina. Mi guarda sorridendo come a dire: "Ce
l'abbiamo fatta, eh?". Annuisco. Quasi mi pento di averle
raccontato
tanto. Poi mi tranquillizzo. Non la vedrò mai più. Controllo
passaporti. Qualche cane lupo tenuto a bada passeggia nervosamente
su e giù cercando un po' di coca o d'erba. Cani a rota
insoddisfatti
ci guardano con gli occhi buoni, strafatti per tenersi in
allenamento. Un poliziotto apre distrattamente il mio passaporto.
Poi ci ripensa, gli sfugge una pagina, la recupera e guarda con
più
attenzione. I miei battiti accelerano un poco. Niente. Non gli
interesso.
Me lo rida, lo richiudo e lo metto nello zaino. Recupero il
mio bagaglio. Esco libero, di nuovo a Roma. Sono stato due anni
a New York e mi sembra di essere partito ieri. Cammino veloce
verso
l'uscita. Incrocio gente che trascina valigie, un tipo corre
affaticato
verso un aereo che forse perderà. Al di là delle transenne parenti
aspettano qualcuno che non arriva. Ragazze belle e ancora
abbronzate
d'estate sono in attesa del loro amore o quello che è stato.
Con le braccia conserte, passeggiando o ferme, con gli occhi
agitati o tranquilli, comunque aspettano. "Taxi, che le serve un
taxi?" Un finto tassinaro mi corre incontro fingendosi onesto: "Le
faccio un buon prezzo". Non rispondo. Capisce che non sono un
buon affare e lascia perdere. Mi guardo in giro. Una signora
bella,
elegante, con un vestito chiaro e dell'oro leggero al collo, tiene
tranquillo
il suo sguardo sulla mia rotta. È bella. Le sorrido. Lei accenna
a una risposta minima che però contiene tutto. Tradimento,
vorrei ma non posso, la sua voglia di libertà. Poi guarda altrove,
rinunciando.
, Continuo a guardarmi in giro. Niente. Che stupido. Ma
certo. Cosa mi aspettavo? Chi sto cercando? È per questo che sei
tornato? Allora non hai capito niente, non hai ancora capito
niente.
Mi viene da ridere sentendomi un cretino.
"Dovrebbe essere arrivato..."
Nascosta dietro una colonna, in silenzio ma con il cuore a mille,
parla sottovoce a se stessa. Forse per coprire il rumore del suo
cuore, che in realtà sta battendo a duemila. Poi prende coraggio.
Un respiro lungo e lentamente si affaccia. "Eccolo. Lo sapevo, lo
sapevo!" Quasi "salta" con i piedi per terra.
"Non ci posso credere... Step. Lo sapevo, lo sapevo, ero sicura
che tornava oggi. Non ci posso credere. Mamma mia, certo che è
dimagrito un sacco. Però sorride. Sì, mi sembra che stia bene.
Sarà
felice? Magari è stato bene fuori. Troppo. Ma che, sono cretina?
Mi
faccio prendere dalle gelosie. Ma che diritto ne ho poi?
Nessuno...
E allora? Mamma, come sto messa. Sul serio, sto troppo male,
troppo.
Cioè, io sono troppo felice. Troppo. È tornato. Non ci posso
credere. Oddio, sta guardando verso di me! "
Si nasconde subito di nuovo dietro la colonna. Un sospiro. Chiude
gli occhi stringendoli forte. Resta appoggiata con la testa al
freddo
marmo bianco, con le mani stese contro la colonna. Silenzio.
Respiro lungo. Fiuuuuu. Inspirare... Fiuuuuu. Espirare... Riapre
gli
occhi. Proprio in quel momento passa un turista che la guarda
perplesso.
Lei accenna un sorriso per cercare di fargli sembrare che
sia tutto normale. Ma non lo è. Non ci sono dubbi.
"Cavoli, mi ha visto, me lo sento. Oddio, Step mi ha visto, lo so.
"
Si riaffaccia. Nulla. Step è passato come se nulla fosse.
"Ma certo, che cretina. E poi, se anche fosse?"
Eccomi qui. Sono tornato. Roma. Fiumicino, per l'esattezza.
Cammino verso l'uscita. Attraverso le porte a vetri ed esco sulla
strada. Davanti ai taxi. Ma proprio in quel momento provo una
strana sensazione . Mi sembra che qualcuno mi stia osservando. Mi
giro di botto. Niente. Non c'è niente di peggio di chi si aspetta
qualcosa...
E non trova niente.
Capitolo 2.
Il tramonto dipinge d'arancio alcune nuvole sparse qua e là.
Una luna già pallida nel cielo si nasconde tra gli ultimi rami di
un
albero fronduto. Rumori stranamente lontani di un traffico un po'
nervoso. Da una finestra arrivano alcune note di una musica lenta
e piacevole, il suono di un pianoforte migliorato nel tempo.
Quello
stesso ragazzo, più grande, prepara i nuovi esami per la
specializzazione.
Poco più sotto, le linee bianche del campo da tennis risplendono
dritte sotto il pallore lunare e il fondo della piscina vuota
aspetta triste come ogni anno la prossima estate. Anche questa
volta è stata svuotata troppo presto da un portiere pignolo. Al
primo
piano del comprensorio, fra piante curate e linee alzate di una
serranda in legno, una ragazza ride.
"Daniela, ma hai finito di stare al telefono? Avete il cellulare,
vostro padre ve lo ricarica praticamente ogni giorno ! Perché
state
sempre a quello fisso di casa? "
"Ma che, non lo sai, mamma, che qui non prende? Prende solo
in salotto e lì ci siete sempre voi a sentire ! "
"Si dà il caso che noi viviamo in questa casa."
"Va bene, mamma. Sto con Giuli. Finisco di dirle una cosa e
attacco."
"Ma se l'hai vista tutta stamattina a scuola. Chissà che può
essere
successo da allora! Eh? Cosa dovrai mai raccontarle! "
Daniela copre con la mano la cornetta.
"Guarda che anche se fosse una cosa stupidissima, mi piacerebbe
che fossi io a decidere se la devo per forza far sapere a tutti
o no, va bene?"
Daniela si gira e dà le spalle a Raffaella pensando così di avere
in qualche modo ragione. La madre alza le spalle e si allontana.
Daniela
controlla con la coda dell'occhio di essere rimasta sola.
"Giuli hai sentito? Devo attaccare."
"Allora come rimaniamo?"
"Che ci vediamo lì."
"No... non intendevo questo!"
"Senti, io ho deciso." Daniela si guarda preoccupata in giro.
"Non è proprio questo il momento di parlarne al telefono con tutti
che girano per casa! "
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