talmente sporchi che non lascia impronte.
"Grazie, non avrei saputo come fare senza di voi."
Non c'è niente da fare, penso. E proprio una principessa. La
frase giusta al momento giusto. O sbagliata. Un tentativo come un
altro per liquidarli in maniera simpatica. Ma non avevo dubbi, non
attacca.
"Aho e mo' che fai? Ci mandi via così?"
Il tipo più alto, e anche un po' più grosso degli altri, prende in
mano la situazione.
"Be', vi ho detto grazie. Ci avrei messo più tempo, ma guarda
che me la cambiavo anche da sola la gomma, eh! "
Il tipo guarda gli altri e sorride. Ha un maglione largo sul
bordeaux,
con il collo stretto e una striscia nera sul petto. "Va be', ma
dacci almeno un bacetto."
"Non se ne parla proprio."
"Aho, t'avessi chiesto de facce 'na pippa..."
Ride divertito, sfoderando un sorriso che intristisce perfino me.
Ha dei denti così mangiati che fanno della smorfia del suo viso
una
maschera grottesca.
"E dai, che ti è andata bene col bacetto."
Il tipo prende Ginevra al volo e la tira a sé. Ginevra è
spiazzata.
Lui l'abbraccia in vita e prova a baciarla. Ginevra istintivamente
allontana il viso. Il tipo gli dà una specie di leccata sulla
guancia
e continua cercando di infilarle la lingua in bocca. Ginevra si
divincola.
Il tipo è forte, la stringe deciso. Ginevra prova a colpirlo
tra le gambe con una ginocchiata, ma lui le sta troppo addosso.
Non ci riesce. Il piccoletto, quello che ha cambiato la ruota sta
zitto,
guarda la scena in silenzio. Anzi, sembra leggermente infastidito.
L'altro, quello cicciotto, ride in un angolo, tutto preso, quasi
eccitato,
fa il tifo per l'amico.
"Bravo Pie', ficcagli la lingua in bocca."
Pie', immagino Pietro, non ci riesce però. Anzi, Ginevra si agita
così tanto che alla fine gli dà perfino una specie di capocciata.
"Ahia, mortacci tua." Pietro si porta le mani sulla fronte.
"Così impari, coglione!" Ginevra si sistema i capelli, ferma in
mezzo alla strada poco lontano da lui, senza scappare, senza
chiamarmi.
"Coglione a me? Ma mo' te faccio vede' io." Il tipo parte deciso
andandole contro. Ginevra abbassa la testa e si protegge con le
mani chiudendosi a riccio. Pietro la prende per il giubbotto.
È ora di intervenire: "Ehi, ci hai fatto divertire, ora basta
però".
Pietro la lascia andare, gli altri due rimangono sorpresi
vedendomi
spuntare dall'ombra. Vado verso di loro.
"E tu chi cazzo sei?"
"Uno che passava di qui per caso. E tu invece, chi cazzo pensi
di essere?"
Sono arrivato. Pietro mi guarda. Sta soppesando se vale la pena
di rispondermi. Se ce la può fare o no, insomma. Opta per il sì:
"Ma vedi di levarti dai cojoni, va'". Sbaglia. Parto al volo con
un
cazzotto dritto per dritto, perfetto. Non riesce neanche a
vederlo.
Lo prendo di striscio, ma non troppo, quel tanto che basta per
sfondargli
il naso. Lo vedo oscillare sulle gambe, accenna un disperato
tentativo di reazione. Lo colpisco di nuovo, di sinistro, dritto
sopra
il sopracciglio destro, di impatto pieno, preciso, sordo, con
cattiveria.
Si accascia a terra con un tonfo secco, non fa in tempo a muoversi
che lo prendo d'incontro con un calcio in piena faccia. Pum.
Non appena ritiro indietro la gamba si forma una pozza di sangue.
Ne scende tanto, morbido e caldo, dal naso sulla strada, lento,
nella
penombra, si mischia con l'asfalto. Pietro, o come cazzo si
chiama,
ha la bocca aperta, respira facendo strane bollicine con quel
rivolo
di sangue che inciampa sulle sue labbra. Ne sputa ogni tanto
qualche goccia mista a saliva qua e là. Non ride più, adesso.
"Be'..." Guardo Ginevra. "Andiamo va', sennò facciamo tardi."
Prendo la gomma bucata, la butto dietro nel bagagliaio e richiudo
il portellone. Passo vicino al piccoletto che ha cambiato la
gomma, lo supero. Quello cicciotto invece sta vicino alla
macchina.
È lento nell'accorgersene. Lo prendo al volo con la destra. Mi
ritrovo il suo orecchio tra pollice e indice, lo stringo forte
storcendoglielo
con rabbia. Vorrei staccarglielo.
"Ahia, cazzo, ahia."
"Levati di mezzo, coglione. E dimagrisci." Gli do un'ultima tirata
micidiale e lo lascio andare. Rimane piegato con le mani a
preghiera
sull'orecchio mentre salgo in macchina. Aspetto che Ginevra
chiuda la portiera e parto veloce. Guardo i tre nello specchietto
retrovisore. Ormai sono lontani, avvolti nella notte che ci
separa.
"Allora come stai?"
Rimane in silenzio. Cerco di farla ridere.
"Non sanno come sono stati fortunati quei tre. Se si scatenava
il terzo dan erano cavoli loro, eh?"
Ma non ci riesco. Niente, non accenna a parlare. La guardo.
Ha i capelli che le scivolano giù, come sconfitti, coprendole una
parte del viso. Le labbra socchiuse spuntano dal suo nascondiglio,
incerte e indecise, tremano un po'.
"Dai Ginevra, è tutto a posto."
"Tutto a posto un cazzo! Pensa se bucavo ed ero sola."
"Ma non è successo."
"Ma poteva succedere. Quei tre si fermavano e come andava a
finire?"
"Ma poteva essere che invece passavo io in moto e ti aiutavo
semplicemente a cambiare la gomma." Cerco di tranquillizzarla.
"Non ci posso credere che siete così stronzi... In tre
approfittarsi
di una da sola, che merde! "
Vedo che è andata in fissa. Cerco di sdrammatizzare.
"Allora diciamo che hai un bel culo."
"Perché c'eri tu?"
"No, che c'entro io. Magari c'entrano i tuoi. Hai proprio un
bel culo, nel vero senso della parola. Cioè, lo si vedeva mentre
cambiavi
la ruota. Diciamo che è un po' colpa tua... A stare lì così, in
quel modo... Insomma hai scaldato troppo gli animi di quei
poveracci.
"
"Ah, quindi tu vorresti dire che il mio culo, stretto in dei
banalissimi
jeans, è un attentato alla tranquillità."
"Già, proprio così."
"Ma dove vivi?! Pensa se mai bucasse Jennifer Lopez allora!
Che succederebbe? Una guerra mondiale."
"Ma che c'entra. Lei il suo didietro ce l'ha assicurato per
milioni
di dollari..."
"E allora?"
"Se lo può giocare tranquillamente."
"Ma vattene, va'. Sei proprio un idiota."
"Cercavo solo di farti ridere."
"Be', non ci sei riuscito."
Rimaniamo in silenzio e continuo a guidare. Gin alza il volume
della radio, non vuole pensare. "Mi piace molto questa canzone.
Sai cosa dice?"
Provo ad ascoltarla. Ma a me non posso mentire. Ho imparato
perfettamente a usare il computer, la grafica, il 3d e tutto il
resto,
ma con l'inglese è stata una scazzottata continua. "Qualcosa
capisco..."
"Dice: 'Non so niente di storia, di matematica...'." Gin continua
a tradurre, salvandomi.
Ascolto le sue parole. Parla lenta sorridendo, sembra che non le
sfugga niente. "Queste parole mi piacciono."
"È molto bella." Non so perché, ma sembra capitata a caso,
perfetta per il momento. "Sì, è bella." E subito dopo dalla radio
parte un'altra canzone. Ma stavolta non ho problemi. "Tu vestita
di fiori o di fari in città, con la nebbia o i colori, cogliere le
rose a
piedi nudi e poi..." Mi lascio andare. Guardo fuori, nel buio
della
notte. Una di quelle strane coincidenze, la musica al momento
giusto,
una macchina che non è tua, una strada senza luci, senza traffico,
l'infinito davanti, una ragazza vicino. Tra l'altro bellissima. Si
sistema meglio il giubbotto.
"Manca molto all'appuntamento?"
Passiamo proprio in quel momento allo svincolo subito prima
del tunnel per Prima Porta. Sono tutti lì, Bardato, Manetta,
Zurli,
Blasco e un altro po' di gente. Intravedo anche qualche donna. Li
supero senza fermarmi.
"No, fra un attimo ci siamo." Accelero, ma tanto non credo mi
riconoscano. Sapevano che venivo in moto. E da solo. Invece sono
in macchina e con lei. Continuo a guidare come se niente fosse.
Gin
guarda fuori dal finestrino.
"Hai visto? Lì c'è un gruppo che aspetta qualche ritardatario.
Che posto assurdo per darsi un appuntamento."
Mi guarda dopo averlo detto. Mi batte il cuore. Non ci posso
credere che abbia capito.
"Già, un posto assurdo."
Continua a guardarmi: "È strana questa situazione vero?".
"Quale situazione?" Spero non voglia parlare di nuovo del
gruppo.
"Be', che siamo qui in macchina io e te, due perfetti sconosciuti.
E già è successo di tutto. Come ci siamo incontrati stavamo per
fare
a botte... E per soli 20 euro."
"Che tu mi volevi fregare."
"Sì, ma non ti perdere sempre nei dettagli. Poi buchiamo e io
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