t'alleni?".

Il Velista incredulo mi indica fiero."Ma hai visto con chi sto?

È Step."

Il Negro mi fissa per un po'. Poi sorride. Ha la faccia simpatica,

uno zigomo un po' ammaccato, mi viene incontro: "Ma dai,

Step... Certo, come no. È una vita che non ci vediamo".

Ora lo riconosco. Porta i capelli corti. Prima li teneva sempre

un po' lunghi, oliati, stava fisso con un giubbotto blu

all'Euclide

di Vigna Stelluti.

"Non sapevo avessi questo soprannome. Il Negro. Mi ricordo

che ti chiami Antonio."

"Sì, dopo la storia di Tyson, dicono che ci somiglio."

Ha il collo un po' taurino, la pelle porosa e il naso un po'

ammaccato,

capelli corti alla Tyson. Ha gli occhi un po' a palla e il labbro

superiore più grosso del solito.

"Be', insomma mica ci somigli tanto."

"Ma no fisicamente! " Ride sguaiato e comincia per un po' a

tossire.

"Per la storia della rissa! Pure io so' andato a un concorso di

miss a Terracina e poi c'ho provato con una che stava a

partecipa'.

Hai capito? Per questo dicono che so' Tyson. 'Sta stronza, mi ha

invitato

su in camera, io volevo scopa' e lei pensava che je volessi

racconta'

le barzellette. S'è offesa pure e non ci voleva sta'. Ma io jo

fatto

capi' che il suo era solo un problema di capoccia. E da allora mi

chiamano il Negro." Ridono come pazzi lui e il Velista.

"No, sai, è uscita la storia su tutti i giornali di Borgo Latino,

giù

prima di Latina. Il Tyson della Pontina, un mito. Che poi alla

fine

c'avevo ragione io, a questa je pure piaciuto."

Il Velista ci mette il carico: "Mejo de Tyson" e continuano a

ridere

e a tossire.

"A proposito, so che sei stato in America, a New York, se non

sbaglio."

Si ricomincia.

"Sì, sono stato laggiù. C'ho passato due anni, ho fatto un corso

e sono tornato ieri. E ora c'ho voglia di allenarmi. " Cerco di

troncare.


"Oh, ti va di fare due tiri? Mi dicevano tutti che eri forte a

boxare."

Il Negro sorride della sua proposta. È sicuro di sé e continua:

"Be', magari è un sacco di tempo che non t'alleni, se non ti va

non

ti sta' a preoccupa'. È che tutti parlavano di 'sto mito, 'sto

mito, e

mo' che ce l'ho davanti...".

Il Negro ride divertito, troppo sicuro di sé. Deve essere uno

che s'allena tutti i giorni almeno un'oretta e mezza.

"Ma no, figurati. Mi va."

"Allora vado subito a cambiarmi."

Vedo una luce diversa nei suoi occhi, più svegli, acuti,

leggermente

socchiusi.

Il Velista rimane invece idiota come prima: "Aho, forte

'st'incontro.

C'ho una sete pazzesca, Negro. Che, te posso segna' un Gatorade

che oggi non c'ho una lira?".

Il Negro fa segno di sì con la testa e va dritto negli spogliatoi.

Il Velista va allegro verso il bar confermando così il suo

soprannome.

Io invece rimango solo. Alessio alla segreteria mi fissa. Sta

succhiando

un Chupa-Chups e mi guarda in maniera diversa da prima.

Abbassa gli occhi e si rimette a leggere un "Parioli Pocket" che

ha poggiato sul tavolo. Sfoglia due pagine, poi mi guarda di nuovo

e sorride. "Scusa, Step, per prima. Non ti conoscevo. Non sapevo

chi fossi."

"Perché, chi cazzo sono?"

Rimane per un attimo perplesso, cercando qualche risposta

nell'aria.

Ma non trova niente. Poi ci ripensa e prende coraggio.

"Be', sei uno che si conosce."

"Uno che si conosce..." Ci penso un attimo. "Sì, è un argomento

interessante. Bravo. Vedi a volte... Non lo avevo considerato."

Sorride felice, per niente cosciente del fatto che lo prendo per

il culo.

"Senti..."

"Dimmi, Step."

"Sai se c'è qualcosa per boxare?"

"Come no."

Esce da dietro la segreteria e si muove veloce verso una panca

all'ingresso. Alza i sedili. "Qui sotto c'è la roba di Marco

Tullio.

Lui non vuole mai che nessuno la usi. "

"Grazie."

Mi guarda con entusiasmo. Mi siedo sulla panca e comincio a

infilarmi i guantoni. Non lo guardo, ma sento i suoi occhi su di

me.

"Vuoi che te li stringo?"

Lo guardo per un attimo. "Ok."

Viene veloce verso di me. Prende i lacci con cura, li avvolge

intorno

ai guantoni, lo fa con precisione. Ora non ride, è serio. Si

morde leggermente le labbra mentre i capelli lunghi gli coprono

ogni tanto gli occhi. Con l'altra mano li butta all'indietro

mentre

continua a fare il suo lavoro. Lentamente, con cura, stringendo

con

precisione. "Fatto!" Sorride. Mi alzo in piedi. Sbatto i guanti

uno

contro l'altro.

"Vanno bene, no?"

Vuole essere sicuro di aver fatto un buon lavoro.

"Ottimi!"

Dallo spogliatoio femminile escono le due ragazze di prima.

Quella alta ha un paio di pantaloni neri stretti fino alle

caviglie, un

trucco leggero e un rossetto che rende le sue labbra tranquille e

accoglienti.

Una borsa a tracolla su una camicia bianca con piccoli

bottoni perlati, il tutto si intona con il suo passo elegante.

Quella

bassa invece ha una gonna scozzese a quadri blu e marrone troppo

corta per le sue gambe e due mocassini neri che rendono

ingiustizia

alla sua camicia celeste. Del trucco ha cercato in qualche

modo di miracolare il suo viso. Ma almeno per oggi quelli di

Lourdes

dovevano essere in vacanza. Si fermano alla segreteria. Alessio

fa il giro e dà loro le tessere.

Quella alta mi si avvicina: "Ciao, io mi chiamo Alice".

"Stefano." Allungo il guantone, come per darle la mano.

Lei lo stringe sorridendo: "Lei è la mia amica Antonella".

"Ciao."

"Che fai, combatti?"

Si, ci provo.

"Ti dispiace se restiamo a vedere un po' l'incontro?"

"Perché mi dovrebbe dispiacere. Be', se poi fate il tifo per me,

certo che non mi dispiace."

Ridono. "Va bene, puntiamo su di te. Che si vince?"

In quel momento esce il Negro. Ha un paio di calzoncini blu

morbidi e lunghi, quelli da vero pugile. Ha già infilato i

guantoni.

Ha qualche segno sulle braccia e due o tre tatuaggi di troppo. È

ben messo. Non me lo ricordavo così.

Alice mi si avvicina: "Ma combatti contro il Negro?".

Allora è conosciuto anche lui.

"Sì, perché?"

"Mi sa che abbiamo sbagliato a puntare su di te."

Mi guardano, sembrano realmente preoccupate.

Cerco di tranquillizzarle. "Va be', animo ragazze, al massimo

durerà poco."

Il Negro ci interrompe. "Allora... entriamo?"

Ha fretta.

"Come no. Vai avanti tu."

Entra nella sala dell'aerobica. Due ragazze stanno facendo un

po' di addominali su dei tappeti di gomma blu. Sbuffano vedendoci

entrare.

"Oh, non mi dite che ce ne dobbiamo andare."

Cerco di metterla sullo scherzo: "Be', a meno che non volete

combattere pure voi due".

Il Negro non ha il senso dello spirito: "Forza uscite". In un

attimo

sono fuori. "Tre round serrati, ti va?" Me lo dice con tono

eccessivamente

duro.

"Sì, mi va. Facciamo un buon allenamento."

"Facciamo un bell'incontro." Sorride in maniera antipatica.

"Ok, come vuoi tu." Alice è vicino alla finestra. "Ci prendi il

tempo?"

Sorride annuendo. "Sì, ma come si fa?"

"È facile. Ogni minuto e mezzo gridi 'Stop!'."

"Ho capito." Guarda l'orologio aspettando di dare il via. Intanto

saltello sul posto. E scaldo le braccia. Mi viene in mente una

cosa. Antonella, quella bassa, alla fine di ogni minuto e mezzo

potrebbe

entrare con un cartello con scritto il numero di round e

sculettare

intorno alla sala dell'aerobica come nei migliori film americani.

Ma qui non siamo in America. E neanche in un film. Siamo

in palestra. Anche il Negro comincia a saltellare, dà di continuo

dei

colpetti tra i suoi guantoni, fissandomi. Alice alza il viso

dall'orologio.

Incrocia il mio sguardo. È leggermente preoccupata. In qualche

modo si sente responsabile. Ma poi decide che non può più

aspettare. E quasi lo urla quel: "Via!".

Il Negro mi viene subito incontro. Sorrido fra me. L'unica cosa

che non ho mai smesso di fare in America in questi due anni è

stata proprio andare in palestra. Per essere precisi, fare boxe.

Solo

che lì sono dei veri uomini di colore e sono tutti veloci e

potenti.

È stato duro tenergli testa. Durissimo. Ma l'avevo presa a cuore.

E non è andata troppo male. Ma che sto facendo? Mi sto

distraendo...

Appena in tempo. Il Negro mi sferra due pugni potenti

al viso. Schivo destro e sinistro. E mi abbasso al suo tentativo

di

gancio. Poi respiro e saltello allontanandomi. Schivo altri due

colpi

e comincio a saltellargli intorno. Il Negro fa una bella finta di